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Sgombero a Idomeni, la testimonianza

Alcune migliaia di persone se erano andate nelle scorse settimane. Altre erano ancora lì, a Idomeni, in attesa di entrare in Macedonia. Nelle scorse ore la polizia greca ha avviato lo sgombero definitivo, con pullman inviati sul posto per portare via i migranti.

“Siamo stati fra gli ultimi volontari a uscire – racconta Gaetano Turrini, presidente della onlus Speranza-Hope for Children. – Nella notte la polizia ha iniziato a bussare alle strutture delle ong chiedendo di andarsene. Già ieri avevano spinto i giornalisti a lasciare il campo. L’operazione era programmata, così come la demolizione immediata delle tende, con delle ruspe. Era un’iniziativa attesa da settimane, c’era stata anche una comunicazione scritta”.

Turrini dice di non aver assistito a reazioni violente. “Ho visto momenti di assoluta normalità. Ieri i bambini giocavano e abbiamo distribuito dei peluche. Abbiamo cenato coi siriani, c’era gente che giocava a carte, che chiacchierava”. La calma sembra essere rimasta anche quando è cominciato lo sgombero vero e proprio.

Da lontano sembra difficile spiegare l’assenza di resistenza di queste migliaia di persone, che avevano resistito lì per mesi, sperando di continuare il loro viaggio. “All’inizio erano 15mila. Man mano che il tempo è passato, la gente si è resa conto che l’accordo Europa-Turchia era irrevocabile. Il sentimento comune è la rassegnazione”. Almeno metà delle persone che erano rimaste nel campo, spiega Turrini, erano bambini. C’erano molti cittadini siriani, curdi, iracheni e qualche afghano.

I migranti vengono portati in strutture allestite dalle autorità greche, in cui dovrebbero essere più assistiti ma meno liberi rispetto a Idomeni. “Sono sistemati in campi militari, di fatto centri di detenzione, ognuno da mille o duemila persone. Sono tutti nell’area di Salonicco, credo che siano oltre 20”.

Ascolta l’intervista a Gaetano Turrini

Gaetano Turrini

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    Andrea Monti
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    Al Teatro della Cooperativa arriva "Pezzi di Corpus Pasolini - Cinquant'anni senza un poeta civile", di e con Giorgio Felicetti. Un percorso feroce, senza sconti nel corpus pasoliniano, soprattutto degli ultimi anni, quelli della persecuzione mediatica e giudiziaria. Ma anche un percorso a partire dal corpo scempiato, martirizzato con violenza del poeta, in un rito che Felicetti definisce quasi "tribale" e che lui stesso, in scena, rievoca con disarmante evidenza. Giorgio Felicetti è stato ospite a Cult per parlarne. Ascolta l'intervista di Ira Rubini.

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