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L’assalto israeliano all’ospedale Nasser, le tensioni nella maggioranza e le altre notizie della giornata

Rafah Gaza ANSA

Il racconto della giornata di giovedì 15 febbraio 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. A Khan Yunis i militari israeliani hanno fatto irruzione nell’ospedale Nasser, il più grande di tutta la parte meridionale della Striscia di Gaza. In Italia se prima si imponeva il fair play, ora il partito di Giorgia Meloni non le manda proprio a dire a Matteo Salvini. Sulla carta d’identità elettronica di un minore non si può usare la dicitura madre e padre, se il minore è figlio di una coppia omosessuale: la Corte d’Appello di Roma oggi ha di fatto smontato un decreto firmato da Matteo Salvini quando era ministro dell’Interno. Comincerà il 25 marzo a New York il processo a Donald Trump per l’accusa di aver pagato illegalmente la pornostar Stormy Daniels.

Israele attacca l’ospedale Nasser

A Khan Yunis i militari israeliani hanno fatto irruzione nell’ospedale Nasser, il più grande di tutta la parte meridionale della Striscia di Gaza; lo denunciano i medici della struttura e l’ong Medici Senza Frontiere che opera nell’ospedale, lo confermano anche le Forze di Difesa israeliane. 
Già stamattina, dopo giorni di assedio, la struttura era stata di nuovo bombardata; l’attacco ha causato un numero imprecisato di morti e feriti. Nel pomeriggio poi l’irruzione dei carri armati che hanno sfondato i muri esteri, con i militari che sono entrati nei reparti e hanno costretto tutti alla fuga.
Da parte sua l’esercito di Tel Aviv dichiara che quello in corso all’ospedale Nasser è un raid “preciso e limitato”, e afferma di avere prove che dentro la struttura si trovano miliziani di Hamas e ostaggi.
Intanto in Israele è arrivato il direttore della CIA William Burns, ha visto il primo ministro Benjamin Netanyahu e il capo del Mossad; al centro del colloquio la possibile tregua temporanea in cambio del rilascio degli ostaggi. La visita è considerata un segnale che la trattativa, nonostante le difficoltà, va ancora avanti. Da Tel Aviv arriva però un segno di chiusura invece sulla proposta elaborata da Washington e dai paesi arabi per la creazione di uno stato palestinese alla fine del conflitto: “Non è il momento di fare regali al popolo palestinese”.

Le tensioni della maggioranza sono sempre più evidenti

(di Anna Bredice)

Se prima si imponeva il fair play, ora il partito di Giorgia Meloni non le manda proprio a dire a Matteo Salvini. Oggi tocca al tema del terzo mandato per i presidenti delle Regioni, ma l’insofferenza inizia a percepirsi per il continuo controcanto del capo della Lega su tanti temi. Questa mattina il ministro Ciriani ha ricordato a al presidente del Veneto Zaia di non essere eterno, che in Veneto è necessaria l’alternanza e senza mezzi termini ha puntato sulle due caselle, Piemonte e Veneto, alle prossime elezioni devono essere di Fratelli d’Italia che è il partito che ha ottenuto più voti. Quindi al di là delle schermaglie – cioè di voler posticipare la discussione sul terzo mandato ad un altro momento, senza la fretta che Salvini vorrebbe dare ora inserendo un emendamento al decreto elezioni – da parte di Giorgia Meloni c’è l’ordine di tenere la porta chiusa ad una ricandidatura della Lega in una regione che fa gola alla Presidente del Consiglio. Lollobrigida ha anche avvisato Salvini, in sostanza gli ha detto che potrebbe fare la fine di Gianfranco Fini dopo gli attacchi a Berlusconi. Il tema del terzo mandato, per Zaia sarebbe il quarto se si ricandidasse, è materia di tensione dentro al governo. L’opposizione per ora sta a guardare anche piuttosto interessata, perché in ballo c’è la volontà di De Luca di continuare a guidare la Campania, c’è l’Emilia Romagna di Bonaccini. Nella diatriba tra Meloni e Salvini ormai non si contano i temi di contrasto, ci sono gli agricoltori con i trattori in strada, ma la giornata di manifestazioni a Roma si è rivelata poco incisiva per permettere a Salvini di continuare a cavalcare la protesta, c’è stata poi la mozione sul Medio Oriente, l’intesa tra Schlein e Meloni che ha portato alla mozione passata alla Camera dei deputati ha lasciato in secondo piano Salvini da un lato e Conte dall’altro.

Famiglie arcobaleno, la Corte d’Appello di Roma smonta il decreto firmato da Salvini

Sulla carta d’identità elettronica di un minore non si può usare la dicitura madre e padre, se il minore è figlio di una coppia omosessuale. La Corte d’Appello di Roma oggi ha di fatto smontato un decreto firmato da Matteo Salvini quando era ministro dell’Interno. Si tratta del provvedimento che obbliga ad utilizzare in ogni caso il termine madre-padre sui documenti dei figli. Per il tribunale invece va indicato il termine di “genitore” o – dice la sentenza – una “dizione corrispondente ai dati personali che risultano nei registri dello stato civile”. Secondo i giudici, il decreto del Viminale può configurare il reato di falso ideologico.
Il verdetto riguardava un caso specifico di due madri che nel 2019 avevano fatto ricorso, vincendo la loro battaglia in primo grado e ora anche in appello. Adesso le famiglie arcobaleno chiedono di cancellare quel provvedimento.

Trump a processo a New York dal 25 marzo

Comincerà il 25 marzo a New York il processo a Donald Trump per l’accusa di aver pagato illegalmente la pornostar Stormy Daniels e l’ex coniglietta di Playboy Karen McDougal affinché non rivelassero, durante la sua campagna elettorale del 2020, le relazioni che aveva avuto con loro. 
Lo ha deciso oggi il giudice incaricato, respingendo la richiesta di rinvio presentata dai legali dell’ex presidente.
È il primo processo penale a carico di Trump che ha una data certa d’inizio, e che si terrà in piena campagna elettorale per le presidenziali di novembre. 
Su Trump pendono altri 3 processi; quello sui suoi tentativi di ribaltare il voto in Georgia potrebbe però essere rinviato: oggi in un’udienza ad Atlanta la procuratrice che ha seguito l’inchiesta è stata accusata di essere coinvolta in una relazione sentimentale con il procuratore speciale. Il giudice potrebbe decidere di escluderla o anche di far saltare il processo.

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