La decisione della Cassazione sui ricorsi presentati da sei indagati nelle inchieste sull’urbanistica milanese smonta la tesi della Procura di Milano sulla corruzione. Questa era l’indagine che aveva fatto più rumore perché ipotizzava la corruzione a livello politico tra l’assessore all’urbanistica, il più potente costruttore della città e alcuni membri della Commissione che decideva le sorti delle principali costruzioni milanesi. Quella che a luglio aveva fatto vacillare il sindaco e che aveva portato sui giornali conversazioni estrapolate da chat non penalmente rilevanti. Un’indagine che innalzava il “modello Milano dei grattacieli facili” a “sistema corruttivo”. Ora la Cassazione smonta questa tesi con due provvedimenti. Nel primo ha respinto il ricorso della Procura e confermato il provvedimento del tribunale del Riesame che aveva tolto per assenza di gravi indizi di corruzione gli arresti domiciliari per il Ceo di Coima Manfredi Catella, per l’architetto in Commissione paesaggio Alessandro Scandurra e per il responsabile della società Bluestone Andrea Bezziccheri. Nel secondo provvedimento ha annullato le misure interdittive per l’ex assessore all’urbanistica della giunta Sala Giancarlo Tancredi, per l’ex presidente della Commissione paesaggio Giuseppe Marinoni e per il manager Federico Pella. La corruzione non c’era, scrive la Cassazione. Le motivazioni sono attese per le prossime settimane. I sei tornano dunque pienamente liberi in attesa delle richieste di rinvio a giudizio. Tutto finito quindi? No, ma una riflessione sul passo fatto dai pubblici ministeri, che la Cassazione ci dice essere stato più lungo della gamba, va fatto. Senza le prove le inchieste diventano boomerang per chi le fa e gogna gratuita per chi le subisce, e questo filone sulla corruzione sembra indirizzato verso questa strada. Con un altro effetto: offuscare gli altri procedimenti sui cantieri del modello Milano, che, fino ad oggi, invece, hanno sempre visto giudizi a favore della tesi della Procura.


