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“Bene il reddito di inclusione, ma non basta”

Il reddito di inclusione (Rei) è legge. Il provvedimento è stato approvato dal Senato. “Prevede aiuti per 400mila famiglie, con minori a carico, pari a un milione e 770 mila persone”, ha spiegato il ministro del Lavoro Poletti. Attualmente il Sia (sostegno per l’inclusione attiva) è pari a 400 euro al mese, che saranno elevati a circa 480 euro con il Rei, estendendo i requisiti di accesso.

Il ministro ha spiegato che le risorse stanziate sono di 2 miliardi di euro per il 2017 e altrettanti per il 2018.

L’articolo unico del disegno di legge per il contrasto alla povertà è collegato alla manovra finanziaria e delega il governo ad adottare, entro sei mesi, più decreti legislativi:

– per introdurre una misura di contrasto della povertà assoluta, denominata “reddito di inclusione” (Rei);

– per riordinare le prestazioni di natura assistenziale;

– per rafforzare e coordinare gli interventi dei servizi sociali garantendo in tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni.

I criteri della delega stabiliscono che il “reddito di inclusione” deve essere una misura unica a livello nazionale, di carattere universale, subordinata alla prova dei mezzi e all’adesione a un progetto personalizzato di inclusione, articolata in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona. Per beneficiare della misura sarà previsto un requisito di durata minima di residenza nel territorio nazionale. E’ previsto un graduale incremento del beneficio e dell’estensione dei beneficiari, da individuare prioritariamente tra i nuclei famigliari con figli minori o con disabilità grave, donne in stato di gravidanza, disoccupati di età superiore a 55 anni.

Abbiamo chiesto alla sociologa Chiara Saraceno una prima valutazione del provvedimento del governo.

Saraceno, come giudica questa forma di reddito di inclusione, in attesa del decreto attuativo?

“Diciamo subito che è una cosa positiva, una volta tanto: per la prima volta in Italia si introduce una misura di sostegno economico a chi si trova in povertà assoluta, con una prospettiva tendenzialmente universalistica, in quanto in prospettiva dovrebbe riguardare il futuro tutti i poveri”.

Tutto bene dunque?

“No, nel senso che i soldi stanziati sono pochi, largamente al di sotto di quanto occorre. Il necessario stimato è di circa 7 miliardi di euro che interesserebbe tutti i poveri assoluti, che sono stimati in 4 milioni. Il provvedimento del governo interessa invece poco meno della metà dei poveri”.

E questo cosa comporta?

“Comporta che si farà una graduatoria, e quindi si troveranno dei criteri. Questo porterà al rischio di iniquità, di esclusioni. Bisognerà dunque prestare molta attenzione al decreto attuativo del provvedimento, del reddito di inclusione”.

Ogni mese verrà dato a una persona povera, che avrà i requisti, sino a 480 euro al mese. Come valuta questa cifra?

“Ma ci rendiamo conto che stiamo parlando di soli 480 euro per una famiglia con più figli?”.

Lei dice questo ma il ministro Poletti ha parlato di decisione storica, con l’introduzione del reddito di inclusione.

“Sì, però la ‘decisione storica’ di cui parla il ministro va contestualizzata, storicizzata. L’Italia, insieme alla Grecia, è arrivata al 2017 restando l’ultimo paese che non aveva una misura di sostegno al reddito dei poveri. Allora in questo senso la decisione è storica, cioè che l’Italia, ultima della classe, è arrivata finalmente a introdurre questo sostegno alla povertà”.

Quindi il governo su questo tema della povertà ha imboccato la strada giusta?

“Per quanto riguarda strettamente il sostegno al reddito dei poveri è un primo passo che andrà seguito con grande attenzione, perché va migliorato, aumentando soprattutto le risorse e stabilimento criteri non divisivi per ottenere l’aiuto economico e sociale. La decisione del Governo è dunque un segno positivo perché finalmente la povertà è entrata concretamente nell’agenda politica, e perché c’è un impegno di spesa importante, anche se largamente insufficiente. Resta il fatto che i poveri continuano a essere dotati di meno diritti di altri settori della società, che ricevono sostegni e aiuti più sostanziosi”.

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    Le politiche pro natalità non funzionano, lo dicono i fatti

    Più che gelo siamo in glaciazione demografica, questione sociale per carità ma soprattutto politica, perché sono governi soprattutto di destra che la predicano, ma le politiche pro-natalità non stanno funzionando, perché sono cambiate le scelte, le prospettive e le possibilità dei nuovi genitori e la loro riduzione numerica è un dato di fatto storico non trasformabile con richiami ai valori della famiglia o con bonus bebè. Alessandra Minello, ricercatrice in Demografia al dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova, autrice per Laterza di “Senza figli. Scelte, vincoli e conseguenze della denatalità”) ci propone una lettura più solida di quella del dibattito politico sul tema. “È cambiato il modo in cui diamo valore e cerchiamo soddisfazione nella nostra vita. È una cultura che sta cambiando e parte dalle valutazioni di sé, dalle scelte appunto”. L’intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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