Approfondimenti

I no del governo sul caso di Ilaria Salis, la difficile trattativa per un cessate il fuoco e le altre notizie della giornata

Roberto Salis ANSA

Il racconto della giornata di lunedì 5 febbraio 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Dopo l’incontro coi ministri Nordio e Tajani, le parole di Roberto Salis: “È andata molto peggio di quanto ci aspettassimo, non vediamo nessuna azione che possa alleviare la situazione di mia figlia”. C’è un’indagine aperta per istigazione al suicidio per la morte nel Cpr di Ponte Galeria di un migrante di 22 anni, Ousmane Sylla. La trattativa per un cessate il fuoco non sembra aver fatto dei progressi importanti, con le posizioni di Hamas e Israele ancora troppo distanti. In Cile i morti per gli incendi che da giorni stanno devastando il paese sono 122, mentre il California oltre 14 milioni di persone sono in stato di allerta e quasi 700.000 sono rimaste senza corrente a causa dei forti temporali che si stanno abbattendo sullo Stato in questi giorni.

La delusione di Roberto Salis: “Dal governo solo no, Ilaria resterà in cella”

La parole amare del padre di Ilaria Salis. Roberto Salis oggi pomeriggio ha incontrato con i suoi avvocati i ministri Nordio e Tajani. C’era molta aspettativa su un possibile intervento del governo per far uscire Ilaria dal carcere. Invece le parole del padre, poco fa, hanno gelato tutte le speranze. “È andata molto peggio di quanto ci aspettassimo, non vediamo nessuna azione che possa alleviare la situazione di mia figlia. Siamo stati lasciati soli. Abiamo chiesto due cose, i domiciliari in Italia o in alternativa in ambasciata in Ungheria e entrambe ci sono state negate. Credo che mia figlia resterà ancora per molto tempo in carcere e la vedremo ancora in catene ai processi”. Eugenio Losco, avvocato della famiglia Salis:


 

Cosa di dice la scelta del governo di non agire nel caso di Ilaria Salis

(di Luigi Ambrosio)

Il governo italiano avrebbe potuto sostenere con il peso della diplomazia i legali di Ilaria Salis nella loro istanza per toglierla dal carcere dove è detenuta in condizioni degradanti e pericolose e farla stare ai domiciliari in Italia o in ambasciata durante il processo.
Ha deciso di non agire. Di fatto è un via libera politico al trattamento inumano nei confronti di Ilaria Salis. La condivisione di un metodo. Un sapore di rappresaglia. Un sentore di avvertimento per tutti gli oppositori. Qui da noi, non in Ungheria. Già le parole cariche di disprezzo e di sarcasmo del ministro Lollobrigida la scorsa settimana, quel “non ho visto le immagini di Ilaria Salis in catene quindi non le commento” richiamavano il metodo antico del bastonare e deridere. Ora il no a ogni inziativa conferma che il governo condivide il metodo delle catene, delle pene detentive abnormi, dei trattamenti violenti. L’Ungheria è una democratura ed è il modello politico di questa destra al potere. Di tutta la destra al potere, visto che Nordio sarebbe in teoria l’eroe del garantismo e Tajani il leader del partito liberale. Anzi, questi soggetti sono in un certo senso quelli che ne escono peggio. Si ammantano di essere i moderati, i democratici, i garantisti. Sono solo la foglia di fico.
 

La trattativa per un cessate il fuoco si complica

(di Emanuele Valenti)

L’arrivo in Medio Oriente di Antony Blinken conferma l’impegno degli Stati Uniti per una soluzione della crisi a Gaza. I più ottimisti dicono che la sua quinta visita nella regione dallo scorso ottobre possa coincidere con l’annuncio di una tregua o di un cessate il fuoco. In realtà il quadro è piuttosto complesso e Blinken potrebbe tornare a casa senza risultati concreti e immediati.
Alcuni media hanno dato in questi giorni per imminente una presa di posizione ufficiale di Hamas su una proposta concordata – in linea di massima – ormai più di una settimana fa, dai responsabili dei servizi di Stati Uniti, Israele, Egitto, Qatar. Altri media hanno già anticipato una risposta negativa.
Lo stesso Netanyahu, questo pomeriggio, parlando davanti a una riunione del suo partito, il Likud, ha ripetuto quello che abbiamo già sentito da lui tante altre volte in questi mesi: la guerra non può terminare adesso, finirà solo quando avremo eliminato Hamas e la sua leadership.

A parte la propoganda e a parte il tentativo di tenere buona l’estrema destra presente nel suo governo, il primo ministro israeliano ha toccato proprio quello che sembra essere il punto della discordia, sul quale la mediazione di Qatar ed Egitto, con il supporto americano, non riesce ancora ha portare le due parti – Israele e Hamas – a un compromesso. Una tregua di alcune settimne, almeno due mesi, oppure un cessate il fuoco definitivo? In sostanza: un’interruzione del conflitto per liberare gli ostaggi, rilasciare alcuni detenuti palestinesi e per far entrare aiuti umanitari a Gaza oppure la fine della guerra seguita da una trattativa su altri punti e sul futuro politico della regione?
Netanyahu è disposto al massimo a una tregua di qualche settimana – la proposta che citavamo sopra parlerebbe di due mesi. Ma Hamas vuole invece la fine della guerra e dice che si potrà parlare del resto solo quando Gaza non sarà più sotto i bombardamenti israeliani.
Un altro punto di disaccordo riguarda i detenuti palestinesi da liberare in cambio degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas e ad altri gruppi armati nella Striscia.
Anche su questo Netanyahu oggi ha anticipato tutti, dicendo che le richieste di Hamas sono inaccettabili. Tra queste ci sarebbe la liberazione di migliaia di detenuti, compresi alcuni condannati all’ergastolo o considerati da Israele come i principali responsabili degli attacchi palestinesi degli ultimi anni e decenni, per esempio Marwan Barghouti.

Viste le posizioni degli attori in campo – per quello che possiamo sapere – non stupisce il fatto che la trattativa sia così difficile. Impensabile che Hamas rilasci tutti gli ostaggi per riprendere poi la guerra senza avere in mano qualcosa su cui trattare e costringere Netanyahu a pesare le sue mosse. Hamas potrebbe accettare il rilascio in più fasi, forse tre, di tutti gli ostaggi, ma solo se il cessate il fuoco fosse definitivo. Ancora meno chiaro a che punto sia invece il negoziato su un altro punto sul quale l’organizzazione palestinese ha insistito molto, il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia. È tutto estremamente complesso.

Suicidi nei Cpr e nei penitenziari italiani, la presa di posizione degli avvocati penalisti

C’è un’indagine aperta per istigazione al suicidio per la morte nel Cpr di Ponte Galeria di un migrante di 22 anni, Ousmane Sylla. Gli inquirenti acquisiranno le telecamere di videosorveglianza presenti all’interno del Centro oltre al messaggio lasciato dal ragazzo prima di uccidersi. Nella rivolta scoppiata nel centro di detenzione dopo che si era diffusa la notizia, ci sono stati disordini per i quali oggi sono state arrestate 14 persone.
Sul fatto – e anche sui continui suicidi nelle carceri – c’è una presa di posizione significativa degli avvocati penalisti che accomuna la situazione dei Cpr e quella dei penitenziari italiani. Ai nostri microfoni Rinaldo Romanelli, segretario nazionale dell’Unione delle Camere Penali:


 

Gli incendi devastano il Cile mentre i temporali mettono in allerta la California

In Cile i morti per gli incendi che da giorni stanno devastando il paese sono 122. Il bilancio continua a crescere, mentre i vigili del fuoco sono al lavoro su una quarantina di focolai ancora attivi, alimentati dalle alte temperature e dai forti venti.
I roghi, molti dei quali di origine dolosa, sono scoppiati alla fine della scorsa settimana e si sono intensificati durante tutto il fine settimana, devastando le città costiere di Viña del Mar e Valparaiso. Centinaia di persone risultano ancora disperse e circa 14.000 case sono state danneggiate. Oggi due persone sospettate di aver provocato uno dei principali focolai sono state arrestate.
Negli Stati Uniti, invece, in California, oltre 14 milioni di persone sono in stato di allerta e quasi 700.000 sono rimaste senza corrente a causa dei forti temporali che si stanno abbattendo sullo Stato in questi giorni. Ieri a Los Angeles è stato il giorno più piovoso degli ultimi 20 anni, l’equivalente di un mese di pioggia in 24 ore. Secondo le previsioni del tempo, la pioggia continuerà ancora nelle prossime ore.

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    Redazione
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    Referendum 8 e 9 giugno, lavoro e cittadinanza. Una quarantina di personalità della ricerca e dell’università hanno lanciato un appello al voto per i cinque referendum. I quesiti chiedono di: «Vivere da cittadini», riducendo da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto per ottenere la cittadinanza italiana ai maggiorenni stranieri; «Vivere vite meno precarie», riducendo la possibilità di usare contratti di lavoro a tempo determinato; «Lavorare senza licenziamenti illegittimi», riducendo le possibilità di licenziamenti senza giusta causa; «Lavorare senza discriminazioni», riducendo le possibilità di licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese; «Lavorare senza infortuni», riducendo i rischi di incidenti e morti sul lavoro. Ospiti di Pubblica, per parlare di partecipazione, due firmatari/e: Filippo Barbera, sociologo dell’università di Torino e Donatella Della Porta, scienziata politica alla Scuola Normale Superiore di Firenze. Diverse le domande. E’ arrivato il momento di abbassare la soglia del 50% di partecipazione per rendere valido il referendum? Perchè fallisce la partecipazione? Quanto c’entra la complessità del quesito, la credibilità dei proponenti? «Non possiamo arrenderci all’assenteismo, ad una democrazia a bassa intensità», ha detto il presidente Mattarella per il 25 aprile. Il capo dello stato ha lasciato, però, inesplorate le ragioni profonde dell’astensione, ragioni che risiedono anche nell’impoverimento sociale, oltre che economico, del lavoro. Ha scritto la studiosa, dirigente dell’Istat, Linda Laura Sabbadini: «Il lavoro non è solo un mezzo per guadagnarsi da vivere: è la base della coesione sociale di un paese».

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