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Olimpiadi 2016. Un ritmo di samba triste

Per l’inaugurazione delle Olimpiadi 2016 sarebbe opportuno scegliere come colonna sonora il brano Samba Triste, che ben si addice al clima nostalgico e malinconico della fine del Carnevale.

Il Brasile fiero e vincente che aveva ottenuto in un sol colpo la Coppa del Mondo di calcio e le Olimpiadi pare sia scomparso. La cronaca ci racconta un Paese piegato su se stesso, in crisi economica e soprattutto in crisi morale e politica. Il Brasile di oggi non è uscito dal Carnevale bensì da un decennio nel quale si era finalmente “svegliato” – innescando un processo vertiginoso di crescita economica, di aumento del prestigio internazionale, di rimozione di antiche ingiustizie sociali.

Trenta milioni di persone, ed è un dato certificato, si sono emancipate dalla povertà durante il decennio di Lula, periodo nel quale l’elettricità ha raggiunto le aree rurali, sono stati scoperti e sfruttati importantissimi giacimenti offshore di petrolio e la diplomazia brasiliana ha contribuito a fondare il gruppo dei Paesi BRIC. Tra il 2002 e il 2014 il salario minimo è aumentato del 77% e i brasiliani in condizione di povertà estrema sono scesi dal 9% della popolazione al 3%.

Questi traguardi sono stati raggiunti grazie a un ciclo favorevolissimo per le materie prime agricole e minerarie e alla capacità di diversificare le esportazioni verso est e verso il mondo arabo. Ma il Brasile “potenza”, che rivendicava un posto fisso nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e impegnava i propri caschi blu in Africa e ad Haiti, aveva i piedi d’argilla. Malgrado il rumore mediatico, era rimasto un Paese dalle profonde disuguaglianze sociali, con una corruzione radicata nella classe politica e con una burocrazia asfissiante. Se nel 2014 il rapporto di reddito tra l’1% della popolazione più ricco e il 10% più povero era di 14.500 reais contro 155, ci sarà stato un motivo.

A giudizio di molti, le differenze sociali in Brasile nascono dalla concentrazione della ricchezza in un sistema economico dominato da grandi e grandissimi gruppi economici. Concentrazione che riguarda anche la proprietà terriera, oggi dominata dai baroni della soia OGM. Sul piano fiscale, le rendite delle aziende non sono tassate, le tasse sulla successione e sul patrimonio sono ridicole, mentre quella sul reddito è poco progressiva. Il grosso delle entrate fiscali deriva infatti dall’IVA, pagata indistintamente da ricchi e poveri. L’aspetto lodevole delle politiche di Lula è stato il massiccio sostegno offerto al reddito dei ceti più bassi senza intaccare le concentrazioni della ricchezza, ma abbandonando i ceti medi. E proprio questi ultimi sono quelli che per primi hanno voltato le spalle al Partito dei Lavoratori.

Il Brasile che diventava potenza mondiale continuava ad avere servizi da terzo mondo in campo sanitario, scolastico o dei trasporti: contro questa situazione si sono ribellate le metropoli a più alto reddito. Ma sono stati altri due fattori a innescare la crisi complessiva del Paese: la crisi economica che ha rallentato la Cina, suo principale cliente, e il ritorno in primo piano della corruzione che coinvolge politici di governo e di opposizione con scandali sempre più clamorosi. Oltre al tradizionale fenomeno della compravendita dei voti (figlio di un sistema istituzionale nel quale il presidente non ha praticamente mai una maggioranza propria in Parlamento ma deve “costruirla”), è venuto alla luce il passaggio di fondi neri tra i gestori delle grandi aziende pubbliche, come il colosso Petrobras, e il sottobosco della politica di ogni colore. Un collegamento tra gestione della cosa pubblica e interessi privati non più digeribile da parte dei cittadini.

Questi sono i mali antichi di un Paese «benedetto da Dio per la sua natura», come recita una popolare canzone, ma che paga ancora un elevato prezzo alla storia coloniale, durante la quale si formarono i ceti sociali, la struttura della proprietà e i poteri che continuano a dettare legge in uno Stato ricchissimo eppure maledettamente pieno di poveri.

Le Olimpiadi potevano segnare la consacrazione della nuova potenza dell’emisfero meridionale, ma i brasiliani dovranno attendere. Il cammino da percorrere è ancora lungo e disseminato di ostacoli.

  • Autore articolo
    Alfredo Somoza
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    1) “La gente non lascia Gaza City perché non sa dove andare o perché non può permetterselo”. Migliaia di persone restano nella città della striscia, mentre l’esercito continua a bombardarla. (Jacob Granger - MSF) 2) “Israele sta commettendo un genocidio, ma gli altri paesi hanno l’obbligo giuridico di fare tutto ciò che possono per impedirglielo”. In esteri la seconda puntata dell’intervista a Chris Sidoti, giudice della commissione Onu. (Valeria Schroter, Chris Sidoti - Commissione Onu d'inchiesta per i territori palestinesi) 3) La Francia ancora in piazza. Un milione di persone mobilitate dai sindacati per protestare contro la legge di bilancio di Bayrou. (Veronica Gennari) 4) La tragedia umanitaria della guerra in Sudan, e i sudanesi che resistono. Premiata in Norvegia una rete di associazioni comunitarie che lavorano per favorire l’ingresso di aiuti. (Irene Panozzo, analista politica) 5) Donald Trump alla corte britannica. La luna di miele tra Keir Starmer e il presidente Usa è soprattutto una questione di business. (Marco Colombo, giornalista) 6) World Music. Together for Palestine, il concerto organizzato da Brian Eno a Londra contro il genocidio. (Marcello Lorrai)

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    Alessio Lega ricorda Fausto Amodei: "Sublime la sua scrittura, una persona tenera e ironica"

    È morto a 91 anni Fausto Amodei, figura cruciale per la canzone popolare italiana che alla fine degli anni cinquanta aveva contribuito a fondare il Cantacronache, il primo esperimento di canzone politica “d’autore” in Italia. Tra i suoi capolavori 'Per i morti di Reggio Emilia', una delle canzoni popolari e politiche più suonate nelle piazze d’Italia. Ma "le sue canzoni sono riuscite ad andare ben oltre il suo nome” diventando parte dell’immaginario collettivo, ricorda il cantautore Alessio Lega ai microfoni di Radio Popolare. Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    In compagnia di Niccolò Vecchia telefoniamo ad Alessio Lega per ricordare, nel giorno della sua scomparsa, Fausto Amodei, un vero simbolo della canzone politica d’autore italiana. Segue mini live in studio con il giovane jazzista Francesco Cavestri in vista del suo concerto al Blue Note di martedì prossimo. Nella seconda parte siamo in compagnia di Piergiorgio Pardo, nostro ospite fisso per la rubrica LGBT, con cui parliamo del film “I segreti di Brokeback Mountain” e alcuni eventi del weekend. Concludiamo con una telefonata a Marina Catucci da New York, per commentare l’improvvisa sospensione dello show di Jimmy Kimmel dalla rete Abc, a seguito di una frase “scomoda” su Charlie Kirk detta dal conduttore in trasmissione.

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