Approfondimenti

I (grossi) guai del Movimento 5 Stelle, la crisi del lavoro e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di giovedì 24 giugno 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. E’ il momento più difficile nella storia dei 5 Stelle, Conte mediterà due giorni: probabilmente – dicono dal movimento – terrà una conferenza stampa lunedì in cui dovrebbe riferire se lascerà l’incarico di rifondatore oppure lo porterà avanti senza mettere in discussione la figura del fondatore. La variante Delta si diffonde in fretta anche in Italia: solo il 31 per cento degli italiani ha avuto due dosi. I numeri assoluti sul Covid restano buoni. Il governo lavora a un decreto per prolungare lo stop dei licenziamenti almeno in alcuni settori, come il tessile. Domani manifestazioni in diverse città. Ed è anche la giornata dei Pride: a Milano l’appuntamento è all’Arco della Pace dalle 16.  Infine l’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia.

Nessun accordo tra Conte e i “pontieri” a 5 Stelle


E’ sempre più incerto il futuro del Movimento Cinque Stelle. Si è risolto infatti senza accordi l’incontro di questo pomeriggio tra Giuseppe Conte e i parlamentari definiti “pontieri”: Stefano Patuanelli, Paola Taverna ed Ettore Licheri, che dovevano mediare dopo lo scontro con il fondatore Beppe Grillo e convincere l’ex presidente del consiglio a evitare lo strappo e mantenere l’incarico come leader in pectore nel rispetto della figura del garante e padre del movimento. Conte vuole carta bianca nella rifondazione del partito e non accetta la soluzione della “diarchia”, una doppia leadership da condividere con Grillo, che però ieri nel discorso ai deputati è stato chiaro nel rivedicare il suo ruolo al vertice. Tra i mediatori la figura principale è Luigi Di Maio, ma a giudicare dalle ultime dichiarazioni per ora non ci sono risultati: la parola ora spetta Conte, che probabilmente – dicono dal movimento – terrà una conferenza stampa lunedì in cui dovrebbe riferire se lascerà l’incarico di rifondatore, magari per mettere in piedi un suo progetto politico, oppure lo porterà avanti senza mettere in discussione la figura del fondatore.
Abbiamo raggiunto Davide Tripiedi, deputato del M5S, secondo cui un accordo tra i due è ancora possibile.

Dentro i lavoratori precari, fuori i garantiti

(di Massimo Alberti)

Con la fine del blocco dei licenziamenti le imprese hanno fretta di “levarsi di torno” gli esuberi. E sostituirli con lavoretti e collaborazioni in vista degli sgravi del Recovery Plan. Anche se i dati Istat dicono che le aziende non se la passano così male. Ma il governo sembra assecondare questa tendenza. Il governo quantifica in almeno 3 milioni le persone da ricollocare nell’ambito dei processi di ristrutturazione che attiveranno le imprese: disoccupati di lunga data cui si aggiungeranno gli espulsi dalle aziende con la fine del blocco.
Che il blocco non sarebbe stato rinnovato, era già chiaro quando, venendo incontro alle proteste di Confindustria, il governo si era rimangiato anche la mini proroga fino alla fine di agosto. Eppure per le imprese le cose non sembrano andare così male: al fatturato raddoppiato ed alla produzione tornata ai tempi pre-covid ad aprile, l’Istat oggi aggiunge il “marcato aumento” dell’indice di fiducia, ovvero delle previsioni future. Dati che stridono col piangere miseria degli industriali. Eppure, in questi mesi, per chi lavora questa crescita si è tradotta solo in contratti a tempo e collaborazione. I soldi della crescita, insomma, stanno andando in una direzione sola. Con la fine del blocco dei licenziamenti, il quadro che i sindacati temono è l’espulsione dal mercato del lavoro dei 50enni con lunghi contratti a tempo indeterminato, con giovani e donne precari e con stipendi più bassi. In questa direzione va la pioggia di incentivi prevista dal Recovery Plan, di fatto senza vincoli salariali e contrattuali. Anziché favorire la redistribuzione della ricchezza, il governo sembra assecondare questa tendenza. A luglio il ministro del lavoro Orlando presenterà alle regioni un piano da 9 miliardi per le cosiddette “politiche attive”: la stima è che nei prossimi 3 anni sarà necessario “riqualificare” almeno 3 milioni di persone per fornire la manodopera che le imprese chiederanno in fase di crescita: il 75% di questa platea sono disoccupati di lunga data, disabili, e appunto Under 30 e donne incentivati dal PNRR, formati a spese dello stato e senza oneri per le imprese, sulla base delle loro esigenze, cui si aggiungeranno gli espulsi delle aziende con la fine del blocco.
E’ per questo che, nonostante i dati positivi sui primi mesi dell’anno, e con le buone prospettive di crescita, le imprese sembrano aver fretta di poter iniziare a licenziare? Spulciando tra i documenti dei consulenti del lavoro delle imprese, si vede come la fine del blocco si prepari da mesi. Chi sta nelle aziende lo sa molto bene, spesso è già stato avvisato, come tanti hanno testimoniato a Radio Popolare: del resto anche a blocco in corso i licenziamenti sono stati almeno 400mila. Un documento consultabile sul sito dei consulenti del Lavoro di Milano, ad esempio, già novembre 2020 si premurava di suggerire alle imprese “incentivi alle dimissioni collettive” per incentivare i lavoratori, testuale, a “levarsi di torno”. Il loro problema sembra essere che non potranno farlo subito: dal primo luglio infatti industria ed edilizia potranno iniziare solo con i licenziamenti individuali per soppressione della mansione, riduzione degli stanziamenti pubblici, calo di fatturato. Le procedure di licenziamento collettivo sospese con la pandemia e le nuove potranno riprendere ma si concretizzeranno solo in autunno, quando arriveranno i problemi sociali veri, anche per la fine del blocco nei servizi. E’ quello che preoccupa sempre i solerti consulenti , allarmati non tanto dall’emergenza sociale che si potrebbe creare, ma dal fatto che, tante procedure tutte insieme, non consentiranno di licenziare “in un clima pacato”, ma, sempre testuale, in un clima “arroventato e frenetico”.

La variante Delta e i vaccini

(di Lorenza Ghidini)

Con la variante Delta, che sta causando in alcuni paesi un’impennata di contagi, la differenza la fanno i vaccini. Alcuni casi ci dicono come potrebbe andare in Italia nei prossimi mesi.
La Gran Bretagna viaggia ormai stabilmente sui 13-15 mila nuovi casi giornalieri. Le terapie intensive crescono velocemente, ma i numeri assoluti restano bassi, poco più di 200 unità. Questo significa che moltissimi prendono il virus, ma pochi per ora, in modo grave. La Gran Bretagna ha vaccinato l’80% della sua popolazione con una dose, il 50% con due dosi. Ora stanno accelerando.
In Israele da giorni i nuovi casi crescono esponenzialmente, anche qui è la variante Delta. Chi si sta infettando? La metà sono minori, a cui il vaccino non è stato dato. Israele ha vaccinato l’85% della sua popolazione adulta ma sul totale solo il 57%, è un paese giovane, e anche per questo l’aumento dei ricoveri va ben più lento di quello dei contagi.
In Russia è stato vaccinato con due dosi solo il 3% della popolazione, 10% con una dose, per questo assieme al numero dei contagi, ormai sui 20 mila al giorno, sale tanto anche il numero dei morti, ieri oltre 600.
In Italia si stima che la Delta sarà la variante predominante già ad agosto, per questo il Governo ha dato istruzione alle Regioni di vaccinare e sequenziare. Il problema italiano è proprio che si fa troppo poco sequenziamento, dunque non sappiamo mai se le percentuali delle varianti sono vicine o lontane alla realtà. Quanto alle vaccinazioni, solo il 31% degli italiani over 12 ha ricevuto due dosi. In questa situazione preoccupano i 70, 60 enni ma soprattutto i 50 enni, pochi di loro hanno già due dosi, sono la fascia più a rischio variante Delta.

Domani i Gay Pride di Milano e Roma


Il presidente della commissione giustizia del senato, il leghista Andrea Ostellari, ha convocato un tavolo di confronto sul Ddl Zan per il prossimo mercoledì. La destra sta cercando di capitalizzare l’affondo del Vaticano di un paio di giorni fa per rimettere in discussione il testo e poi, complice l’estate, le amministrative, il bilancio di fine anno e l’elezione del capo dello stato, rinviare tutto a data destinarsi. Movimento 5 stelle e Pd hanno annunciato di volere portare il testo in aula così com’è. Ma la maggioranza del Conte 2 non è solida, e tra Italia Viva, Pd e 5 Stelle ci sono almeno una ventina di voti incerti. Ne abbiamo parlato con Monica Cirinnà, che nel partito democratico è una delle più ferventi sostenitrici della legge.

Domani si terranno i Gay Pride di Milano e Roma. Radio Popolare ci sarà con i suoi inviati per raccontarvi tutti i colori dell’arcobaleno che dal palco allestito sotto l’arco si proietteranno su tutta la città. Dalle 16.00 alle 17.30 corrispondenze dai pride di Milano, Roma, e anche da New York e San Francisco

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

https://twitter.com/MinisteroSalute/status/1408464836976164870

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    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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