Iniziative

 

 

Medio Oriente, dal nazionalismo panarabo all’Isis

Prosegue il ciclo di incontri “Dalla Guerra Fredda alla Globalizzazione: 40 anni di politica estera raccontati da Icei e Radio Popolare”. Lunedì 6 novembre alle 21, nell’auditorium di via Ollearo 5, il settimo appuntamento: “Medio Oriente, dal nazionalismo panarabo all’Isis”. Intervengono i relatori Alberto Negri e Chawki Senouci, conduce Alfredo Somoza.

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Tra le macroregioni in cui siamo soliti suddividere il mondo, il Medio Oriente è forse l’unica che viene definita in relazione ad altre aree. Terra di mezzo tra Occidente e Oriente, ma da entrambi lontana quanto basta per essere considerata un’entità a sé. Entro i suoi confini, in verità fumosi e mobili, sono nate le tre grandi religioni monoteiste mondiali: per questo qui troviamo luoghi che sono stati considerati il centro della Terra, come Gerusalemme, e altri che lo sono tuttora, come La Mecca.

Modellato dal colonialismo, e prima ancora da conflitti religiosi ed economici e dall’espansione e dissoluzione dell’Impero Ottomano, il Medio Oriente rimanda a immagini di conflitti, guerre e persecuzioni, a totalitarismi e integralismi. È infatti una terra estrema, dove si combattono guerre secolari che non si sono assopite col passare degli anni, ma anzi sono state rinfocolate, alimentate dagli appetiti di potenze straniere.

Gli accordi segreti del 1916 tra Francia e Regno Unito firmati da Sykes e Picot, il Trattato di Losanna del 1923, gli “Accordi del Quincy” del 1945 tra Franklin Delano Roosevelt e la monarchia saudita, la nascita di Israele nel 1948 sono solo alcuni degli episodi che testimoniano come la storia dei popoli mediorientali sia stata scritta da parte di potenze occidentali, con la partecipazione secondaria di esponenti locali.

Solo il panarabismo laico e socialista del partito Baath degli anni ’60-’70, e oggi il disegno territorial-fondamentalista dell’Isis, hanno elaborato e perseguito una visione autonoma della regione a prescindere dagli equilibri internazionali. Il primo ha esaurito la sua spinta progressiva nei primi anni ’80, dopo la scomparsa dei grandi condottieri, come l’egiziano Nasser, che seppero giocare sul tavolo delle alleanze della Guerra Fredda, ma uscirono sconfitti dallo scontro con Israele, baluardo insostituibile della presenza occidentale. Gli eredi di quella tradizione, Saddam Hussein, al-Assad, Mubarak, guidarono Stati “complicati”, per via delle modalità della loro nascita e degenerarono verso forme acute di autoritarismo e di corruzione.

L’altra forza transnazionale, il fondamentalismo politico, ha una storia secolare ma è rimasta nascosta a lungo. Nato in Egitto, il fondamentalismo è emerso con forza negli ultimi trent’anni durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Si tratta di un’ideologia politica che rifiuta qualsiasi tipo di diversità culturale e dialettica politica: l’esatto contrario della tradizione mediorientale. Ora che la strategia dell’Isis – il primo gruppo di questa famiglia ideologica sunnita a tentare la conquista di un territorio per via militare – sta fallendo, come un fiume carsico il fondamentalismo tornerà a nascondersi, in attesa di manifestarsi in una nuova reincarnazione futura.

Mentre il panarabismo era internazionalista nella concezione classica del socialismo, il fondamentalismo è internazionale, nel senso che si propaga in ogni luogo in cui trova orecchie attente. Il primo cercava alleanze con altri popoli in lotta e condivideva il disegno geopolitico dell’URSS, il secondo si rapporta esclusivamente con i suoi seguaci ed è in guerra contro qualsiasi potenza abbia interessi in Medio Oriente. Ed è qui il dramma di una regione nella quale la democrazia è cosa rara e dove la politica si barcamena tra i servitori dell’impero di turno e il terrorismo più spietato.

Ovviamente il Medio Oriente – 17 Paesi popolati da 400 milioni di persone – è anche molto altro, molto di più sul piano delle risorse, delle potenzialità, della natura e dell’incredibile varietà culturale. Ma questo mondo giovane è azzoppato dalla storia, e dall’eredità della storia ancora non riesce a liberarsi. Tanto che appare come un vulcano di situazioni in continuo movimento. Dalla fine degli anni ’70 a oggi è stato il terreno degli ultimi scontri della Guerra Fredda, della prima rivoluzione islamica in Iran, della mediazione infinita tra Israele e Palestina, della dissoluzione di uno stato antico e importante come la Siria, della vittoria democratica del fondamentalismo islamico e di successivi colpi di Stato “riparatori”, della nascita delle reti moderne del terrorismo, da al-Qaeda all’Isis. Nessuna di queste notizie è stata positiva. O meglio, nessuna lo è stata per molto tempo. A ogni cambiamento sono seguiti conflitti e vittime. La presenza statunitense è diventata strutturale dall’Afghanistan in poi, a tutela degli interessi energetici e degli equilibri internazionali. Anche la ricchezza degli Emirati del Golfo è solo lo specchietto per le allodole di un modello sociale che rimane prevalentemente ingiusto e primitivo.

In mezzo a tante ombre ci sono anche alcune luci. Come il protagonismo della minoranza curda in Iraq e Siria, a tutela della tolleranza; la modernizzazione e democratizzazione dell’Iran; la tenuta di piccoli Stati simbolicamente importanti come Libano e Giordania; l’ormai consolidato diritto all’esistenza di Israele. Nel complesso, ancora molto poco per un’area del pianeta in continua transizione e mutazione.

Verso il Medio Oriente, l’Occidente ha accumulato un debito gigantesco: molti dei problemi ancora aperti riguardano direttamente la politica estera delle potenze negli ultimi decenni. Si tratta di un debito incolmabile dal punto di vista economico e umano, ma che si potrebbe provare a ripagare sostenendo gli sforzi per ricucire ferite, chiudere conflitti, ritrovare equilibri. Per riconoscere cioè i popoli mediorientali come protagonisti del loro futuro, e non semplici comparse della storia altrui.

  • Autore articolo
    Alfredo Somoza
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    A Milano arriva il Godai Fest: Rodrigo D'Erasmo, tra gli ideatori, ce l'ha raccontato

    Sabato 20 e domenica 21 settembre al Paolo Pini di Milano si terrà la prima edizione del Godai Fest, il festival multidisciplinare che unisce la musica alle arti performative e visive nato da un’idea del musicista Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti per abbattere i recinti di genere e di partecipazione, connettere le arti, sperimentare nuovi linguaggi, ampliare le visioni. L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà protagonista di un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (Fuoco, Terra, Acqua, Aria) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del Vuoto. Ad ogni elemento corrisponde un curatore: Rodrigo D'Erasmo in questa intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Volume ci ha presentato il concetto e il programma di questo festival.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Il primo Pride della Valtellina Chiavenna. L'emozione, ha fatto salir la fame! Per merenda: pane burro e acciughe con bollicina,. Poi via si torna a Milano, al Piccolo Salone del Libro Politico al Conchetta. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    In Etiopia inaugurata la diga della discordia

    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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    Volume di mercoledì 17/09/2025

    Oggi a Volume abbiamo iniziato parlando del Festival Suoni Delle Dolomiti giunto alla sua 30a edizione, ma anche del Godai Fest, evento che si terrà nel weekend al Parco Ex Paolo Pini di Milano e che ci racconta Rodrigo D'Erasmo in qualità di direttore artistico. A seguire segnaliamo il concerto-evento pro Palestina organizzato da Brian Eno che si terrà questa sera a Londra, e concludiamo con il quiz dedicato al cinema, oggi incentrato sul film Il Diavolo Veste Prada del 2006.

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