Approfondimenti

Le manifestazioni per la pace di Milano, gli interrogativi sulla strategia russa e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di sabato 19 marzo 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Milano scende in piazza contro la guerra ma i cortei sono due: a dividere il fronte pacifista è la decisione se inviare armi all’Ucraina o meno. Sul terreno dello scontro bellico si delinea la volontà russa di conquistare territorio lungo tutto il confine sulla direttrice nord-est-sud. La carovana solidale partita dal Rob de Matt di Milano è giunta alla fine del suo secondo viaggio e si appresta a rientrare con alcuni profughi. Il governo ha varato le misure e economiche di sostegno per affrontare la crisi energetica, ma lo sforzo appare timido. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia.

Milano contro la guerra e per il disarmo

(di Luca Parena)

Il corteo partito nel pomeriggio da largo Cairoli ha voluto marcare il proprio messaggio per differenziarsi dall’iniziativa promossa dal Consiglio comunale all’Arco della Pace. Per fermare la guerra non si può pensare di aumentare le spese militari, per costruire il futuro dell’umanità non si può prescindere dalla solidarietà dal basso tra i popoli. Messaggi radicali, sostenuti con particolare convinzione dai collettivi studenteschi.

Davanti a tutti il tradizionale drappo arcobaleno, seguito dalle bandiere dei partiti di sinistra, degli anarchici, dei Verdi. Nel complesso c’erano circa duemila persone, qualcuno notava che con il passare delle settimane non è semplice continuare a coinvolgere tante persone con lo stesso senso di urgenza delle prime mobilitazioni.

L’urgenza di sentirsi comunità, di darsi forza, l’hanno portata in piazza Duomo le donne e i giovani ucraini di Milano. Non più di un centinaio, ma decisi a gridare con cori e immagini l’orrore della guerra. Qualcuno stringeva in braccio dei fagotti di asciugamani colorati di rosso. Un messaggio evocativo, dei peluche sparsi per terra e un paio di cartelli lo rendevano inequivocabile: “basta uccidere i bambini”, “basta uccidere i nostri figli”.

Fino a che punto vuole spingersi la Russia?

(di Emanuele Valenti)

La Russia non ha ancora messo in campo tutto il suo potenziale militare. E nonostante le difficoltà e le perdite, di cui non conosciamo l’entità, pare sia in grado di andare avanti ancora a lungo.
Ma fino a che punto?
L’avanzata è in buona parte ferma, ma su alcuni direttrici i russi stanno spingendo di più e le difese ucraine potrebbero cedere.
La zona più delicata è il sud-est – la regione di Kharkiv e a scendere il Donbass, fino a Mariupol, dove la condanna del mondo intero non fermerà di certo i russi, affiancati dai filo-russi della Repubblica Popolare di Donetsk.
Si sta combattendo strada per strada e già da ieri Kiev ha ammesso di aver perso lo sbocco sul Mare di Azov.
Anche oggi alcune persone, molto poche, sono riuscite a fuggire. Le altre rimangono intrappolate nei rifugi.

E dove sono arrivati i profughi di Mariupol, Zaporizhia, verso il centro prima di Dnipropetrovsk, è entrato in vigore un coprifuoco fino a lunedì mattina. Le autorità locali temono di essere il prossimo obiettivo.
A sud, tra la Crimea e Odessa, gli ucraini resistono. Ma il bombardamento di ieri, a Mikolaiv, su una base militare ha fatto almeno 50/60 vittime.

Tra Kharkiv e il Donbass, soprattutto nella zona di Luhansk, sono stati evacuati oggi diversi villaggi. C’è stata una tregua locale. La linea del fronte del conflitto cominciato nel 2014 è ferma, ma i bombardamenti russi stanno forzando i civili alla fuga. Poco più su situazione difficile anche a Izium.
Per Putin la conquista di una discreta fascia di territorio lungo tutto il confine russo, da nord a sud, da sopra Kiev fino alla Crimea – anche senza le grandi città – potrebbe essere venduta all’opinione pubblica interna come un successo ed essere usata nel negoziato con gli ucraini. Che nonostante le tante dichiarazioni di questa settimana non sembrano aver ancora prodotto un punto d’incontro.

Diario dalla carovana solidale in Polonia

(di Martina Stefanoni)

Siamo in viaggio, abbiamo lasciato Przemysl da un paio d’ore. Oggi è stata una giornata di attesa. Abbiamo fatto la spola tra il centro di accoglienza del supermercato, la stazione e il valico di frontiera di Medyka. Questo perché arrivavano segnalazioni di persone che forse avevano bisogno di passaggi verso Milano, ma sono poi sempre state annullate.

Lo specifico perché mi permette di dare due informazioni: la prima è che ci hanno spiegato che in questo momento il passaggio da Leopoli è molto complicato e vengono fatte passare pochissime persone. Chi arriva parla di ore di coda alla frontiera. Nessuno tra i volontari sapeva dire con certezza perché le persone venissero bloccate al confine, ma qualcuno diceva per una questione di sicurezza.

L’altro è che mi hanno confermato anche i volontari del centro, che in questo momento la maggior parte delle persone che arrivano non hanno né amici né parenti in giro per l’Europa, e non hanno quindi un luogo già deciso dove andare. Colpisce moltissimo, quindi, vedere queste donne con i loro bambini, spesso molto piccoli, dover decidere in 10 minuti dove spostare le loro vite, sulla base delle poche informazioni che vengono date loro.

Prima di partire noi abbiamo fatto un salto alla stazione di Przemysl per vedere se c’era qualcuno che aveva bisogno di un passaggio, e abbiamo trovato una famiglia di 7 persone. 7 donne , 4 generazioni. Vengono da Kherson e, in viaggio con noi, stanno raggiungendo un amico a Bassano del Grappa.

Le misure del governo per fronteggiare la crisi energetica: un intervento a metà

(di Massimo Alberti)

Il governo fa il timido sulla tassazione degli extraprofitti delle imprese energetiche, il risultato è un intervento modesto su bollette e carburanti. Il taglio sulle accise durerà solo un mese. L’allargamento dei bonus sociali per gas e luce taglia fuori ancora centinaia di migliaia di famiglie. 

Il decreto entrerà in vigore la settimana prossima, con effetti che dovrebbero iniziare a vedersi nei giorni successivi. Nel complesso la cifra è bassa e l’intervento modesto: 4,4 miliardi perché il governo non ha voluto fare un nuovo scostamento di bilancio, ed è  stato assai timido sulla norma che finanzia il decreto, la tassazione degli extraprofitti delle imprese energetiche, intorno al 10% a fronte di profitti con aumenti a due cifre, per aziende che come Enel, Eni o A2A sono anche partecipate dallo stato.

“Parliamo di profitti enormi: Enel +33% sui ricavi, A2A +69%, Eni ha superato i 6 miliardi di utile, e sono destinati a crescere ancora” spiega Roberto Romano, ricercatore ed analista di politiche pubbliche per la CGIL. “Il governo italiano ha quote rilevanti nelle partecipate, doveva dare un altro orizzonte per far concorrere queste imprese ad aiutare in questa situazione”, conclude Romano.

 E così i soldi basteranno giusto per tagliare le accise sulla benzina di circa 25 centesimi ma solo per un mese, allargare da 8 a 12mila euro il tetto isee per il bonus sociale sulle bollette di cui beneficeranno circa un milione di famiglie in più rispetto alle attuali 4 milioni, ampliare la rateizzazione delle bollette per le imprese, ed una serie di bonus e agevolazioni per l’autotrasporto. I rappresentanti del settore sembrano i più soddisfatti ed hanno sospeso i blocchi previsti per i prossimi giorni. Delusione invece sugli altri fronti. 

Agnese Cecchini è direttrice di Canale Energia e fondatrice dell’Alleanza contro la povertà energetica: “In questo modo – spiega – centinaia di migliaia di famiglie restano fuori da bonus che sarebbero stati necessari, pensiamo a famiglie con più persone con Isee sui 15mila euro. Parliamo di pensionati, famiglie in difficoltà per disoccupazione o lavoro povero, messe in difficoltà dalla situazione economica di questi due anni, ora si aggiunge la guerra.”
Ulteriore problema è che per avere questi bonus si deve passare proprio dalla burocrazia dell’Isee, e non è automatica. “Il rischio è che ulteriori aumenti si mangino questi aiuti – prosegue Cecchini – soprattutto se consideriamo che i ceti più deboli spesso hanno un consumo più alto, causato da elettrodomestici vecchi, impianti di riscaldamento e infissi poco efficienti. Serviva di più e misure strutturali”.

Il problema della brevità dei provvedimenti è la critica anche di Mauro Antonelli dell’Unione Nazionale Consumatori. “Tra Iva e accise l’impatto sarà di circa 30 centesimi sul prezzo dei carburanti, che tornano però ad una situazione già successiva all’inizio della guerra. Il rischio è che ulteriori tensioni o speculazioni possano mangiarsi questi tagli”.

Critiche per la mancanza di misure strutturali sono arrivate anche da Confindustria. Dalle parole di ieri Draghi, sembrerebbe conscio dell’insufficienza delle misure, ma è altrettanto chiaro che dalle casse italiane non arriveranno altri soldi, pur in una situazione di inflazione destinata a durare, con l’impatto già pesantissimo sui ceti più deboli e sul mondo produttivo. L’austerità che applica in casa, Draghi chiederà di accantonarla in Europa: si punta così alla prossima settimana, quando l’Unione Europea potrebbe decidere il tetto al prezzo del gas e del petrolio, finanziato con gli eurobond, ma per farlo bisognerà superare le resistenze della Germania – resti ad ulteriori sanzioni energetiche alla Russia – e dei paesi nordici.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

Sono 74.024 i nuovi contagi da Covid nelle ultime 24 ore, +37% rispetto a 7 giorni fa. 85 i morti. Dopo il leggero aumento di ieri, è ripreso il calo dell’occupazione delle terapie intensive e dei reparti ordinari.

Il report esteso dell’Istituto superiore di sanità conferma l’andamento di crescita dei contagi, ma ancora di calo dei ricoveri. 

A livello europeo è il Belgio a far registrare un aumento dei ricoveri, +17%, insieme alla Gran Bretagna dove crescono soprattutto i ricoveri in fascia pediatrica, che hanno raggiunto i livelli della precedente ondata e le ospedalizzazioni sopra gli 80 anni, che hanno toccato il record dall’inizio della pandemia.

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    La retta della Rsa per le persone affette da Alzheimer deve essere a carico dell’Azienda Sanitaria: lo ha deciso la Corte d’Appello di Milano che ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tribunale di Milano. Sentenza che obbligava un cittadino lombardo a pagare il ricovero in una struttura sociosanitaria per la madre malata di demenza senile. Si tratta di rette insostenibili: secondo i sindacati, nonostante la Lombardia impegni 200 milioni di euro in più all’anno rispetto a quattro anni fa proprio per le RSA, queste alzano le rette e le famiglie continuano a pagare prezzi spropositati. Abbiamo sentito prima Laura Valsecchi di Medicina Democratica e successivamente Federica Trapletti, segretaria SPI CGIL che sta seguendo la vicenda.

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