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Rudi Dutschke, 50 anni fa l’attentato a Berlino

Rudi Dutschke era certamente una delle persone più intelligenti che tu potessi incontrare nel ’67 e ’68, anni tumultuosi, e bellissimi. Studente antiautoritario per eccellenza nel crogiuolo di una Berlino ovest radicale, critica e libertaria, era personalità di spicco dell’SDS, la Lega Tedesca degli Studenti Socialisti, nell’orbita del partito socialdemocratico (SPD), ma con una grande autonomia (a dir poco).

Berlino ovest, città libera piantata nel cuore della Repubblica Democratica Tedesca, la RDT paese totalitario e comunista. RDT da cui leggenda vuole che Dutschke fuggisse tre giorni prima della costruzione del muro, diventando così all’unisono un profugo e un brillante studente in sociologia – in RDT l’università gli era stata interdetta. Berlino ovest che ebbe in quegli anni borgomastri socialdemocratici come Willy Brandt per diecianni fino al 1966, artefice in seguito della cosidetta ostpolitik che apre la strada a una normalizzazione dei rapporti tra Est e Ovest, Heinrich Albertz per un breve interregno e, a partire dal ’67, per altri dieci Klaus Schutz. Ovvero il Comune era guidato da persone che vedevano di buon occhio il fermento artistico, culturale, politico di cui gli studenti della Freie Universitat, l’Università Libera di Berlino, erano portatori. In questo contesto scoppia letteralmente il ’68, preparato dalle agitazioni del ’66 e ’67 principalmente antimperialiste e contro la guerra, in specie quella del Viet Nam.

Nervo di queste mobilitazioni furono gli studenti dell’SDS. Intanto le autorità accademiche per un verso, quelle di polizia per l’altro modulano diversi livelli di repressione, alcuni studenti finiscono in carcere, molti altri manganellati, mentre alcune facoltà vengono serrate con la sospensione delle immatricolazioni. Ma non vogliamo nè possiamo qui ripercorrere la cronaca e la storia di quegli anni, bensì sottolineare come in questo intreccio tra azioni antimperialiste e lotte per la democratizzazione dell’università si muovesse del tutto a suo agio Rudi il rosso, come Dutschke fu ben presto ribattezzato, diventando una figura famigliare di ogni corteo, raduno, assemblea, comizio.

Le sue doti di agitatore nato e di tribuno ne fecero un leader naturale, per di più molto simpatico come sapeva chiunque lo avvicinasse anche solo per stringergli la mano. Epperò un fatto va citato, perchè influenzerà in meniera forte tuttti gli eventi successivi, l’omicidio per mano di un poliziotto dello studente Benno Ohnesorg, durante una manifestazione contro la visita dello scià di Persia Reza Pahlawi nel giugno del 1967.

Fu un assassinio a sangue freddo come certificò la Procura berlinese circa quarantanni dopo, orchestrato dalla polizia e eseguito dall’agente Karl-Heinz Kurras, che per soprammercato in alcuni documenti desecretati nel 2009 viene indicato come un informatore della Stasi, la polizia segreta della RDT. Mentre Kurras all’epoca viene assolto con una sentenza a dir poco scandalosa, quell’omicidio così plateale induce una parte, seppure minoritaria, del movimento a interrogarsi se non sia il caso di mettere in campo forme di lotta violenta e/o di autodifesa armata.

Invece Rudi Dutschke traccia un altro possibile cammino per il movimento degli studenti antiautoritari: la lunga marcia attraverso le istituzioni. Indicazione preceduta da un saggio magistrale titolato “le contraddizioni del tardo capitalismo, gli studenti antiautoritari e il loro rapporto col Terzo Mondo” che si può leggere in “La ribellione degli studenti” edito da Feltrinelli nel maggio 1968. Ma la dialettica tra una ipotesi di lotta violenta e la lunga marcia attraverso le istituzioni viene brutalmente interrotta dall’attentato che ferisce Rudi in modo gravissimo l’11 aprile del ’68. Dutschke si salva a stento, rimanendo gravemente menomato, morendo causa i postumi delle ferite nel 1979.

Così l’intelligenza più brillante, estesa e profonda coniugata con una rigorosa militanza viene se non annichilita, certamente in larga misura spenta, lasciando il movimento monco e direi dislocato in una torsione impropria. L’attentatore Joseph Bachmann di professione imbianchino non chiarì mai le ragioni del suo gesto, salvo generiche geremiadi contro l’anarchico ribelle. Col che in una lettera resa nota dal figlio, Rudi racconta di essere sorvegliato dalla Stasi, che non gli ha perdonato forse la sua attività dissidente e pacifista – facendosi obiettore di coscienza – quando ancora viveva nella RDT. Ma poco importa seguire le tracce di più o meno ipotetici complotti per filo e per segno.

Dutschke progettava e perseguiva un progetto per una società libertaria e una democrazia radicale – la lunga marcia attraverso le istituzioni – che avrebbe potuto cambiare le prospettive e le sorti non solo del movimento studentesco ma dell’intero panorama politico tedesco, e quindi europeo. Per cui andava tolto di mezzo, e le forze della reazione nella RFT (Repubblica Federale Tedesca), così come quelle altrettanto reazionarie della RDT si sono certamente impegnate perchè ciò avvenisse.

  • Autore articolo
    Bruno Giorgini
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    Sabato 20 e domenica 21 settembre al Paolo Pini di Milano si terrà la prima edizione del Godai Fest, il festival multidisciplinare che unisce la musica alle arti performative e visive nato da un’idea del musicista Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti per abbattere i recinti di genere e di partecipazione, connettere le arti, sperimentare nuovi linguaggi, ampliare le visioni. L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà protagonista di un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (Fuoco, Terra, Acqua, Aria) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del Vuoto. Ad ogni elemento corrisponde un curatore: Rodrigo D'Erasmo in questa intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Volume ci ha presentato il concetto e il programma di questo festival.

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    In Etiopia inaugurata la diga della discordia

    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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