Approfondimenti

Osservare i migranti in realtà virtuale

Carne y arena è la toccante installazione video firmata dal regista messicano di film come Revenant, Babel, BirdmanBiutiful, Amores perros e vincitore di quattro Premi Oscar Alejandro Gonzalez Iñárritu.

Sette minuti di realtà virtuale per avvicinarsi e vivere da vicino quello che accade ai messicani che tentano di varcare il confine tra Messico e Stati Uniti. Vista in anteprima al Festival cinematografico di Cannes all’interno di un hangar a pochi chilometri dalla Croisette, in cui è stato ricostruito un pezzo di muro che spezza il confine e che accompagna lo spettatore fino all’interno di una specie di tendone da circo pieno di sabbia al suolo, dal 7 giugno 2017 al 15 gennaio 2018 l’installazione è ospitata dalla Fondazione Prada di Milano, che l’ha prodotta insieme a Legendary Enterteinment.

La visione in VR è un’esperienza individuale, si entra nell spazio deputato uno alla volta, dopo aver passato un gabbiotto e viene fatto indossare un casco, uno zaino e la maschera.

“Ho corso dei rischi a livello creativo – spiega Iñárritu – avventurandomi in territori che prima non avevo mai affrontato: sebbene siano entrambi prodotto audiovisivi, la realtà virtuale è tutto ciò che il cinema non è. Durante questa esperienza irreale ma realistica il nostro cervello si connette e i nostri sensi vengono messi alla prova”.

In effetti è un’esperienza molto forte, si assiste alla cattura di un gruppo di messicani che varcano la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Siamo lì con loro sulle dune, tra i cactus, dal tramonto all’alba e si assiste all’arrivo degli elicotteri, alle minacce della Polizia, all’avvicinarsi dei cani. Si sente il freddo del vento, il profumo della poca vegetazione e poi i rumori fortissimi, le urla della gente che cerca di scappare. C’è anche un bambino piccolo nella realtà virtuale.

Interessante l’intento di Iñárritu di rispondere ai muri di Trump con le immagini reali e trascinanti, proponendo un tema che il regista ha sempre tenuto a diffondere, ora più che mai. Le emozioni che passano in quei sette minuti sono tante e potenti: dai rumori alle sensazioni fisiche e visive. Si esce frastornati e la fotografia di Emmanuel Lubezki aumenta l’intensità cinematografica e realistica dell’opera.

“Nel corso degli ultimi quattro anni, mentre l’idea di questo progetto si formava nella mia mente, ho avuto il privilegio di incontrare e intervistare molti rifugiati messicani e dell’America centrale. Le loro storie sono rimaste con me e per questo motivo ho invitato alcuni di loro a collaborare – racconta Iñárritu. La mia intenzione era di sperimentare con la tecnologia VR per esplorare la condizione umana e superare la dittatura dell’inquadratura, attraverso la quale le cose possono essere solo osservate e reclamare lo spazio necessario al visitatore per vivere un’esperienza diretta nei panni degli immigrati, sotto la loro pelle e dentro i loro cuori”.

Il viaggio virtuale termina con l’ascolto di alcune storie raccontate in prima persona dai migranti che il regista ha incontrato per realizzare Carne y arena: “Qui non ci sono attori. Queste sono storie vere reinterpretate dalle persone che le hanno vissute. Persino alcuni degli indumenti indossati per l’installazione sono gli stessi che portavano attraversando il confine”.

Questo progetto di Iñárritu su Milano, si affianca a quello di portare in città il relitto del barcone naufragato nel 2015 al largo della Libia portando con sé centinaia di migranti, poi recuperato dalla Marina Militare italiana.

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    Barbara Sorrentini
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