Approfondimenti

Lo scontro tra Italia e Francia sui migranti, lo scambio di accuse dopo gli attacchi al Cremlino e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di giovedì 4 maggio 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il governo francese e quello italiano tornano a scontrarsi, dopo le polemiche legate alla nave umanitaria Ocean Viking nelle prime settimane di Giorgia Meloni da presidente del Consiglio. A proposito di immigrazione, oggi Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il generale Khalifa Haftar, che controlla la parte orientale della Libia. In Parlamento c’è stata l’approvazione definitiva del cosiddetto decreto Cutro.
Il giorno dopo l’attacco al Cremlino, continuano gli scambi di accuse sulle responsabilità. Oggi il portavoce del Cremlino Dimitry Peskov ha accusato gli Stati Uniti di essere il mandante dell’attentato. Su quali potrebbero essere le prospettive future dopo questo attacco, sentiamo Mara Morini docente di Politiche dell’Europa Orientale all’Università di Genova.

“La premier italiana è incapace di gestire l’immigrazione”

Il governo francese e quello italiano tornano a scontrarsi, dopo le polemiche legate alla nave umanitaria Ocean viking nelle prime settimane di Giorgia Meloni da presidente del Consiglio. Oggi il ministro dell’Interno di Parigi l’ha accusata di essere incapace di gestire l’immigrazione. “Parole inaccettabili” per il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha annullato una missione nel Paese prevista per oggi.

(di Luigi Ambrosio)

Il ministro dell’Interno francese ha ottime ragioni di politica interna, è anche di politica personale, per attaccare l’Italia sull’immigrazione. Le forze di Polizia che comanda le ha schierate in massa nelle città per arginare le manifestazioni contro la riforma delle pensioni e i confini sono meno presidiati.
Vorrebbe, Gérald Darmanin, che il governo italiano blindasse le frontiere in uscita verso la Francia. Cosa che Roma non è evidentemente interessata a fare. Ma Darmanin ha anche ambizioni personali come dicevamo perché incarnando la linea dura del governo di Parigi sta cercando di costruire una sua ipotesi di candidatura all’Eliseo quando scadrà il mandato del presidente Macron. Nei giorni scorsi ha minacciato di togliere i finanziamementi pubblici alla Lega dei Diritti Umani per sue le denunce delle repressioni violente dei manifestanti da parte della Polizia.
L’uscita di Darmanin ha creato un problema diplomatico, l’ennesimo, tra Italia e Francia. La ministra degli esteri di Parigi Catherine Colonna ha cercato di smorzare i toni dopo che il suo collega di Roma Tajani ha annullato per protesta il viaggio in Francia che era previsto proprio per oggi.
Un viaggio importante, perché i rapporti italo francesi sono tesi da quando è insediato il governo Meloni. Il caso più noto è il conflitto scoppiato lo scorso mese di novembre quando Roma negò un porto alla nave Ocean Viking carica di migranti e la nave della Ong alla fine approdò a Tolone, in Francia. “Il comportamento di Roma è inaccettabile” attaccò Parigi, e dovette intervenire il Presidente Mattarella per fare rientrare la crisi diplomatica, con una telefonata a Macron. Mattarella è il garante dei patti del Quirinale tra Italia e Francia, che segnarono un punto alto dei rapporti tra i due paesi. Oggi quel momento, col governo Meloni in Italia e le pulsioni anti immigrati in Francia, appare lontano.

Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il generale libico Khalifa Haftar

A proposito di immigrazione, oggi Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il generale Khalifa Haftar, che controlla la parte orientale della Libia. Claudia Gazzini è un’analista esperta del paese africano per la ong International Crisis Group

Il Parlamento ha approvato il decreto Cutro

In Parlamento oggi c’è stata l’approvazione definitiva del cosiddetto decreto Cutro. Durante la seduta sono stati esaminati diversi ordini del giorno presentati dai partiti, tra cui uno del Pd per cancellare la parola “razza” dai documenti della pubblica amministrazione in cui è ancora presente. La proposta è stata bocciata dal governo e dalla maggioranza nell’aula della camera, poi lo stesso Partito democratico si è diviso su un altro ordine del giorno, in questo caso contro gli accordi con la Libia firmati quando Marco Minniti era ministro dell’interno. Elly Schlein ha dato indicazione ai membri del Pd di votare a favore, ma alcuni si sono opposti. Nelle ultime ore nel partito si è discusso non solo su questo tema.

(di Anna Bredice)

E’ stata necessaria una nota ufficiale dal Nazareno per smentire che la segretaria del partito stia pensando di cambiare nome del gruppo in Europa, come sta invece decidendo di fare la Spagna. Quindi niente gruppo dei Socialisti, il nome rimane Socialisti&Democratici. Non è una questione solo lessicale, quella parola “democratici” è diventata oggi la bandiera di chi nel Pd fa fatica a seguire la svolta a sinistra della segretaria. Per alcune ore nel pomeriggio non si è parlato che di questo, l’ala moderata del partito ha difeso quell’aggettivo per contrastare una svolta troppo rapida, la stessa cosa è accaduta con l’ordine del giorno sulla Libia, che è parso a chi ha votato contro una sconfessione delle scelte del passato in materia di immigrazione. Ma Elly Schlein delle conferme fatte in campagna elettorale alle primarie sembra farne la cifra della guida del partito in questo momento. Lunedì sarà in Campania, a Salerno, feudo di De Luca, ma non lo incontrerà, quando parlava di cacicchi era a lui che si riferiva, così come ha già detto di essere contraria al terzo mandato. A parte alcuni malumori per ora non c’è un grande freno, anche perché in questa situazione il Pd non ha grandi competitori a sinistra, nel contrasto al decreto sul lavoro. Sabato sarà a Bologna insieme ai sindacati, Conte manderà solo una delegazione, l’area più a sinistra del partito la sostiene, anche chi l’ha appoggiata solo nelle ultime settimane prima del voto, come l’ex ministro del Lavoro Orlando, che appoggia Schlein in tutte le scelte di contrasto al decreto.

Continuano gli scambi di accuse dopo gli attacchi al Cremlino

Il giorno dopo l’attacco al Cremlino, continuano gli scambi di accuse sulle responsabilità. Oggi il portavoce del Cremlino Dimitry Peskov ha accusato gli Stati Uniti di essere il mandante dell’attentato. “Le decisioni sugli attacchi in territorio russo non sono prese a Kiev ma a Washington” ha detto Peskov, aggiungendo che questo rappresenta un coinvolgimento diretto degli Usa nel conflitto.
Gli Stati Uniti hanno immediatamente negato le accuse e il portavoce del consiglio di sicurezza nazionale John Kirby ha detto che “Gli Usa non incoraggiano, non sostengono e non forniscono supporto ad attacchi contro singoli leader”. Mentre crescono i timori per una rappresaglia russa su vasta scala, Peskov ha specificato che Mosca sta ancora valutando come muoversi, ma ha assicurato che un’azione arriverà. Su quali potrebbero essere le prospettive future dopo questo attacco, sentiamo Mara Morini docente di Politiche dell’Europa Orientale all’Università di Genova

Poco fa intanto, l’amministrazione regionale della Crimea ha detto che un drone era stato abbattuto nei pressi di una base russa, mentre questa notte Mosca ha colpito diverse città in tutto il paese, comprese Kiev e Odessa. Noi abbiamo raggiunto Natalia Onipko della Ong Soleterre a Kiev e Ugo Poletti, direttore dell’Odessa Journal e autore del libro “Nel cuore di Odessa”

La base sociale colpita dalla destra è anche quella meno rappresentata

(di Massimo Alberti)

Le due fasce sociali più colpite dal decreto lavoro del governo sono i giovani precari, e i più poveri. Quest’ultimi privati del reddito di cittadinanza, i primi condannati al circolo vizioso dei contratti a tempo, e di conseguenza dei bassi salari. Sono anche due gruppi sociali che non di rado si sovrappongono, e i più privi di rappresentanza sociale. Sindacale, perché il sindacato, in particolare quello confederale, oltre ai pensionati rappresenta la parte di lavoro più tutelata e solo in modo molto marginale quelli che una volta si definivano atipici, e ancor meno la marginalità sociale tra gli utenti del reddito di cittadinanza. Anche in quella parte di lavoro rappresentata dal sindacato, ha fatto breccia la narrazione falsa e tossica della disoccupazione come colpa del singolo, creando una contrapposizione che il sindacato stesso non ha contrastato adeguatamente. Il problema si riflette anche, forte, nella politica. Precari e poveri hanno per un po’ trovato una via nel voto ai 5stelle. Che però, in assenza di una struttura partitica e ideologica solida, non li ha mai trasformati in blocco sociale. Ormai lontani dai tradizionali partiti di sinistra o presunta tale, ingrossano ora quell’ astensione “per censo”, più alta all’abbassarsi del reddito, che ha raggiunto ormai dimensioni preoccupanti. La base sociale più colpita dalla destra è dunque anche quella più frammentata e meno rappresentata. E ormai distante dai lavoratori più tutelati, che pure i provvedimenti del governo non aiutano, visto che il cuneo fiscale – e qui sta anche il grosso errore del sindacato – lo ripagheranno gli stessi lavoratori, come è successo in oltre 20 anni di tagli al cuneo che non hanno impedito ai salari italiani di diminuire, unico caso in Europa, a vantaggio dei profitti. E’ tema che chi vuol ricostruire un’opposizione, politica, sindacale, nelle piazze, non può più eludere.

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    Raul Gatti è un ex campione del tennis caduto in disgrazia, alcolista e disoccupato, interpretato da Pierfrancesco Favino nel film Il Maestro: “Ho seguito il tennis fin da ragazzo e mi sono subito affezionato a questo personaggio perdente, il più fallito che ho interpretato nella mia vita. Perché anche quelli che ho rappresentato in passato, per quanto fossero decaduti, avevano comunque un atteggiamento da vincenti”. Siamo negli anni ‘80 e Gatti viene assoldato per allenare un giovanissima promessa, Felice Milella, un ragazzino di 13 anni con i numeri per partecipare ai match più prestigiosi. Il regista Andrea Di Stefano aveva questo progetto nel cassetto molto prima che il tennis tornasse ad essere uno sport di moda: “Ho scritto questa sceneggiatura nel 2006, l’ho depositata e abbiamo le prove – ironizza il regista. Doveva essere il mio primo lungometraggio, prima ancora di realizzare L’ultima notte di Amore, con Pierfrancesco Favino, a cui avevo già pensato allora per questo personaggio di divo decaduto”. L'intervista di Barbara Sorrentini al regista Andrea Di Stefano e a Pierfrancesco Favino.

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