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Quarta ondata: una ripresa era prevedibile, ora bisogna continuare a vaccinare

quarta ondata

I numeri della quarta ondata in Europa crescono sempre di più e molti Paesi stanno introducendo misure più restrittive per cercare di rallentare la diffusione del virus. Ai microfoni di Radio Popolare Lorenza Ghidini ha intervistato Giulia Carla Marchetti, professoressa e infettivologa all’università statale di Milano.

Potete riascoltare l’intervista integrale nel podcast della puntata di Prisma di lunedì 15 novembre 2021

Siamo in una fase di aumento dei contagi piuttosto deciso. A cosa è dovuto secondo lei?

Questo aumento dei casi era abbastanza prevedibile. Il periodo invernale è tipicamente un momento di ripresa di tutte le infezioni da virus respiratori. Le persone passano più tempo in casa o in ambienti dove l’aerazione è ridotta e quindi la possibilità di infezione è maggiore. Inoltre, l’inverno e le basse temperature riducono la capacità del sistema immunitario. Dobbiamo aspettarci una piccola o grande ripresa in tutte quelle parti del mondo in cui, in questo momento, le temperature sono più basse.

Quindi da questo punto di vista non c’è da allarmarsi? Si potrebbe dire che l’importante è continuare a vaccinarsi?

Assolutamente. Non ci sono ragioni strane o arcani che non abbiamo capito. Sapevamo che una ripresa sarebbe stata inevitabile. Il problema è che questa infezione può avere, in una certa percentuale  di persone, un andamento negativo. Le armi a nostra disposizione per difenderci dall’infezione rimangono le misure di prevenzione fisica come l’utilizzo delle mascherine e la detersione delle mani e i vaccini. Può sembrare banale ma i vaccini restano lo strumento più efficace contro la diffusione del virus. La campagna vaccinale ci ha portato ad avere un numero di casi relativamente basso rispetto ad altri Paesi europei. Dobbiamo andare avanti a vaccinare senza sosta, senza paura e soprattutto con grossa fiducia e determinazione. Solo questo ci porterà fuori da questa cosiddetta quarta ondata.

Quanto influisce la percentuale di popolazione non ancora vaccinata sulla corsa della quarta ondata?
In questi giorni si sta discutendo la possibilità di vaccinare i più piccoli. Si può stabilire quanto influiscono i bambini non vaccinati sulla circolazione del virus?

Queste sono domande importantissime che centrano il punto della questione. La diffusione del virus è mantenuta da chi non è vaccinato o per essere più precisi da chi non è immunizzato. Questi soggetti, nel caso di un’infezione, si caratterizzano per una grossa quantità di virus nelle vie aeree e di conseguenza hanno una grossa probabilità di diffondere il virus. Le persone vaccinate o immunizzate quandanche dovessero infettarsi non avrebbero la stessa capacità di diffusione.

I bambini sono una tematica importante. Capire quanto essi siano diffusori del virus è cruciale e per la ricerca e il controllo epidemiologico dell’infezione. Purtroppo questo dato non è ancora disponibile.
Non le so dare una valutazione scientifica certa di quanto i bambini siano responsabili della circolazione del Covid. La capacità di diffusione del virus dei più piccoli potrebbe essere minore rispetto a quella degli adulti, ma sicuramente anche loro sono in grado di trasmetterlo. Quando si parla della percentuale di persone che non essendo immunizzate o vaccinate possono essere diffusori ad alto livello bisogna includere anche i bambini. Per i bambini il vaccino ad m-RNA è molto efficace e sicuro, previene una malattia che nella maggior parte dei casi (ma non sempre) è silente e riduce la possibilità di diffondere l’infezione.

È d’accordo con la proposta di rilasciare il Green Pass solo a chi effettua tamponi molecolari?

Sono assolutamente d’accordo. I tamponi antigenici sono più rapidi, ma possono avere una sensitività ridotta. Andando incontro ad una fase in cui, per le ragioni che abbiamo già discusso, i casi aumenteranno utilizzare un tipo di tampone più efficace è fondamentale per impedire o ridurre la trasmissione dell’infezione e rallentare la quarta ondata.

 

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    Kei Pritsker, regista con Michael T Workman del documentario “The Encampments”, racconta ai microfoni di Radio Popolare i retroscena della protesta studentesca pro Palestina alla Columbia University. “Gli studenti della Columbia protestano da anni per la Palestina e per ottenere che l’università dismetta gli investimenti in Israele – spiega Pritsker. L’università ha un ingente fondo di dotazione che investe in ogni sorta di attività, molte delle quali riguardano aziende produttrici di armi, aziende manifatturiere che realizzano armamenti, motori per elicotteri, bulldozer e ogni tipo di attrezzatura utilizzata in queste operazioni”. “The Encampments” fa parlare i ragazzi e le ragazze di questo movimento studentesco che dall’aprile del 2024 ha montato le tende nel giardino del Campus per chiedere trasparenza, il ritiro del denaro dagli investimenti israeliani e l’amnistia per gli studenti puniti per le proteste. “Chiunque creda ancora a questa narrativa sull’antisemitismo nel movimento per la Palestina dovrebbe semplicemente guardare il film – assicura Kei Pritsker”. Al momento “The Encampments” ha una distribuzione indipendente che lo diffonde nei cinema più coraggiosi. L'intervista di Barbara Sorrentini per la trasmissione Chassis.

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