Alessandro Robecchi è un fiero dylaniano. Se qualcuno non se ne fosse accorto prima, dovrebbero essere bastati i suoi due recenti romanzi gialli, con un protagonista, Carlo Monterossi, che usa la musica e le parole di Bob Dylan come terapia, come colonna sonora dei suoi momenti più introspettivi.
Non potevamo dunque che pensare a lui, per un commento sulla decisione di dare il Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan. E così, al microfono di Davide Facchini, Robecchi si è sbilanciato sulla questione più dibattuta in queste prime ore dopo l’annuncio della decisione dell’Accademia Svedese. E’ giusto dare il Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, un cantautore?
“Anche io ho letto un po’ di discussioni tra i puristi della letteratura, critici per questa scelta, e quelli che sostengono che il concetto di letteratura si possa e si debba interpretare in un senso più ampio. Io rispondo sia da fan di Dylan, sia da appassionato lettore. E la risposta è sempre sì, e giusto. Anche se è molto difficile separare le sue parole dalla musica, io dico che pochi hanno raccontato l’America, dagli anni ’60 a oggi, come ha fatto lui. Se chiediamo alla letteratura una capacità di comprensione della realtà e una sua traduzione in parole, in poesia, io credo questo Nobel sia meritatissimo. L’opera di Dylan testimonia una presenza poetica che si può mettere sullo stesso piano dei grandi autori della Beat generation, ma in più Bob Dylan ha avuto una carriera molto più lunga e sfaccettata. Dylan ha fatto parte di quella poetica e poi l’ha ripudiata, ne ha trovata un’altra, poi ha raccontato un’America più ottimista, poi una più depressa, poi ha raccontato il Vietnam, la questione razziale, e molto altro ancora. Prendendo in esame il corpus dell’opera di Dylan, anche i più feroci detrattori credo debbano ammettere che si tratta di una voce che ha scollinato il Novecento come poche altre“.
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