“Never again”, mai più mutilazioni genitali. La voce di Nice Nailantei Leng’ete è determinata, e trasmette una forza tranquilla. Parla con noi in inglese da Noomayianat, un piccolo villaggio del Kenya.
È lì che abbiamo raggiunto Nice, venticinquenne masai, che è diventata paladina della battaglia contro le mutilazioni genitali per Amref (African Medical and Research Foundation). Quella pratica brutale, l’ablazione totale o parziale del clitoride e delle piccole labbra, lei la conosce bene, l’ha vista da vicino, a nove anni, e solo grazie al coraggio che una bimba può tirare fuori per disperazione è riuscita a sottrarsene.
Nel mondo, secondo l’ultimo apporto Unicef 2016 “Female Genital Mutilation/Cutting: A Global Concern”, almeno 200 milioni di donne e bambine, 70 milioni di casi in più di quelli stimati nel 2014, hanno subìto mutilazioni genitali femminili. Tra le vittime, 44 milioni sono bambine e adolescenti fino a 14 anni. Tre milioni sono a rischio ogni anno. Le mutilazioni genitali femminili sono pratiche tradizionali che vengono eseguite principalmente in 28 Paesi dell’Africa sub-sahariana.
“Ho visto troppe ragazze e donne, troppe amiche, a cui hanno rubato i loro sogni. Le pratiche tradizionali pericolose e nocive hanno avuto un forte impatto sulle loro vite – ricorda spesso Nice nei suoi viaggi per spiegare la battaglia che sta portando avanti. Sono ragazze andate incontro all’orrore delle mutilazioni genitali e alcune hanno pagato con la vita. Altre sono state chiamate codarde per il loro pianto, altre ancora sono state obbligate a sposarsi o hanno avuto gravi problemi a partorire. Io mi batterò fino all’ultimo perché questa realtà cambi”.
Nice, partiamo dalla sua storia, come è riuscita a evitare il “taglio”, l’infibulazione?
“Avevo nove anni, andavo a scuola e sentivo le mie amiche e cugine che ne parlavano. Anche le ragazze più grandi raccontavano di certe cose terribili che dovevano subire, ma io non capivo ancora bene di cosa si trattasse. Poi un giorno mi hanno raccontato nel dettaglio, come fosse una pratica normale. Mi hanno detto che presto mi sarebbe toccato il ‘taglio’ perché stavo diventando donna e che, quindi, non mi sarei mai e poi mai potuta sottrarre. E lì ho avuto il primo istinto di ribellione. Non io, mi dissi. All’epoca vivevo con mia zia perché mia madre e mio padre erano morti e dovevo fare quello che mi dicevano loro”.
E cosa fece a quel punto?
“Ero terrorizzata. Decisi di scappare di casa insieme alla sorella più grande e di nascondermi. Poi ho pensato che l’unica soluzione fosse chiedere aiuto a mio nonno che era uno dei capi villaggio ed era l’unico che, se avesse parlato, sarebbe stato ascoltato. E allora sono andata da lui, e gli ho detto che non volevo essere ‘tagliata’, che non mi importava niente di diventare una donna da sposare. Io volevo studiare”.
Quale fu la reazione del nonno-capo villaggio?
“Il nonno dapprima rifiutò, poi si lasciò convincere, ma salvò solo me che avevo ancora nove anni, ma non poté intercedere per mia sorella, che venne sottoposta alla mutilazione, nonostante le mie proteste. È stato allora che ho capito che non volevo salvare solo me stessa, ma anche tutte le altre bambine”.
Lei continua la battaglia contro le mutilazioni genitali nel suo Paese, ma è molto difficile visto che è un mondo controllato dai maschi.
“La reticenza fortissima e l’ostilità degli uomini del mio e dei villaggi vicini all’inizio mi spaventavano, ma sono sempre stata determinata a andare avanti nella mia battaglia e ho ottenuto dei primi risultati importanti: hanno iniziato a capire il mio messaggio, il suo valore, tanto che gli anziani, a un certo punto, mi hanno chiesto di essere ufficialmente un’educatrice e allora mi sono sentita investita di un ruolo quasi ufficiale, per cui non mi sono fermata più”.
Quant’è importante l’istruzione per combattere questa pratica delle mutilazioni genitali femminili?
“È necessario puntare sull’istruzione, ma in generale sulla cultura, e far capire che ci sono rituali dannosi, ma che possono essere sostituiti da altri. Così ho ideato una nuova pratica che prende spunto dalle antiche usanze masai, coinvolgendo le ragazzine, ma anche le mamme, le nonne e gli uomini. Si parla di sesso, del ruolo della donna, dell’istruzione e del futuro della tribù”.
Con quale effetto?
“Le donne, le ragazze hanno iniziato ad arrivare dai villaggi vicini e poi, pian piano, da quelli più lontani, a volte anche solo per curiosità, ma alla fine quasi tutte si sono dette convinte che la mutilazione genitale è solo un orrore. Quello che bisogna combattere ancora è la mentalità maschilista che, purtroppo, influenza molte donne. Ci sono ancora quelle convinte che non saranno vere donne senza che la vecchia del villaggio le ‘cucia’ la vagina, ma in quel caso io punto sugli uomini, mi rivolgo a loro e chiedo: volete mogli sane, volete figli? Volete che la vostra discendenza vada avanti in salute?”.
La battaglia di Nice Nailantei Leng’ete, “guerriera” masai, continua senza sosta. Di capanna in capanna, di tenda in tenda, Nice è arrivata a parlare anche con Barack Obama, ha iniziato a viaggiare in tutto il mondo per portare il suo messaggio e dal 2009 è diventata ambasciatrice ufficiale di Amref. Grazie a lei sono già oltre diecimila le bambine salvate dalla mutilazione.
Nice, nel salutarci, dice: “Non mi fermerò perché ci sono ancora tante situazioni e molte donne da raggiungere in Africa. Il mio cammino è lungo…”.
Le mutilazioni genitali femminili (fonte Amref) vengono praticate per una serie di motivazioni:
- sessuali: soggiogare o ridurre la sessualità femminile
- socio-culturali: iniziazione delle adolescenti all’età adulta, integrazione sociale delle giovani, mantenimento della coesione nella comunità
- igieniche ed estetiche: in alcune culture, i genitali femminili sono considerati portatori di infezioni e osceni
- sanitarie: si pensa a volte che la mutilazione favorisca la fertilità della donna e la sopravvivenza del bambino
- religiose: molti credono che questa pratica sia prevista da testi religiosi (Corano)
Le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili:
Gravissime sul piano psicofisico, sia immediate (con il rischio di emorragie a volte mortali, infezioni, shock), sia a lungo termine (cisti, difficoltà nei rapporti sessuali, rischio di morte nel parto sia per la madre sia per il nascituro). Conseguenze di lungo periodo sono la formazione di ascessi, calcoli e cisti, la crescita abnorme del tessuto cicatriziale, infezioni e ostruzioni croniche del tratto urinario e della pelvi, forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, maggiore vulnerabilità all’infezione da Hiv, epatite e altre malattie, infertilità, incontinenza, maggiore rischio di mortalità materna per travaglio.
Amref Health Africa è la principale organizzazione sanitaria africana, fondata nel 1957.
Nice è diventata per Hic Sunt Leones una sorta di simbolo dei diritti violati e/o negati alle donne in tutto il mondo.
Hic Sunt Leones è un gruppo di giornalisti (Francesco Cavalli, Luciano Scalettari, Alessandro Rocca, Davide Demichelis, Raffaele Masto, Angelo Ferrari, Roberto Cavalieri) che storicamente si occupano di Africa. “Abbiamo deciso di stare dalla parte di Nice per essere dalla parte di tutte quelle bambine, adolescenti e donne che lottano quotidianamente contro le violenze della strada, della guerra, della povertà, delle tradizioni”.
“Vogliamo realizzare un serial storytelling in sette episodi, una serie webtv che racconti di loro, delle bambine e ragazze africane che abbiamo incontrato. Per questo abbiamo lanciato una raccolta fondi di cui si possono trovare gli estremi a questo link”