Un’ode al linguaggio e alla comunicazione tra esseri diversi, Arrival di Denis Villeneuve è tratto dal racconto Story of Your Life dell’autore fantascientifico di culto Ted Chiang. L’arrivo di una navicella spaziale guidata da alieni è lo spunto, apparentemente poco originale, del film del regista di Sicario, La donna che canta e dell’imminente Blade Runner 2 con Ryan Gosling. La presenza di queste creature in un vasto territorio del Montana viene controllata dall’esercito e dall’F.B.I., con la collaborazione di una traduttrice poliglotta, interpretata da Amy Adams e da un matematico, l’attore Jeremy Renner. Per i due tecnici la comunicazione con le creature aliene diventa lo scopo primario e l’unica possibilità di intesa e di unione con le altre undici zone “invase” dagli alieni: dalla Russia alla Cina.
Uno sforzo immane, nel tentativo di leggere segnali inviati da enormi creature con un’unica mano gigante fatta di sette dita, che si muovono come tentacoli per disegnare cerchi d’inchiostro di seppia, stelle marine e lombrichi. Un linguaggio simile a quello dell’infanzia o dei sogni. In questo film la comunicazione assume un senso quasi politico, come unica forma di avvicinamento tra culture e mondi diversi e Villeneuve tratta il tema con grazia e profondità.
Con Arrival il genere della fantascienza viene trasportato in un percorso che unisce passato e futuro, con un presente contornato da immagini che provengono dall’inconscio e dai labirinti dalla mente della protagonista. Il direttore della Mostra del Cinema Alberto Barbera presentò il film di Villeneuve come “Lo Spielberg di Incontri ravvicinati del terzo tipo che incontra il cinema di Terrence Malick”, vero, così come Interstellar e molti altri, ma volendo citare un altro film di riferimento, penserei anche a Shutter Island di Martin Scorsese, dove la mente di Leonardo Dicaprio si trasformava nel set della lotta tra rimosso e memoria. Anche il tema musicale è lo stesso, l’ouverture di This Bitter Earth di Dinah Washington.