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Il nuovo decreto doveva chiudere le fabbriche e invece le ha riaperte

decreto fabbriche

Doveva essere il decreto che chiudeva le fabbriche, è stato il decreto che le ha riaperte.

L’annuncio di un provvedimento per ridurre il numero di persone in circolazione legate a lavori non necessari, per ridurre la potenziale diffusione del coronavirus, seppur tardivo, era arrivato sabato sera.

Il Presidente del Consiglio Conte era intervenuto dopo giorni di silenzio su questo tema, un silenzio rotto prima dagli scioperi, poi da sindaci e medici di Bergamo e Brescia, che chiedevano a gran voce un decreto per lo stop alle fabbriche per fermare la circolazione di centinaia di migliaia di persone. Si è ripetuto invece lo scenario già visto attorno all’istituzione della zona rossa di Bergamo, invocata da più parti, ma mai nata proprio per le pressioni degli industriali su Regione e governo.

L’annuncio di sabato di Conte ha generato confusione e incertezza, mentre la firma vera e propria è arrivata a sole 12 ore dalla riapertura delle aziende.

Nella versione definitiva vengono recepite praticamente tutte le richieste degli industriali: 80 categorie di imprese considerate essenziali identificate da un codice, apertura degli studi professionali, autocertificazione delle imprese, tre giorni di tempo per adeguarsi.

Il codice in questione si chiama “Ateco”, è quello attraverso cui gli istituti di statistica classificano le attività produttive.

“Lunedì apriamo, poi vedremo”

La giornata di domenica è stata all’insegna delle pressioni di Confindustria sul governo, e dei dubbi di lavoratori ed aziende.

Mentre il presidente degli industriali Boccia chiedeva modifiche a Conte in una lettera pubblica, le associazioni di categoria scrivevano ai loro affiliati invitandoli a tenere aperto, contando proprio sulle ampie concessioni del governo. “Lunedì apriamo, poi vedremo” è il tenore di messaggi e telefonate che i capi del personale hanno mandato ai dipendenti fino a tarda sera. In alcuni casi, l’annuncio delle aperture delle fabbriche e attività è arrivato proprio dopo la firma del decreto.

Insomma anziché chiudere, il decreto ha riaperto molte aziende e fabbriche.

La partita vera si è giocata soprattutto sul settore metalmeccanico, che resterà in buona parte attivo nonostante, secondo il sindacato, ci fossero le condizioni per sospendere gran parte delle produzioni. Il paragrafo chiave che spalanca le maglie del decreto è quello in cui si indica che potranno proseguire le produzioni funzionali al mantenimento delle filiere necessarie, previa autocertificazione: di fatto un liberi tutti, secondo i sindacati, cui si uniscono i dubbi di quali imprese saranno considerate “strategiche”, e del fatto che molte aziende hanno più di un codice Ateco, allargando ulteriormente le maglie di ciò che potrà restare operativo.

Il problema dei controlli

Resta il problema dei controlli, già di fatto inesistenti sull’applicazione del protocollo tra governo-industriali-sindacato, con poche decine di aziende in cui è stata verificata l’applicazione delle norme di tutela contro il coronavirus.

In questo caso si partirà dall’autocertificazione delle imprese che dovranno comunicare la loro apertura al Prefetto, che solo dopo se lo riterrà opportuno potrà stabilire dei controlli. Di fatto le verifiche restano nell’ambito del rapporto tra azienda e sindacati.

Se molte grosse imprese, dove la presenza del sindacato è radicata, hanno già chiuso i battenti proprio in virtù degli accordi con le RSU, il problema sarà nel tessuto della piccola media impresa dove spesso il sindacato è mal visto e inesistente.

Cosa fa il sindacato?

Mentre domenica diventava sempre più chiaro che nel decreto sarebbero state recepite le modifiche chieste da Confindustria, da Cgil Cisl e Uil si chiedeva di evitare modifiche e per la prima volta veniva evocato uno sciopero generale, che ovviamente non coinvolgesse le filiere essenziali.

Questa mattina però, nel tweet della Cgil la parola “generale” non compariva più.

I sindacati metalmeccanici – come dicevamo è in questo settore che si gioca la partita – hanno già indetto scioperi a livello territoriale iniziati questa mattina in diverse fabbriche in Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia. Dai delegati e dai lavoratori sale la richiesta di uno sciopero generale, confermato invece per mercoledì 25 marzo dal sindacato di Base USB.

Cosa cambierà nei prossimi giorni?

Tirando le somme, oggi e forse fino a mercoledì cambierà ben poco. E anche da giovedì la riduzione sarà probabilmente minima e contraddittoria rispetto a quel “restate a casa” che si continua ad invocare.

Alla rigidità sui comportamenti individuali, ancora non è corrisposta altrettanta fermezza verso le imprese, perdendo ancora giorni preziosi in cui centinaia di migliaia di lavoratori costretti a lavorare per produzioni non essenziali continueranno a circolare su auto, bus, treni, e lavorare senza protezioni adeguate, come molti di loro hanno denunciato a Radio Popolare. Nel timore di mettere a rischio sé stessi, i loro colleghi, i loro cari.

Paure e rabbia ben sintetizzate da uno dei tanti messaggi arrivati in queste ore a Radio Popolare:

Lavoro a Treviglio, nel cuore del focolaio. Domenica mi chiama il mio caporeparto dicendo che da domani è chiuso…. ed entrambi lo davamo per scontato con tutto quello che c’è in piedi. Mi richiama alle 20.30, hanno cambiato idea. Mi dice che domani si lavora. Non siamo una ditta strategica. Quello che mi indispone è con tutto quello che succede in questa area dove si muore come mosche si manda allo sbaraglio come fanti sul Carso la gente… per cosa poi? Carne da macello ecco cosa siamo. Altro che fare giustamente il culo ai vecchietti che non stanno a casa, ai runner o ai finti passeggiatori di cani! Io debbo presentarmi… se non daranno mezzi adeguati di protezione (ma chi li quantifica e qualifica?) me ne verrò via, per fortuna posso permettermelo, coperto dall’articolo 18. Ma molti colleghi sono assunti post Jobs Act o agenzie. Questo giusto per raccontarvi cosa è il lavoro nella civile Lombardia della bassa Bergamasca ai tempi del coronavirus.

  • Autore articolo
    Massimo Alberti
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    Sabato 20 e domenica 21 settembre al Paolo Pini di Milano si terrà la prima edizione del Godai Fest, il festival multidisciplinare che unisce la musica alle arti performative e visive nato da un’idea del musicista Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti per abbattere i recinti di genere e di partecipazione, connettere le arti, sperimentare nuovi linguaggi, ampliare le visioni. L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà protagonista di un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (Fuoco, Terra, Acqua, Aria) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del Vuoto. Ad ogni elemento corrisponde un curatore: Rodrigo D'Erasmo in questa intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Volume ci ha presentato il concetto e il programma di questo festival.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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    Oggi a Volume abbiamo iniziato parlando del Festival Suoni Delle Dolomiti giunto alla sua 30a edizione, ma anche del Godai Fest, evento che si terrà nel weekend al Parco Ex Paolo Pini di Milano e che ci racconta Rodrigo D'Erasmo in qualità di direttore artistico. A seguire segnaliamo il concerto-evento pro Palestina organizzato da Brian Eno che si terrà questa sera a Londra, e concludiamo con il quiz dedicato al cinema, oggi incentrato sul film Il Diavolo Veste Prada del 2006.

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