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Reddito minimo: bisogna fare presto

“Siamo in piena emergenza sociale, la povertà in questi anni è raddoppiata, occorre subito il reddito minimo. Se non adesso, quando?”.

Chiara Saraceno è una delle sociologhe più competenti e stimate in Italia. Ed è soprattutto una donna ostinata, che si batte per quello in cui crede. E per lei il reddito minimo, pur non essendo la panacea di tutti i mali, è sicuramente uno strumento molto importante per tutelare i più deboli, per dare respiro a chi non ce la fa, per fare “un po’ di giustizia” in un Paese come il nostro, dove la povertà è passata dal 4 per cento del 2008 all’8 per cento del 2015. Un incremento che si traduce in  persone che non riescono a acquistare i beni essenziali e rinunciano spesso alle cure.

“La crisi – spiega Saracenno- ha colpito particolarmente duro l’Italia, e le diseguaglianze sono aumentate: la ricchezza si è concentrata sempre più nelle mani di pochi. Il reddito minimo è un punto centrale, ma poi occorre rafforzare le politiche di conciliazione lavoro-famiglia che sono particolarmete importanti per le donne a bassa qualifica e basso reddito. Inoltre serve un’efficace politica abitativa che aiuti chi non riesce a pagare l’affitto”.

In questo contesto, aggiunge la sociologa, “la politica sottovaluta in modo preoccupante il destino dei giovani che vivono periodi lunghi di disoccupazione, di precariato. Si tratta di una povertà giovanile che rischia di rendere i ragazzi, le ragazze di oggi svantaggiati per tutta la vita”.

Professoressa Saraceno, perché secondo lei occorre al più presto un reddito minimo?

Occorre oggi più che mai perché non c’è abbastanza lavoro e spesso non tutti i lavori danno un reddito sufficiente per vivere con dignità, in un contesto in cui la povertà è un’emergenza sociale. E la politica finge di non accorgersene.

Lei che tipo di reddito minimo ha in mente?

Un reddito commisurato all’ampiezza della famiglia. E come quantità almeno vicino alla soglia di povertà, ai minimi sociali, quindi tra i 400 e i 500 euro mensili a persona. È il minimo per garantire quello che io chiamo ‘il diritto al consumo’, e va aumentato in base alla composizione familiare.

E per evitare che poi il reddito minimo diventi solo assistenzialismo?

Guardi, le cito l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ndr)che non è certo di estrema sinistra: l’Ocse spiega che è utile avere un reddito minimo ben congegnato.

Con quali caratteristiche?

Un reddito che impedisca a una persona di sedersi, quindi un assistenzialismo attivo che sia da stimolo per cercare un nuovo lavoro, con il supporto di consulenti, con la formazione professionale. Un reddito minimo dignitoso dà tempo e serenità mentale per pensare e agire per il proprio futuro.

Facile -le si obietta- chiedere il reddito minimo, ma costerebbe molto alle casse dello Stato. Lei ha fatto dei conti?

Ci sono stime diverse. Dipende da dove mettiamo l’asticella. La stima del Movimento 5Stelle è di circa 16 miliardi a regime, 780 euro al mese a chi ha bisogno. Poi ci sono altre proposte più conservative che ipotizzano una spesa di 7 miliardi.

Sono comunque tanti soldi…

Sono tanti, ma sono meno di quanto costano gli 80 euro mensili per i lavoratori dipendenti a basso reddito decisi dal Governo senza colpo ferire (circa 10 miliardi, ndr). Questi soldi sarebbero serviti per un reddito minimo decente; come senza colpo ferire è stata tolta la Tasi e l’Imu (costo oltre 4 miliardi, ndr) favorendo i più benestanti. Come vede è un questione di scelte, di priorità.

Ma Renzi risponde a chi propone il reddito minimo sostenendo che è uno strumento sbagliato perché – dice il capo del Governo- la Costituzione parla di diritto al lavoro e quindi l’obiettivo è combattere la disoccupazione, creando lavoro. Cosa risponde?

A parte il fatto che la nostra Costituzione parla sì di diritto al lavoro, ma parla anche del diritto a una vita decente. E poi io sono del tutto favorevole a creare lavoro – ci mancherebbe-, ma nel frattempo cosa facciamo per chi non ce la fa. Cosa facciamo per i bambini i cui genitori non guadagnano abbastanza? E ancora cosa facciamo per chi ha una malattia e non può cercare un lavoro? Infine – e cito ancora l’Ocse – cosa facciamo davanti a quei tanti lavori precari, squalificati e a basso salario prodotti in questi anni?

Dal Governo rispondono che sono stati stanziati complessivamente 1 miliardo e 600 milioni per le povertà.

Cioè pochissimo, anche se di più di quanto hanno stanziato i precedenti governi. Come le dicevo occorrono almeno 7 miliardi per dare il minimo alle persone in difficoltà.

Come giudica gli effetti del Jobs Act?

Ha reso più flessibile il mercato del lavoro: è piu facile licenziare anche nei contratti a tempo indeterminato con l’abolizione dell’Articolo 18 (articolo dello Statuto dei Lavoratori che vieta il licenziamento senza giusta causa, ndr). Non a caso la Confindustria è più che soddisfatta.

Ma non è anche più facile e conveniente assumere?

Ma per assumere ci vuole un mercato che funzioni, servono investimenti: Renzi ha sbagliato. Doveva dire alle imprese: “Io ho fatto tutto quello che mi avete chiesto, adesso tocca a voi”. Doveva pretenderlo. E poi voglio vedere cosa succederà quando scadranno gli incentivi fiscali alle aziende per assumere, incentivi dati senza contropartite. Le contropartite in genere vengono sempre chieste ai poveri e non agli industriali.

Lei si batte da tempo, per il reddito minimo, mi pare dagli anni ’80

Sì, dalla prima Commissione sulle povertà, nel 1986.

E che riflessione fa?

Mi viene da dire: se non adesso, quando? Cosa dobbiamo ancora aspettare dopo gli effetti devastanti della crisi? Siamo solo noi e la Grecia a non averlo Invece il reddito minimo non è passato ancora nell’agenda del Governo, con delle contraddizioni macroscopiche. La vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani, ha fatto il reddito minimo nella sua Regione, il Friuli-Venezia Giulia, dov’è Presidente. Ma nello stesso tempo non si batte perché il suo partito vari il reddito minimo in Parlamento. Ora anche in Puglia è stato approvato il reddito minimo (600 euro al mese, per 60 mila persone, ndr). Insomma una breccia si è aperta. E se il Governo fosse intelligente proporrebbe un fondo comune Stato-Regioni per introdurre in Italia il reddito minimo.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale

    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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