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Salvini e il paternalismo reazionario

Matteo Salvini

Matteo Salvini esercita una forte influenza sul nuovo esecutivo di Lega e 5 Stelle.

Il leader della Lega si è posizionato negli anni su posizioni politiche sempre più a destra, diventando il principale punto di riferimento per i fascisti in Italia. Casapound ha di recente manifestato simpatia per il nascente governo. E a Casapound, al suo linguaggio, Salvini attinge quando dice ‘prima gli italiani’ o quando usa slogan quali ‘il popolo contro le élites‘.

Salvini è abile anche a usare slogan e idee che arrivano da sinistra, manipolandole a proprio uso. Di recente, ha denunciato la massiccia diffusione nell’uso degli psicofarmaci quale conseguenza della precarietà economica e della crisi. Ma Salvini offre risposte che rimangono nel solco della tradizione della destra radicale: la ricerca di un nemico, di un capro espiatorio. Gli immigrati in particolare, e l’Europa. Proponendosi come il ‘piccolo padre’ capace di rassicurare e curare gli italiani.

Ne abbiamo parlato con Francesca Coin, sociologa all’Università di Venezia ‘Ca Foscari’ e ricercatrice.

Salvini qualche giorno fa durante l’incontro con il Presidente della Repubblica ha messo in relazione precariato e psicofarmaci. Usando un’analisi svolta da autori di sinistra, ha denunciato che il 20 per cento degli italiani fa uso di psicofarmaci.

Dopo aver parlato con te sono tornata a vedere le parole usate da Salvini. Lui ha detto: “Senza un lavoro stabile non c’è prospettiva, famiglia, figli. Non è possibile che il 20% degli italiani usi psicofarmaci, spesso per mancanza di speranza fiducia, prospettive”. Già con queste parole Salvini sembrava mettere in relazione il consumo di psicofarmaci con la situazione politica. Poi ha continuato: “Più precarietà, più psicofarmaci, meno sicurezza” – a quel punto i nessi causali approssimativi del suo discorso erano palesati. La stampa nei giorni successivi non sapeva bene come prendere questa esternazione. In alcuni casi ha cercato di capire se si trattasse o meno di un dato corretto. Il Post per esempio ha scritto un lungo articolo nel quale cercava di valutare l’affidabilità di dati di Salvini. In questo senso riprendeva i dati dell’Agenzia per il farmaco (AIFA) e le indagini dell’Istituto di fisiologia clinica del CNR, in particolare l’Indagine Ipsad, in base alla quale circa il 20% della popolazione italiana (esattamente 11 milioni di persone) fanno ricorso ad ansiolitici, sonniferi e antidepressivi. In molti casi la risposta alla frase di Salvini è stata il sospetto, come se il solo fatto che fosse stato Salvini a porre il tema della relazione tra precarietà e disagio psichico implicasse necessariamente che ci doveva essere qualche cosa di sbagliato. Non sono certa che questo sia il modo migliore per analizzare la questione. Negli ultimi anni diversi studi hanno messo in risalto in modo pressoché inequivocabile come le trasformazioni lavorative degli ultimi trent’anni abbiano prodotto una condizione di disagio psicologico dentro e fuori i luoghi di lavoro. L’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna, per esempio, ha rilasciato un comunicato poche settimane fa per evidenziare come il precariato lavorativo mini lo stato psicologico degli individui in quanto produce condizioni di insicurezza che sono spesso accompagnate da periodi d’ansia e di disagio psicologico. Secondo alcune analisi il disagio psichico è una questione di classe – questa la conclusione di Mark Fisher per esempio, autore di Realismo Capitalista (Nero 2018) – una condizione trasversale a chi subisce condizioni di sfruttamento o di ricattabilità. L’operazione di Salvini sottende tutto questo ma fa un ragionamento diverso.

Che ragionamento fa?

La lettura dei sintomi è giusta, il problema sono le cause. Salvini dice che il problema non è solo che le persone stanno male, il problema è che stanno male per colpa di un nemico esterno – non a caso lui dice “più precarietà, più psicofarmaci, meno sicurezza”. Il dato del malessere psichico è messo in relazione con la precarietà e la sicurezza. Che sia l’Europa che ha contribuito ad accelerare il declino italiano, che siano gli immigrati che rubano il lavoro, dal suo punto di vista naturalmente, il punto fondamentale è che bisogna difendere “gli italiani” da chi li minaccia. In questo senso i dati che cita sono giusti ma il discorso nel quale li inserisce rimanda a un contesto problematico nel quale un nemico esterno ha la responsabilità di aver portato la depressione e la malattia al “popolo italiano”. E’ come se dietro le sue parole vi fosse la presenza latente di un untore e l’untore è la causa della peste che devasta la società. In questo senso Salvini mette in scena il disagio psichico e la sofferenza per descrivere un popolo privato suo malgrado della salute da cause esterne. E di fronte a questa sciagura nazionale lui stesso si pone come la figura del padre – il condottiero, il difensore del popolo, il comandante. Tra le righe in tutto questo ciò c’è il richiamo a un’epoca di benessere antico in cui l’economia era fiorente, le famiglie erano felici, i capifamiglia portavano il pane a casa, le donne facevano le madri e i piccoli imprenditori erano la locomotiva d’Italia. In quell’epoca il popolo era sovrano, l’immigrazione non esisteva, i lavoratori erano forti e virili e l’Europa non era una minaccia. Quello che sto tentando di dire è che la causa della sofferenza nell’analisi di Salvini non rimanda alla violenza di classe agita dall’ordine proprietario contro il lavoro negli ultimi quarant’anni, il problema sono anzitutto coloro che minacciano il popolo italiano – ed è diverso.

Questa cosa che dici del padre di famiglia mi fa venire in mente che questo riferimento al padre di famiglia in maniera diretta ed esplicita l’ha fatta parlando dei migranti, quando ha detto “io sono un padre di famiglia e quindi capisco quando i genitori hanno dei figli, ma questo non può prescindere dal fatto che dobbiamo prendere delle misure”. Perché la sinistra non tocca palla in questo momento?

Perché non esiste, a parte pochi tenaci tentativi di ricostruirla da zero. Su quello che dicevi tu, se posso aggiungere una cosa il nodo secondo me è che la destra usa il grimaldello della virilità per stimolare un desiderio di vendetta da parte del popolo precario. Nei testi di alcuni ideologi della destra in Italia il precariato viene descritto come qualcosa di vinto e per non essere accusati di essere vili e depressi bisogna “mostrare le palle”. La destra in questo senso usa il malessere “di classe” per stimolare l’unità “del popolo” – in una demagogica sovrapposizione di significati e di categorie. Tutto quanto accade in questa analisi è colpa di attori esterni rispetto ai quali Salvini si pone come salvatore. Fa una cosa molto efficace, Salvini, in questo senso. Dal punto di vista affettivo, restituisce un padre simbolico al precariato malato e fa breccia nel cuore di chi si è sentito indifeso. Da un punto di vista politico, aizza il popolo contro il nemico esterno, chiamandolo all’armi contro il nemico invasore.

Queste sono dinamiche antiche. La ricerca del capro espiatorio, la retorica contro il “capitalismo finanziario” è qualcosa che abbiamo visto negli anni ’30, fascisti e nazisti.

Esatto. Il fatto è che nel mentre fanno tutto questo, le loro stesse politiche sono profondamente “di classe” e cioè dalla parte dei ricchi.

Infatti fanno la flat tax, mettono in atto la misura di politica fiscale più a destra che esista da questo punto di vista, più iniqua.

Esatto. In ultima analisi le politiche proposte dai giallo-verdi possono essere descritte in due modi. Da un lato politiche anti-redistributive come la flat tax, che è forse uno dei più chiari esempi di una politica fiscale di destra. Il fondamento teorico della flat tax è la curva di Laffer ispiratrice della controrivoluzione fiscale introdotta da Reagan a metà degli anni Ottanta quando la riduzione delle tasse per i ricchi ha causato una crescita esponenziale del debito tutta a favore del “big business” dentro un discorso neoliberale tutto teso ad “affamare la bestia”. Stando alle stime attuali, la flat tax comporterebbe un taglio di circa 50 miliardi alle entrate fiscali. Giovanni Dosi sul Sole 24 parlava l’altro giorno di un regalo ai ricchi contrario al principio costituzionale e alla progressività che rischia di far saltare i conti pubblici. Nel momento in cui tu redistribuisci la ricchezza dai poveri ai ricchi e consenti ai ricchi di pagare meno tasse, implicitamente dici che i servizi statali dovranno essere ridotti ulteriormente negli anni a venire e questo significa meno sanità, meno pensioni, meno scuola, meno diritti sul lavoro, in altre parole, più insicurezza e più psicofarmaci! Il problema tuttavia non è solo che nel mentre si propongono come difensori dei precariato implementano politiche tese ad aumentarne l’insicurezza sociale. L’altra cosa preoccupante è che i tagli alla spesa sociale vengono affiancati all’introduzione di una nuova gerarchia nell’accesso ai diritti. In questo senso, l’accesso gratuito agli asilo nido alle sole famiglie italiane va letto precisamente come un tentativo di introdurre una gerarchia razziale nell’accesso ai diritti. In erba vediamo emergere una gerarchia non solo in chiave razziale ma anche in chiave morale. E’ importante osservare che l’accesso ai diritti è anzitutto bianco, “prima gli italiani”, appunto, ma similmente possiamo dire “prima le madri”, non a caso il modello di welfare famigliare è piegato su un’idea della donna come madre che è da un lato sordo alle esigenze delle donne nella società contemporanea e dall’altro vagamente infarcito di quell’idea di maternità tutta ispirata all’obiettivo di crescita demografica richiesto dalla difesa della razza. In altre parole quello che vediamo emergere è un politica sociale di tagli e gerarchie tesa ad affermare un’idea di mondo sostanzialmente bianco, nazionalista e patriarcale – il contrario della sicurezza, se ci pensi.

Credi che questo modello sociale che potrebbe sfociare in situazioni di tensione ancora più difficili e pericolose?

Secondo me sì. Quanto tempo c’è voluto perché il PD fosse riconosciuto come un partito non di sinistra? Quando tempo ci vorrà per rendersi conto che queste politiche inducono alla guerra sociale? Il grimaldello dell’epoca contemporanea è che nessuna politica in questo momento può prescindere dall’essere fortemente antirazzista e femminista. Non a caso sono state le donne l’altro giorno a Roma a cacciare Casapound dal loro quartiere. Questa è la cosa fondamentale oggi in termini di sensibilità sociale, risvegliare e sostenere il femminismo e l’antirazzismo. È l’unico modo di delegittimare politiche patriarcali che sembrano tutte tese a riesumare il mito del grande padre, lo stesso padre simbolico sconfitto dalla resistenza.

Matteo Salvini
Foto dal profilo Facebook di Matteo Salvini https://www.facebook.com/salviniofficial/
  • Autore articolo
    Luigi Ambrosio
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    Jazz in un giorno d'estate di martedì 01/07/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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    E’ morto l’architetto Francesco Borella, per tanti il papà del Parco Nord Milano. Lo ha diretto per venti anni dagli inizi degli anni ‘80, quando lo ha progettato insieme al paesaggista Adreas Kipar. Cava dopo cava, orto spontaneo dopo orto spontaneo, aziende agricole in dismissione dopo aziende agricole a fine ciclo, ha rigenerato e riconesso con percorsi ciclopedonali l’ampia area che tra Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo si estende a Cusano Milanino, Cormano e ai quartieri milanesi di Affori, Bruzzano, Niguarda e Bicocca. Un parco che negli anni ‘70, quando è stato voluto con le mobilitazioni popolari, sembrava impensabile che potesse avere le presenze che ha il più noto e storico Parco di Monza. Fabio Fimiani ha chiesto un ricordo dell’attuale presidente del Parco Nord di Milano, Marzio Marzorati. Radio Popolare si stringe affettuosamente con un abbraccio ai figli Joanna, Cristiana, Giacomo e Sebastiano Borella.

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    Il podcast di Francesco Tragni e Giuseppe Fiori registrato dal vivo a Germi. Enrico Gabrielli è stato il secondo ospite che ha raccontato quali sono i suoi vinili di riferimento: polistrumentista, compositore e arrangiatore, ha collaborato con artisti come Muse e PJ Harvey, e fa parte dei gruppi Calibro 35, Winstons e Mariposa (in passato anche negli Afterhours). Complessivamente compare in oltre 200 dischi. Ha anche suonato il flauto traverso nella sigla di Dodici Pollici.

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