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“La più grande prigione per i giornalisti”

Delle manette, una persona dietro le sbarre, una televisione cancellata: sono queste alcune delle immagini che accompagnano l’ultimo rapporto trimestrale sull’informazione in Turchia pubblicato da Bianet, un’agenzia di stampa indipendente con base a Istanbul.

I numeri che il rapporto rende noti sono tali da giustificare l’iconografia utilizzata: nei tre mesi susseguiti al fallito golpe di Stato il numero dei giornalisti che si trovano nelle carceri turche è salito a 107. 173 organi di informazione, tra televisioni, radio e giornali, sono stati chiusi, e più di 2.500 giornalisti sono rimasti senza lavoro.

Effetto dello stato di emergenza, dichiarato dopo il golpe e recentemente prolungato di altri tre mesi, e di una controversa legge sul terrorismo.

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Nello stesso trimestre di un anno fa, i giornalisti in prigione erano 24. Anche gli altri dati, come il numero di procedimenti penali o di ammonizioni, si sono più che triplicati. Dei 107 giornalisti attualmente incarcerati, 71 lavoravano per mezzi di informazione collegati al movimento di Fetullah Gulen, l’imam ritenuto l’organizzatore del tentativo di golpe, mentre altri 29 facevano riferimento a mezzi di informazione curdi o filocurdi. In totale nei processi a loro carico tutti questi giornalisti stanno rischiando 226 ergastoli e altri duemila anni di prigione: sono accusati di essere parte di organizzazioni armate o illegali, o di supportarle e farne propaganda.

Dopo due anni di relativo miglioramento, si commenta nel rapporto, la Turchia è tornata a essere la più grande prigione per giornalisti.

Lo stato dell’informazione – dove i media di opposizione sono spariti o sono stati ammansiti – rispecchia quello che nella società continua ad avvenire a ritmi impressionanti: arresti e sospensione di incarichi. Non passa giorno che dai giornali non si apprenda di una qualche operazione di polizia che ha portato all’arresto di decine di persone.

E nel bel mezzo di arresti, purghe e pesanti restrizioni all’informazione, il partito di governo sta definendo una proposta di riforma costituzionale che prevede la modifica in chiave presidenziale tanto agognata dal presidente Erdogan. Tale progetto verrà presentato in parlamento a gennaio e se approvato, come è molto probabile accada, potrà diventare consultazione referendaria in aprile.

In questo scenario preoccupante e monodiretto, comincia ad arrivare una reazione da parte delle opposizioni: contro questo tentativo di indebolimento del parlamento e contro le guerre interne ed esterne che il governo turco sta conducendo, qualche giorno fa sindacati, ordini professionali, artisti, accademici, attivisti per i diritti umani e anche esponenti dei due principali partiti di opposizione di sinistra, si sono riuniti per la prima volta: insieme hanno lanciato un coordinamento che lavori in maniera differente dal partito di governo, cioè per il conseguimento di una vera democrazia, libertà e pace.

  • Autore articolo
    Serena Tarabini
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    Epstein Files: spunta una lettera di Trump

    La notizia che pubblica il Wall Steet Journal è clamorosa. Il quotidiano finanziario di New York ha reso pubblica una lettera che Trump scrisse a Jeffrey Epstein, morto in carcere dove era rinchiuso con accuse di traffico sessuale tra minorenni, per il suo 50esimo compleanno in cui si faceva esplicita allusione all’intesa tra i due per via del rapporto con le ragazze di Epstein. La lettera è contenuta in un album con le lettere di altri amici di Epstein. Trump scrisse un immaginario dialogo tra i due in cui alludeva alle avventure sessuali come il piu forte legame della loro amicizia, corredato dalla foto di una ragazza nuda. Trump ha reagito alla solita maniera: è una fake news, ha detto, e ha annunciato una causa al giorrnale e all’editore Rupert Murdoch. Poi ha detto che il ministero della giustizia renderà noti i documenti su Epstein. In realtà il complotto degli Epstein Files fu alimentato proprio dagli ambienti della Alt Right statunitense che sostiene Trump. E lo stesso Trump ha accusato di nuovo i democratici. Mario Del Pero, professore alla univeristà Science Po.

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