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L’attacco al campo profughi di Rafah, cinquant’anni dalla strage di piazza della Loggia e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di lunedì 27 maggio 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Per l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, Gaza è ormai un inferno in terra. Josep Borrell, capo della diplomazia europea, si dice inorridito dalla strage di Rafah. Il ministro della Difesa Crosetto e altri esponenti del governo italiano hanno criticato l’azione di Israele a Gaza. Alessandro Impagnatiello ha ammesso tutti i dettagli riguardanti il femminicidio della sua compagna Giulia Tramontanto. 50 anni fa la strage fascista e di stato di Piazza Della Loggia a Brescia.

L’attacco missilistico israeliano al campo profughi di Rafah

Per l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, Gaza è ormai un inferno in terra. Josep Borrell, capo della diplomazia europea, si dice inorridito dalla strage di Rafah. Emanule Macron è oltraggiato. L’Unione Africana parla del disprezzo israeliano per le sentenze internazionali. E sono furibondi i paesi arabi. Secondo il Qatar, il massacro può mettere in forse il Proseguire dei negoziati. Nell’unanime condanna internazionale, spicca la debolezza della reazione americana. Israele deve prendere precauzioni per difendere i civili, dice un portavoce della Casa Bianca. L’imbarazzo americano è evidente. Negli ultimi mesi, erano state innumerevoli le richieste da parte americana a Israele di non entrare a Rafah. Joe Biden aveva definito anzi l’offensiva a Rafah come la linea rossa che Israele non deve valicare, pena il blocco delle forniture militari. Con la strage di oggi, quella linea rossa è stata varcata e ora gli Stati Uniti si trovano sempre più soli nella difesa di Israele. L’isolamento americano risulterebbe ancora più evidente nel caso di un nuovo voto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. A quel punto, per Washington, risulterebbe davvero difficile proteggere, con il proprio veto, il governo di Benjamin Netanyahu.

Le reazioni della politica italiana alla strage di Rafah

(di Anna Bredice)
È Crosetto, il ministro della Difesa ed esprimersi in maniera così netta, “Israele sta seminando odio”, vuol dire che avrà avuto la certezza di avere una copertura alle spalle. Crosetto, anche se poi ha voluto precisare le sue parole dirette e poco diplomatiche, ha parlato anche per buona parte del governo, sicuramente per il suo partito, Fratelli d’Italia. “Ho l’impressione che Israele stia seminando un odio che coinvolgerà figli e nipoti, Hamas è un conto il popolo palestinese è un altro”, dice Crosetto, esprimendo in questo modo il sentimento di migliaia di persone e di politici che spesso si nascondono dietro parole molto più diplomatiche. Le critiche all’azione di Netanyahu che non vuole fermare la sua offensiva, bloccando possibilità di tregua, oltre a compiere continue stragi della popolazione palestinese, sono ormai diffuse, il ministro degli Esteri Tajani usa altre parole ma il concetto è simile, “abbiamo invito messaggi molto chiari a Israele di condanna per l’attacco a Rafah”. Giorgia Meloni probabilmente la pensa nello stesso modo, eppure resta come una macchia l’astensione dell’Italia nel voto sulla risoluzione dell’Onu che prevedeva il cessate il fuoco e il riconoscimento dello Stato palestinese. Ed è in questa contraddizione che le opposizioni in Italia cercano di inserirsi. Lo fanno i Cinque stelle che hanno depositato oggi una mozione con la quale chiedono al governo il riconoscimento unilaterale dello Stato palestinese e domani chiederanno che venga discussa e votata al più presto. Bisogna capire se il Pd aderirà e votare quella mozione o ne presenterà un’altra, ma soprattutto servirà a chiedere una presa di posizione precisa al governo Meloni, di condanna ufficiale del governo Netanyahu.

Stellantis, il confronto tra Tavares e i sindacati sul destino dello stabilimento di Mirafiori

(di Massimo Alberti)
Oggi l’incontro tra l’amministratore delegato di Stellantis Tavares e i sindacati sul futuro dello stabilimento torinese di Mirafiori, con la prospettiva di produrre a Mirafiori componenti per una 500 ibrida.
L’impegno che, finalmente in prima persona, Tavares potrebbe prendere su Mirafiori è la classica arma a doppio taglio. Di sicuro da finalmente respiro e prospettiva allo stabilimento torinese in una crisi che sembrava irreversibile. Anche se, il necessario cambio di piattaforma per restare su un motore termico, significa una effettiva produzione tra non prima di un anno e mezzo almeno. Dall’altra, apre però ulteriori interrogativi su cosa Stellantis intenda fare in Italia. Ad oggi se Mirafiori e Melfi, erano gli stabilimenti delegati all’elettrico, ma anche Melfi dove il primo modello dovrebbe prendere il via entro fine anno, ha una piattaforma riconvertibile al termico, il cambio di prospettiva su Mirafiori sembra far pensare ad un disimpegno di Stellantis in Italia dall’elettrico. Il drastico calo dei prezzi per la concorrenza cinese fa prevalere l’idea che quella produzione resti in paesi a basso costo del lavoro, come Polonia e Serbia. E considerato anche che il recente accordo di Stellantis con la cinese Lepomotor, per esportare e produrre utilitarie elettriche anche fuori dai confini cinesi, comprende una piattaforma che potrebbe essere usata anche per la futura 500, ma non è chiaro dove. Si pone così il problema di quale prospettiva a lungo periodo ci sia per un paese che non abbia produzioni solide su quello che tutto fa pensare sarà il mercato unico dell’auto. A meno naturalmente che le prossime elezioni europee pongano una drastica frenata ai piani di riconversione del settore verso l’elettrico, in vero già rallentati, conservando per l’ibrido qualcosa di più che una nicchia a breve periodo. Che è appunto il tema generale che riguarda gli stabilimenti italiani del gruppo, e non solo quello torinese, ma compresi appunto Cassino e Pomigliano. La transizione industriale in Iitalia, a cominciare dal settore dell’automotive, anche a causa di un governo piuttosto tiepido e incerto, continua ad esser molto complicata.

 

La confessione di Alessandro Impagnatiello per il femminicidio di Giulia Tramontano

Ha confessato e raccontato tutte le fasi del delitto Alessandro Impagnatiello, che un anno fa uccise la compagna Giulia Tramontanto, al settimo mese di gravidanza. Ha raccontato di aver tentato in precedenza di avvelenarla per provocare un aborto, senza riuscirci. Quindi di averla accoltellata più volte con un coltello da cucina che la donna stava usando per tagliare delle verdure. Poi di aver buttato il suo cellulare in un tombino e di aver tentato di far sparire il corpo. Dunque ha detto di essere andato a pranzo dalla madre con il corpo della donna nel bagagliaio dell’auto.
arrivato in aula Alessandro
Impagnatiello, è stato interrogato davanti alla Corte d’Assise di Milano nel processo in cui è imputato per l’omicidio La 29enne, è stata uccisa esattamente un anno fa, il 27 maggio del 2023, nella sua abitazione a Senago nel Milanese.

50 anni fa la strage fascista e di stato di Piazza Della Loggia a Brescia

(di Massimo Alberti)
Mezzo secolo, 50 anni fa la strage fascista e di stato di Piazza Della Loggia a Brescia. 8 morti e oltre 100 feriti per la bomba lasciata in un cestino e scoppiata alle 10,12 del 28 maggio 1974. Per la strage sono stati condannati in via definitiva l’allora dirigente di ordine Nuovo Carlo Maria Maggi, e l’uomo dei servizi segreti Maurizio Tramonte, come organizzatori e mandanti della strage. Altri due processi stanno per aprirsi con imputati i presunti esecutori materiali. Domani mattina le commemorazioni a Brescia col Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dalla piazza l’orazione ufficiale sarà tenuta dal segretario della Cgil Maurizio Landini. Vite stravolte dall’attimo di un’esplosione che ti porta via tutto: progetti, sogni, e speranze di quel cambiamento sociale vivo e reale, grazie alla forza dei movimenti, che le stragi fasciste e di stato, cui collaborarono anche apparati della Nato, miravano a fermare.
Piazza Loggia soprattutto, la più politica delle stragi, che colpiva una manifestazione antifascista che denunciava proprio il clima di reazione in cui una parte della politica, MSI in testa, premeva per una svolta autoritaria. Una verità storica, politica e anche giudiziaria, grazie alla sentenza d’appello, passata dalla cassazione, che mette nero su bianco le responsabilità dei neofascisti di ordine nuovo in collaborazione con apparati dello stato. Una storia giudiziaria ancora da completare con altri 2 processi ai presunti esecutori materiali, gli allora neofascisti veneti Roberto Zorzi e Marco Toffaloni, all’ epoca minorenne, il cui processo inizierà proprio dopodomani e attraverso cui si punta a ricostruire ancora meglio i rapporti tra Ordine Nuovo e pezzi di stato che portarono alla strage nel contesto della strategia della tensione. Alla “dimenticanza” del governo di costituirsi parte civile, poi rimediata, dovrebbe per coerenza seguire una presa di responsabilità, da parte degli eredi storici e politici dell’Msi, oggi al governo, che ancora manca. Pronunciando la parola con la F che Meloni non riesce proprio a dire.
Sul sito di Radio Popolare potete ascoltare le interviste integrali con Manlio Milani, fondatore dell’associazione dei familiari delle vittime, e la magistrata Anna Conforti, che ha scritto la sentenza definitiva. Domani dalle 9,30 la diretta delle commemorazioni dallo studio mobile in Piazza della Loggia a Brescia.

 

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    Gaza è sull’orlo del collasso a causa della fame acuta e della mancanza d’acqua. È l’allarme lanciato dalla Caritas

    In Israele aumentano le critiche al progetto del governo Netnayhu di costruire delle cosidette “città umanitarie” nel sud della striscia, al confine con l’Egitto, dove spostare tutti i palestinesi di Gaza. Oggi l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert li ha definiti “campi di concentramento”. Intanto proseguono incessanti i bombardamenti israelian sulla Striscia , nelle ultime 24 ore sono oltre 100 le vittime. La Caritas oggi ha lanciato un drammatico appello : “siamo vicini al collasso le vite dei palestinesi sono appese ad un filo a causa della fame acuta, della mancanza d’acqua e delle malattie, serve un intervento umanitario urgente”. Danilo Feliciangeli responsabile Caritas per il Medio Oriente.

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    Il grande flop delle case della salute. Solo il 5% è pienamente funzionante. La denuncia del Pd lombardo

    Dovevano essere i presidi con cui ricostruire la sanità sul territorio in Lombardia, ma finora le case di comunità sono state un flop. 216 sono quelle previste entro la scadenza dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che arriverà a giugno 2026. Al momento 140 hanno aperto, ma solo otto in tutta la regione (sei in provincia di Bergamo e due nel varesotto) hanno tutti i requisiti obbligatori previsti dalla legge. In totale sono meno del 6 percento. La denuncia è del gruppo consiliare del Partito democratico lombardo che ha fatto un accesso agli atti alla direzione generale Welfare per ognuna delle case di comunità attive in Lombardia. L’assessorato ha replicato che i numeri diffusi “sono usati in modo difforme dalla realtà. Le rilevazioni mostrano percentuali elevate di attuazione per la maggior parte dei servizi obbligatori”. Per il capogruppo del Pd al Pirellone, Pierfrancesco Majorino, “Regione Lombardia è in colpevole ritardo”.

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