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Milano, 38 anni di consiglio comunale. Intervista a Basilio Rizzo

Basilio Rizzo

Basilio Rizzo, storico rappresentante della sinistra milanese, non si ricandiderà alle prossime elezioni comunali. A 38 anni di distanza dal suo ingresso nel consiglio comunale, Rizzo porterà avanti il proprio impegno in altre forme. Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni lo hanno intervistato oggi a Prisma.

Dopo 38 anni non ti ricandiderai. Ci vuoi raccontare le ragioni di questa tua scelta di non proseguire?

Io parteciperò alle prossime elezioni, non da candidato ma con lo stesso e forse superiore impegno affinché siano delle elezioni municipali che portino dei risultati positivi per la nostra città e dei contenuti che noi vogliamo per questa città. L’esperienza continua in forme diverse perché ritengo che sia giusto così. Se pensassi che le battaglie che ho condotto non potrebbero essere portate avanti, lo farei ancora. Mi pare però che ci sia la possibilità che altri, e tanti, possano proseguire sui quei contenuti e quei valori.

Con quale battaglia sei entrato in consiglio comunale 38 anni fa?

Ce ne sono due, paradossalmente ancora di moda: la centrale a carbone che si sarebbe dovuta fare a Tavazzano per portare, si diceva, “il calore nella nostra città”, e le vicende della Sogemi. Io facevo queste due cose e sono stato fortunato perché nel momento in cui si trattava di questioni che maneggiavo bene, anche per questione di studi, la prima impressione dei miei colleghi è stata buona. A quel tempo non si entrava in consiglio comunale da molto giovani, era la conclusione di una una certa attività politica. Io ero tra i più giovani. Non sono entrato da eletto diretto: quando Democrazia Proletaria ebbe successo anche a livello parlamentare, Guido Pollice andò a fare il senatore ed io entrai al suo posto.

Quanti sindaci hai conosciuto?

Faccio prima a nominarli che a contarli: Tognoli, Pillitteri, Borghini, Formentini, Albertini due volte, Moratti e poi Pisapia e Sala.

Qual è stato quello con cui hai dovuto incalzare di più?

Beh, un po’ tutti. Devo dire con sincerità di esser stato molto colpito dalla capacità di gestire l’aula del sindaco Tognoli. Lo continuo a considerare “il mio sindaco”, il mio primo sindaco che ricordo sempre con molta stima a rispetto anche se di battaglie ne ho dovute fare tante fin da subito, proprio a partire da quelle due questioni.
Però lo voglio dire, per i più giovani: era un altro consiglio comunale. A quel tempo il sindaco era anche il presidente dell’aula. Noi siamo abituati a sindaci che in consiglio comunale fanno delle comparsate e se ne vanno. Il sindaco Tognoli era in aula da quando iniziava la seduta e fino a quando si chiudeva, in tutti i consigli comunali. Io sogno che si torni a questo: il sindaco di Milano, chiunque esso sia, deve considerare il Consiglio comunale come il suo riferimento, non mandare i messaggi e pensare che quello sia il rapporto coi consiglieri. Questa è una critica che può accomunare tutti gli ultimi sindaci.

Cosa ci racconti dell’esperienza col sindaco Formentini?

Non voglio fare polemica politica molti anni dopo. Il sindaco Formentini fu eletto perché il sistema dei partiti tradizionali della sinistra aveva paura della soluzione Dalla Chiesa. Preferì una soluzione tranquillizzante, che non mettesse in discussione il ruolo dei partiti e il sistema consociativo che esisteva in quegli anni, e pensava che Formentini potesse essere meglio del cambio radicale che si sarebbe determinato con Dalla Chiesa sindaco. Io ho cominciato a vivere questo come una difesa miope da parte del sistema dei partiti contro delle prospettive di cambiamento reale e definitivo anche tra i voti a sinistra. Formentini aveva esperienza politica e aveva avuto un rapporto corretto con il consiglio comunale, ma era pur sempre un’espressione della Lega. Questa è la sostanza delle cose. Quando la Lega portò avanti delle scelte secessioniste, io portai avanti delle battaglie molto serie contro il sindaco Formentini. Riconosco però che fosse molto meglio dei suoi consiglieri e molto meglio di molti suoi assessori.

(Potete ascoltare l’intervista integrale a Basilio Rizzo a partire da 1:22:00)

Foto dalla pagina Facebook di Basilio Rizzo

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    Lista stupri. Una delle ragazze minacciate: “L’educazione sessuo-affettiva serve ad arginare le violenze”

    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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