Iniziative

 

 

Ora a casa restateci voi, un sobrio invito alla Giunta regionale lombarda per la fase 2

Alla vigilia della cosiddetta Fase 2, parte una campagna che analizza gli errori della gestione dell’emergenza in Lombardia e chiede le dimissioni dei politici responsabili della catastrofe sanitaria: “Ora a casa restateci voi”.

L’appello, nato in ambito accademico, artistico e culturale, risale ai problemi profondi del modello di sanità in Lombardia ed enumera le scelte che hanno portato a decine di migliaia di morti.

Si può firmare a questo link o visitando la pagina Facebook: OraACasaRestateciVoi

Se volete inviare le vostre testimonianze, scrivete a: oraacasarestatecivoi@gmail.com

Prendete e condividete

Il manifesto dell’iniziativa:

Ora A Casa Restateci Voi

Con l’evoluzione del contagio e dei decessi per Covid-19, da febbraio in avanti, abbiamo visto frantumarsi il mito dell’eccellenza sanitaria lombarda, un mito che si è basato per molti anni sulla privatizzazione del servizio sanitario a discapito della sanità pubblica e territoriale.

La Lombardia è la regione che ha creato un mercato sanitario nel quale l’offerta di servizi da parte di soggetti privati era di fatto equiparata a quelli pubblici. Dal decreto legislativo 502/92, che trasforma le Usl in aziende, sino alla riforma del titolo V della Costituzione, che attribuisce nuovi poteri e autonomia alle Regioni, passando per la riforma Bindi del 1999 e la legge 133, che lascia alle Regioni il compito di finanziare direttamente la sanità, in Lombardia il peso del privato accreditato è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi 25 anni, favorendo lo spostamento sul privato della maggior parte delle prestazioni non urgenti e delle strutture di ricovero ordinario mentre gli ospedali pubblici sono stati accorpati, chiusi o fortemente ridimensionati.

Tutte queste tendenze sono diventate chiare durante l’epidemia, quando è stato evidente che:

1  le “eccellenze” lombarde erano poco attrezzate a gestire le emergenze, specializzate come sono nella medicina ordinaria mentre l’emergenza e i letti di terapia intensiva rimangono per la maggior parte delegate al pubblico;

2 l’assenza di una forte rete di medicina territoriale, su cui si fonda la sanità pubblica, impediva la prevenzione del diffondersi dell’infezione sul territorio;  

3  in assenza di questa rete, si aggravava la diffusione dell’epidemia dentro alle case e tra le famiglie: in molti casi chi aveva bisogno di un tampone si è trovato solo, mentre chi arrivava in ospedale era spesso agli ultimi stadi dell’infezione;

4 in questa situazione, la gravità dei casi trattati non ha fatto che acuirsi, portando il numero dei decessi a circa cinque volte quelli della media nazionale, mentre il personale sanitario si è trovato a combattere l’infezione negli ospedali con rischi e sacrifici personali troppo elevati.

Per noi, l’eccellenza lombarda è diventata il simbolo stesso della “crisi della cura”, quel modello neoliberale di privatizzazione dei servizi alla comunità e alla persona che, nell’ultima metà di secolo, si è basato sull’erosione dell’idea stessa di welfare e di salute accessibile e democratica.

Dallo scoppio dell’epidemia, diverse categorie del settore sanitario sono intervenute nel dibattito per evidenziare gli errori di Regione Lombardia nella gestione della crisi e dare indicazioni strategiche: dalla Federazione regionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fromceo), ai medici di base, dottor*, medic*, anestesist*, infermier*, OSS e operat* hanno sottolineato la necessità di applicare da subito una strategia di cura idonea all’emergenza, fondata sul rafforzamento della medicina territoriale e sul ritorno di significativi e strutturali finanziamenti alla sanità pubblica e ai lavorator* che ne garantiscono la tenuta.

Anche le indicazioni sanitarie che l’OMS suggerisce in questa fase di pandemia, ovvero l’applicazione delle tre T – Test, Trace, Treat – e, quindi, la capacità dei territori di testare, rintracciare gli infetti, isolarli e curarli, ci ricordano come non si possa prescindere dalla capillarità del servizio di medicina territoriale – lo stesso sistema territoriale che, come denunciato dagli stessi operator* del settore, negli ultimi 25 anni è stato smantellato. Il dramma delle RSA, la delibera XI/2906 dell’8 marzo con cui la Regione Lombardia chiedeva alle ATS di individuare nelle RSA strutture autonome per trattare pazienti Covid-19 e l’incapacità di fornire, velocemente, adeguati DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) all’interno di strutture non ospedaliere, sono l’ultimo tassello in una sequenza di decisioni scellerate, che tutto fanno salvo che garantire la salute pubblica.

Alla vigilia della ‘Fase 2’ siamo sgoment* per quanto accaduto in queste settimane e molto preoccupat* di quanto può accadere in Lombardia al momento della riapertura. Ad oggi, infatti, non c’è traccia di investimenti per la cura e la prevenzione nel territorio; nessuna strategia per aumentare la diffusione dei tamponi o per attuare un meccanismo di tracciamento, test e isolamento dei casi positivi. Nessuna traccia di ripensamenti circa gli errori commessi nella ‘Fase 1’, ma la pretesa di riaprire le attività produttive e commerciali come nel resto del territorio nazionale, facendo valere la propria “autonomia” e il proprio peso economico, nonostante i numeri indichino che l’emergenza non è passata. La corsa alla riapertura fortemente voluta da Regione Lombardia, in un territorio nazionale caratterizzato da contesti epidemiologici fortemente diseguali nelle diverse regioni, dimostra come la Fase 2 risponda a pressioni economiche e politiche più che di salute pubblica, il cui fine è riaprire al più presto il sistema produttivo lombardo, ripetutamente definito come il motore dell’intero paese dalle associazioni di categoria e da Confindustria. Tuttavia, la decisione di riaprire la Lombardia nel momento in cui il contagio non è ancora sotto controllo, appare problematica, perché se da un lato rischia di accelerare una nuova ondata di infezioni, dall’altro si fa beffa di tutte quelle regioni che sono state costrette a chiudere per settimane, nonostante avessero molti meno casi.

Non sorprende che, a pochi giorni dalla riapertura, il dibattito tra il personale medico e i governatori sia tornato ad accendersi, ma ancora una volta è venuta meno la capacità di ascoltare tutti coloro che per due mesi sono state definiti eroi, nel momento in cui hanno messo in discussione le politiche sanitarie intraprese ai vertici della Regione.

Non siamo disposti a vedere ripetersi nella Fase 2 gli stessi errori della Fase 1. Pensiamo che sia necessario chiedere le dimissioni immediate dei politici che attualmente governano la Regione Lombardia.

Pensiamo che le indicazioni dei lavorat* della sanità non possano essere ignorate, perché mostrano prospettive ‘essenziali’ per ricostruire un servizio di sanità pubblica territoriale, non ricattabile e universale.

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    Redazione
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    Tre anni di Chat Gpt. Il 30 novembre 2022 la società californiana Open AI metteva a disposizione degli utenti, gratuitamente, il primo software di intelligenza artificiale (IA). A distanza di tre anni c’è una bolla speculativa, generata dagli investimenti multi-miliardari nell’IA, che rischia di scoppiare su Wall Street. Non è escluso, però, che si sgonfi lentamente, senza provocare grossi danni. Un’ipotesi che i capi di Big Tech (le grandi società tecnologiche da Apple a Microsoft, da Google a Amazon, a Meta e a diverse altre) sembrano escludere, preferendo messaggi allarmistici. Sundar Pichai, amministratore delegato di Google-Alphabet qualche giorno fa ha detto: se scoppiasse una bolla nel settore dell'IA «nessuna azienda ne sarebbe immune, inclusi noi». Pubblica ha ospitato il giornalista e saggista Michele Mezza e la filosofa della scienza Teresa Numerico.

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    Al via le prove sulle tre materie del semestre filtro (chimia, fisica e biologia) per tutti i pre-iscritti a Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Veterinaria, poi per tutti quelli che avranno passato i tre testi (scritti a risposta multipla) andranno in una graduatoria dove poi verranno ammessi a numero chiuso (per le università private e telematiche invece è rimasto lo sbarramento del test d’entrata). “Era difficile fare peggio del numero chiuso, ma la ministra c’è riuscita. Il numero chiuso spostato da settembre a gennaio è una ingiustizia in più e un favore ai privati”. Alessandro Bruscella, Coordinatore nazionale Unione degli Universitari, presenta il ricorso collettivo che da oggi verrà annunciato sotto il ministero con una manifestazione con Rete degli Studenti e altre organizzazioni. “Ci vuole un investimento strutturale, corsi di accesso aperti e poi specializzazioni anche a numero chiuso. Invece ci sono tagli ovunque”. Ascolta l'intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli ad Alessandro Bruscella.

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