Approfondimenti

“Mi chiamavano lo Scuro”

Mi chiamavano Heizi, «Lo Scuro», per via del colore della mia pelle. Già prima del 1965, a scuola si discuteva se si dovesse o non si dovesse studiare. Certo, bisognava seguire soprattutto il pensiero di Mao, ma ci si chiedeva se fosse meglio una formazione intellettuale oppure addestrarsi a combattere. Io ero figlio di militari e preferivo andare a nuotare nel fiume o a caccia di uccelli al posto di studiare, quindi per me la risposta era scontata. Vivevamo in un complesso residenziale dell’aviazione sulla Via della Lunga Pace, a Pechino, dove a quei tempi sembrava di stare in campagna. C’erano gli orti e anche un torrente.

Avevo un amico insufficiente in tutte le materie. Si mise a leggere Il sogno della camera rossa, il romanzo scritto nel Settecento da Cao Xueqin, e gli piacque così tanto che si commosse fino alle lacrime. Dato che quel romanzo era tra i preferiti di Mao, quel mio amico divenne l’eroe di noi tutti, anche se era una bestia.

Perfino nei sentimenti dovevamo seguire il presidente. Da allora, tra di noi circolò un detto che riprendeva il suo «ribellarsi è giusto» e che diceva «anche l’insufficienza è giusta, a patto che si corrisponda ai sentimenti di Mao». Siamo arrivati addirittura a dibattere se si dovesse seguire il pensiero della figlia di Mao. Io, che bigiavo la scuola, ero del tutto in linea con quel periodo: i giovani comunisti devono essere come dei teppisti, dei briganti.

Un giorno, avevo appena catturato un uccello quando passò un tipo e mi disse: «Vergogna, fai ancora queste scemenze?». Sul Quotidiano della gioventù era uscito l’articolo di una vecchia comunista che sosteneva si dovesse studiare, perché altrimenti i figli dei borghesi si sarebbero avvantaggiati. Si passò nel giro di una settimana da «anche l’insufficienza è giusta» a studiare come pazzi perché altrimenti i figli dei borghesi ci avrebbero fatto le scarpe. Già si vedeva il futuro scontro di classe della Rivoluzione culturale.

In quei giorni montava lo spirito ribelle. In una delle sue poesie, Mao parla dell’attraversamento del ponte sul fiume Dadu, dove ci sono gelide catene di ferro. Il professore la interpretò alla lettera, dicendo che il gelo aveva ristretto le catene. Io mi alzai e controbattei: «Non dire sciocchezze, quelle catene di ferro rappresentano la resistenza dei rivoluzionari». Avevo osato contraddire il professore ed ero ancora alle medie. Figuriamoci cosa facevano quelli delle superiori.In inverno si andava a pattinare sul lago ghiacciato. Un giorno il ghiaccio si ruppe e uno ci finì dentro, allora un altro si tuffò per salvarlo e ci rimase secco. Quando tornai nel mio complesso residenziale, un amico venne a dirmi: «Come mai non ti sei buttato tu?». Provavamo tutti vergogna perché quello che si era buttato era figlio di borghesi e invece eravamo noi, figli di comunisti, che dovevamo dimostrare coraggio. Così alzammo sempre più il tiro delle nostre azioni per dimostrare la nostra passione rivoluzionaria.

All’inizio del 1966 successero cose strane. Un amico mi raccontò che sua nonna, una mattina, si era spaventata perché la gallina si era messa a cantare come il gallo. Quella storia diventò un motto: «Quando la gallina canta come il gallo, grandi cose sono in arrivo». Poi venne anche una tempesta di sabbia particolarmente potente. Presagi.

A maggio cominciò la Rivoluzione culturale vera e propria ed ebbe inizio anche il movimento dei dazibao, i lenzuoloni su cui scrivevamo slogan e denunce. Mi ci misi in mezzo pure io. Un giorno, uno zio andò da mio padre e gli disse: «Occhio che tuo figlio ha preso di mira la cellula dei lavoratori, è un’azione molto pericolosa». Inutile dire che mio zio era il capo della cellula. Convennero che a quel punto la cosa migliore fosse spedirmi al militare, via da Pechino.  Era fine giugno 1966 e non potevo essere più felice di così, perché sarei andato in aviazione. La divisione di Luoyang aveva un battaglione motorizzato che riforniva di armi i vietcong, attraverso il Guanxi e lo Yunnan.

Combattere gli americani era il massimo, tutti volevano farlo. «Ciao ciao, vado a sconfiggere l’imperialismo americano», dissi ai miei amici che morivano d’invidia. Invece mi fecero fare due giorni di treno per andare in un campo d’addestramento tra Heilongjiang e Mongolia Interna, dove le reclute venivano spedite a coltivare i campi insieme ai contadini. Io non ne avevo la minima voglia, così colsi l’occasione quando ci dissero che cercavano qualcuno che sapesse andare a cavallo e mi feci avanti, visto che da piccolo ero salito in groppa a un asino. Mi spedirono in un posto dove il mio compito era quello di pascolare i buoi stando a cavallo e fu la cosa più atroce che abbia mai fatto in vita mia. C’erano le zanzare alla mattina, i calabroni a mezzogiorno e un altro insetto succhia sangue alla sera. Per due settimane dormii a pancia in giù perché mi faceva male il culo ed ero pieno di bolle per le punture degli insetti. Però sopportavo tutto, perché Mao diceva che non bisognava avere paura delle difficoltà e nemmeno della morte.

Bisognava leggere ogni giorno le opere di Mao, come in una religione, come nel vostro Vangelo. Lì c’è sempre Gesù che dice la cosa giusta al momento giusto e tutti lo seguono. Ecco, da noi c’era Mao che faceva lo stesso.Un mio amico era figlio di alti graduati dell’esercito e gli piaceva disegnare carri armati tutto il giorno. Fece un disegno in cui sembrava che la traiettoria di un proiettile colpisse il ritratto di Mao e lo accusarono di essere un controrivoluzionario. A quei tempi solo il figlio di Lin Biao, il numero due di Mao, non correva il rischio di essere etichettato come controrivoluzionario. Nonostante ascoltasse musica rock dalla mattina alla sera.

La polizia o i comitati di quartiere davano alle guardie rosse i nominativi dei «capitalisti» e quelli andavano a interrogarli. A Shanghai, un mio amico con la sua banda finì in casa di un tipo che non voleva ammettere di essere un capitalista e che insisteva invece di essere un operaio. Lo ammazzarono di botte. Arrivò suo figlio e diede di matto, così ammazzarono pure lui. Il giorno dopo, ci fu una mezza insurrezione in fabbrica e gli operai partirono in massa per linciare il mio amico e la sua banda, ma la polizia di Shanghai li coprì. È una storia che non si è mai risolta e anche oggi il nome del mio amico non è stato reso pubblico. Non lo dirò mai.Eravamo tutti burattini nelle mani di qualcuno. Sacralità, dittatura, arbitrio, erano i tre principi feudali contro cui avremmo dovuto batterci. E paradossalmente li avevamo dentro di noi.

Poi anche mio padre finì inguaiato in quanto «revisionista» e quindi io fui espulso dall’esercito. Solo che non sapevano dove mettermi e allora mi lasciarono lì, con i buoi e i cavalli, fino al gennaio del 1967, quando fui rispedito a Pechino. Nel mio complesso residenziale mi sentivo a disagio. Erano spariti quasi tutti, compresi i miei genitori. Avevamo la sensazione di essere stati usati e poi traditi dal Partito.

Lì, cominciò la guerra di tutti contro tutti.Mi raccontarono di questa assemblea del 26 dicembre in cui tutti i figli dei quadri rivoluzionari del Partito e dell’esercito si riunirono per fondare il Comitato d’azione. La riunione cominciò con grande solennità, si alzarono i figli dei quadri rivoluzionari, quindi i figli dei militari rivoluzionari, poi tutti insieme cantarono l’Internazionale e Ai soldati dell’armata Rossa manca Mao Zedong. Fin qui tutto ufficialissimo, poi cominciarono gli interventi e scoppiò una confusione che andò di male in peggio. Un susseguirsi di slogan come «Cannonate sul gruppo centrale della Rivoluzione culturale», grida di «Al rogo Jiang Qing», «Friggiamo nell’olio Kuai Dafu», che era un leader della fazione dei ribelli.

Tutti avevano i loro risentimenti personali, soprattutto per via dei genitori in disgrazia. Era forse la prima volta nella storia cinese che si sentivano così tante voci che venivano dal profondo del cuore. Un mio amico incaricato di prendere le firme di tutti all’ingresso, capì che la riunione era degenerata e pensò bene di correre via e andare a bruciare i registri dei presenti. Il comitato non fu mai messo all’indice, forse proprio perché il mio amico cancellò le prove.

Noi, vecchie guardie rosse, eravamo ormai l’ala conservatrice. Tutti noi, figli di militari dell’aviazione e della marina, eravamo cresciuti insieme e condividevamo gli stessi valori. Così cominciammo a fare la guerra ai «ribelli». Il 5 agosto del 1967, durante uno scontro violento, uno studente fu ucciso. Non c’è un motivo chiaro per cui ammazzai quel ragazzo. Lo spiegavamo con la lotta di classe. Lei Feng, il soldato modello, diceva: «Sii caldo verso i compagni, come la primavera; sii crudele verso i nemici, come l’inverno più duro». La rivoluzione è una classe che ne rovescia un’altra, è una cosa violenta.

«Non è un pranzo di gala», diceva Mao Zedong. La Rivoluzione culturale aveva indossato l’abito della cultura, ma sotto era una lotta per la sopravvivenza. Quelli della scuola media della Normale erano stati umiliati dalla banda di un’altra scuola, quella dei figli del ministero delle Granaglie, che erano molto violenti. Allora decisero di vendicarsi, ma non erano in grado, troppo educati, e così ci chiesero aiuto. Uno dei miei amici mi chiamò: «Andiamo a fare la vendetta di classe». Noi eravamo figli di militari, ci allenavamo tutti i giorni, facevamo boxe, arti marziali.

Quel tipo lo ammazzai con un bastone. Gli diedi una botta sulla nuca, lui rotolò in un fosso. Mentre cercava di tirarsi fuori gli diedi un’altra bastonata e vidi il sangue schizzare, ma non pensavo di averlo ammazzato. Uno dei poliziotti che mi presero, mi disse: «Ma scusa, sei grande e grosso, gli dai due legnate in testa con un bastone spesso dieci centimetri, cosa credi che succeda?»Dopo averlo ammazzato, provai senso di colpa, era figlio di operai iscritti al Partito comunista. Era un compagno. Se fosse stato figlio di un capitalista o di un proprietario terriero avrei provato lo stesso? Probabilmente no.

Mi misero brevemente in galera, poi in un centro di studio e rieducazione. Dopo un paio d’anni mi fecero uscire con uno speciale certificato. Garantiva che non sarei mai stato perseguitato. Anche la famiglia dell’ucciso mi perdonò, il Partito aveva messo tutti d’accordo. Nessuno conosceva il mio vero nome, non c’era scritto su nessun documento, anche su quelli del centro di rieducazione comparivo solo come Heizi.

Quando nel 2010 decisi di raccontare pubblicamente del mio omicidio sulla rivista Yanhuang Chunqiu, mia moglie mi sconsigliò di farlo, tanto ormai ero pulito. Tirai dritto, lei alla fine se ne fece una ragione. I parenti della vittima vennero a trovarmi, il nipote mi disse di provare rispetto per me, perché avevo parlato, ma che non mi avrebbe mai perdonato. E mi intimò di non rivelare mai il nome del morto. Mi dissero anche che i genitori del ragazzo furono favorevoli alla mia scarcerazione. Alla fine, eravamo tutti compagni.

Wang Jiyu, conosciuto come «Heizi», gestisce un enorme maneggio per cavalli da dressage oltre il sesto anello delle circonvallazioni di Pechino. Ha sessantacinque anni portati benissimo. Ne aveva quindici quando cominciò la Rivoluzione Culturale. Nel 2010, fu uno dei primi protagonisti di quella stagione a raccontare di avere ucciso un suo coetaneo nel corso di una rissa tra due opposte fazioni di guardie rosse. Per liberarsi la coscienza, scrisse un articolo su un giornale riformista, il Yanhuang Chunqiu, riflettendo sulle proprie trasgressioni. Il fatto si svolse nel 1967, quando aveva 16 anni.

L’articolo è tratto dallo Speciale di China Files sul cinquantesimo anniversario della Rivoluzione culturale.

  • Autore articolo
    Gabriele Battaglia
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli
POTREBBE PIACERTI ANCHETutte le trasmissioni

Adesso in diretta

Ultimo giornale Radio

  • PlayStop

    GR giovedì 28/03 19:30

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle 16 edizioni quotidiane del Gr. Un appuntamento con la redazione che vi accompagna per tutta la giornata. Annunciati dalla “storica” sigla, i nostri conduttori vi racconteranno tutto quello che fa notizia, insieme alla redazione, ai corrispondenti, agli ospiti. La finestra di Radio Popolare che si apre sul mondo, a cominciare dalle 6.30 del mattino. Da non perdere per essere sempre informati.

    Giornale Radio - 28-03-2024

Ultima Rassegna stampa

  • PlayStop

    Rassegna stampa di giovedì 28/03/2024

    La rassegna stampa di Popolare Network non si limita ad una carrellata sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani: entra in profondità, scova notizie curiose, evidenzia punti di vista differenti e scopre strane analogie tra giornali che dovrebbero pensarla diversamente.

    Rassegna stampa - 28-03-2024

Ultimo Metroregione

  • PlayStop

    Metroregione di giovedì 28/03/2024 delle 19:48

    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 28-03-2024

Ultimi Podcasts

  • PlayStop

    Serve & Volley di venerdì 29/03/2024

    Musica e parole per chiudere in bellezza il palinsesto dei giovedì! Con Marco Sambinello e Niccolò Guffanti.

    Serve&Volley - 28-03-2024

  • PlayStop

    Labirinti Musicali di giovedì 28/03/2024

    Finita la quasi quarantennale militanza domenicale della “classica apertura”, la redazione musicale classica di Radio Popolare ha ideato un programma che si intitolerà Labirinti Musicali: ovvero un titolo generico da contenitore di storie, aneddoti, curiosità legate tra di loro da un qualsivoglia soggetto/percorso/monografia proposto da uno di noi in forma di racconto, con ascolti ad esso legati, sempre con buona alternanza di parole e di musica. Uno spazio radiofonico che può essere la storia di un disco, un libro, un personaggio anche famoso, ma proposta da angolazioni nuove, curiose. Non una lezione, quasi una confidenza all’orecchio di un ascoltatore. I labirinti sono luoghi reali e circoscritti, e allo stesso tempo irreali: sono la sorpresa, sono l’incontro, sono l’imprevisto…e anche la musica è qualcosa che si muove in uno spazio acustico-temporale ben determinato, qualcosa che ci stupisce e sparisce dietro un angolo per poi farci ritornare al punto di partenza senza avere avuto il tempo di memorizzarne il percorso melodico, armonico, ritmico. Ci perdiamo nella musica proprio come in un labirinto, e la ritroviamo nei meandri più nascosti della mente… Viviamo in un labirinto di idee diverse nel quale ognuno di noi deve trovare un proprio spazio, e per uscire da questo labirinto dobbiamo affidarci alla nostra ragione…e al potere semantico della musica. Nel Medioevo si diceva che il labirinto è come la vita, e la vita come un labirinto. Ma nel labirinto non ci si perde, nel labirinto ci si trova. Con la complicità della musica.

    Labirinti Musicali - 28-03-2024

  • PlayStop

    News della notte di giovedì 28/03/2024

    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

    News della notte - 28-03-2024

  • PlayStop

    Musiche dal mondo di giovedì 28/03/2024

    Musiche dal mondo è una trasmissione nel solco della lunga consuetudine di Radio Popolare con la world music – da prima che questa discussa espressione entrasse nell’uso internazionale – e in rapporto con World Music Charts Europe. WMCE è una iniziativa a cui Radio Popolare ha aderito e partecipa dall’inizio: una classifica europea realizzata attraverso il sondaggio mensile di animatori di programmi di world music su emittenti pubbliche, aderenti all’Ebu, appunto l’associazione delle emittenti pubbliche europee, ma con qualche eccezione come Radio Popolare, che è una radio privata di ispirazione comunitaria. Nel 1991 l’EBU sondò la Rai, per coinvolgerla in WMCE, ma la Rai snobbò la proposta. Però all’Ebu segnalarono che c’era una radio che sulle musiche del mondo aveva una certa tradizione e che probabilmente avrebbe risposto con interesse… L’Ebu si fece viva con noi, e Radio Popolare aderì entusiasticamente. Ormai quasi trent’anni dopo, WMCE continua e Radio Popolare continua a farne parte, assieme ad emittenti per lo più pubbliche di ventiquattro paesi europei, fra cui la britannica BBC, le francesi Radio Nova e RFI, le tedesche WDR, NDR e RBB, l’austriaca ORF, Radio Nacional de Espana, la russa Echo of Moskow, la croata Radio Student. Attraverso WMCE, Musiche dal mondo riceve annualmente centinaia di novità discografiche inviate dalle etichette o direttamente dagli artisti, dal vintage dell’Africa nera al canto di gola siberiano, dalle fanfare macedoni al tango finlandese: proponendo musica che difficilmente le radio mainstream fanno ascoltare e di cui i media correntemente non si occupano, Musiche dal mondo è una trasmissione per la salvaguardia e lo sviluppo della biodiversità musicale.

    Musiche dal mondo - 28-03-2024

  • PlayStop

    Live Pop di giovedì 28/03/2024

    Ogni giovedì alle 21, l’auditorium Demetrio Stratos di Radio Popolare ospita concerti, presentazioni di libri, reading e serate speciali aperte al pubblico.

    Live Pop - 28-03-2024

  • PlayStop

    Quel che resta del giorno di giovedì 28/03/2024

    I fatti più importanti della giornata sottoposti al dibattito degli ascoltatori e delle ascoltatrici. A cura di Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro

    Quel che resta del giorno - 28-03-2024

  • PlayStop

    Esteri di giovedì 28/03/2024

    1-Monito dell’Onu: “ la fame a Gaza potrebbe equivalere a un crimine di guerra” Dall’ Aja la Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di garantire un'assistenza umanitaria urgente. L’ Irlanda ha annunciato che parteciperà alla causa avviato dal Sudafrica contro Israele. 2- Intanto l'esenzione dalla leva per gli ebrei ortodossi sta creando forti problemi al governo del premier Netanyahu che ha nella sua maggioranza due partiti religiosi. 3-Francia. Il Parlamento ha approvato una risoluzione che chiede al governo il riconoscimento e la condanna del massacro degli algerini l 17 ottobre 1961 a Parigi. 4- Lo Yemen rimane una delle più gravi emergenze umanitarie al mondo. L allarme lanciato da Oxfam a nove anni dall'inizio del conflitto 5- Nicaragua. Settimana santa di repressione per il secondo anno consecutivo. Vietate le processioni a Pasqua 6- La canzone di protesta che l'IDF ha cercato di mettere a tacere. A più di 40 anni dal sequestro della copia originale da parte delle forze israeliane, “The Urgent Call of Palestine” di Zeinab Shaath sarà ristampato.

    Esteri - 28-03-2024

  • PlayStop

    Muoviti Muoviti di giovedì 28/03/2024

    (127 - 509) Dove veniamo a conoscenza dell'esistenza di un Roberto da Bergamo jr. Poi con Marco Schiaffino parliamo del Piracy Shield, di come sia stato hackerato e di cosa comporti questo per la gestioni di alcuni siti e servizi internet in Italia. In chiusura parliamo di quello che ogni tanto ascoltatori e ascoltatrici vedono dalle finestre.

    Muoviti muoviti - 28-03-2024

  • PlayStop

    Playground di giovedì 28/03/2024

    A Playground ci sono le città in cui abitiamo e quelle che vorremmo conoscere ed esplorare. A Playground c'è la musica più bella che sentirai oggi. A Playground ci sono notizie e racconti da tutto il mondo: lo sport e le serie tv, i personaggi e le persone, le ultime tecnologie e le memorie del passato. A Playground, soprattutto, c'è Elisa Graci: per un'ora al giorno parlerà con voi e accompagnerà il vostro pomeriggio. Su Radio Popolare, da lunedì a venerdì dalle 16.30 alle 17.30.

    Playground - 28-03-2024

  • PlayStop

    Sapore Indie 25 - 28/03/2024

    1. Water Tanks - I Hate My Village 2. Y.A.A.M. - Marie Davidson 3. Life Starts Tomorrow - A Toys Orchestra 4. Opus - Lightning Bug 5. Disposition - Sam Akpro 6. Light - Maria Chiara Argirò 7. Ask Me Now - Mewn 8. La nostra Prova di Danza - Lamante 9. Over When It’s Over - Lucy Rose 10. Ma Tau Wai Road - Bolis Pupul

    Sapore Indie - 28-03-2024

  • PlayStop

    Jack di giovedì 28/03/2024

    Per raccontare tutto quello che di interessante accade oggi nella musica e in ciò che la circonda. Anticipazioni e playlist sui canali social di Matteo Villaci.

    Jack - 28-03-2024

  • PlayStop

    Considera l’armadillo di giovedì 28/03/2024

    Per riascoltare Considera l'armadillo noi e altri animali che oggi ha ospitato Giovanni Leghissa, Massimo Filippi e Bianca Nogara Notarianni per parlare dell'ultimo numero della rivista @Aut Aut Filosofia, edito da @Il Saggiatore, dedicato a La filosofia davanti al massacro degli animali, ma anche fi Flaco il gufo reale di New York e delle cause della sua morte e scopriamo che Giovanni voleva essere gatto.

    Considera l’armadillo - 28-03-2024

  • PlayStop

    Tre piedi su quattro nella fossa

    quando da veri matusa discorriamo di pensioni con i giovini Yana e Amir, ci connettiamo con il Bello Notizie edizione Papere Giganti, assoldiamo l'illustre Dindini della Cedola come terzo Destiny Boy e ci colleghiamo col mercante di diamanti Silvio di ritorno da Mumbay

    Poveri ma belli - 28-03-2024

Adesso in diretta