
La cosiddetta operazione Albania è il più costoso – oltre che inutile – strumento nella storia delle politiche migratorie italiane. Il costo sostenuto per la gestione del centro di detenzione di Gjader – poi trasformato anche in Cpr – e dell’altro centro, di transito, di Shengjin, è esorbitante.
La critica – già mossa da opposizioni ed esperti di immigrazione – ora viene confermata dai dati ufficiali. Sono dati pubblici delle Prefetture, che si possono però consultare con complesse procedure di accesso agli atti. Lo ha fatto l’organizzazione Action Aid insieme all’università di Bari.
I pagamenti eseguiti dalla Prefettura di Roma all’ente gestore Medihospes ammontano a 570mila euro nel 2024. Ma a seguito delle sentenze della magistratura che hanno imposto la scarcerazione e il ritorno dei migranti in Italia – innescando la reazione del governo contro i giudici – l’effettiva operatività del centro di Gjader è stata di pochi giorni. E tra metà ottobre e fine dicembre 2024 il centro ha gestito 20 persone. Fanno 114mila euro al giorno, contando che la reale operatività piena del centro è stata di cinque giorni. Poi c’è il capitolo costruzione dei due centri, in tutto 400 posti disponibili. Per la sola costruzione sono stati sottoscritti contratti per 74milioni e 200mila euro. Fanno 185mila euro a posto. Poi, peraltro, rimasti in gran parte vuoti.
Action Aid e Università di Bari mettono a confronto il costo per migrante nel Cpr di Porto Empedocle, costato in tutto un milione di euro, poco più di 21mila euro a posto.
Questi dati mettono nero su bianco il nervo scoperto del governo sull’operazione Albania. Molti soldi, zero resa. Se il rispetto dei diritti dei migranti e del diritto umanitario può interessare poco o nulla le forze della destra e i loro elettori, il tema dei soldi pubblici buttati per non cambiare nulla è decisamente più sentito.