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Mattarella, argine al “no euro” mascherato

Sergio Mattarella e Carlo Cottarelli

In Italia ormai da settimane regna l’incertezza politica e in questi ultimi giorni è partito un vero e proprio scontro tra le due forze politiche uscite vincitrici dalle elezioni del 4 marzo scorso e il Quirinale, dopo che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è rifiutato di approvare una lista di ministri contenente il professor Paolo Savona come Ministro dell’Economia.

Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno prontamente tuonato contro il Colle, lanciando accuse a Mattarella. Il primo è arrivato addirittura a chiederne l’impeachment – salvo poi fare un passo indietro – e il secondo raccoglierà firme nel prossimo weekend per una proposta che dovrebbe portare all’elezione diretta del Presidente della Repubblica.

In questo delirio di accuse e dichiarazioni è molto facile perdersi e per fare un po’ di chiarezza abbiamo intervista, nel corso dell’appuntamento odierno di Zona Mista, il professor Gustavo Piga, docente di Economia Politica all’Università Tor Vergata di Roma, nonché parte del gruppo di professori indipendenti a cui il leader di M5S Luigi Di Maio aveva chiesto di confrontare i programmi elettorali di Lega, M5S e PD e di stilare un rapporto di valutazione finalizzato a trovare le principali differenze e somiglianze.

Lei quando qualche settimana fa ha visto uscire sui giornali quella bozza di contratto che conteneva espliciti riferimenti all’euro e alle procedure di uscita, ha fatto un salto sulla sedia in virtù dello studio che avevate fatto?

Sono un po’ confuso. Il programma di Lega e M5S mi ha fatto fare un salto positivo dalla sedia perchè non ho visto menzionato, contrariamente alle prime versioni, alcun riferimento all’uscita dall’euro. Era un segnale importante che le due forze, che fino ad allora avevano avuto un dibattito abbastanza ambiguo sulla questione, dicevano “non è questione per i prossimi 5 anni”. Mi sono sentito anche rassicurato, visto che noi il 4 marzo non avevamo votato sulla questione euro-non euro.
La bozza del piano B del prof. Savona l’avevo vista due anni fa, ero al seminario in cui venne presentata. Da economista l’ho ascoltato con grande interesse e curiosità intellettuale. Una cosa però è sedersi ad un seminario tra economisti due anni fa, una cosa è andare poi a valutare un ministro dell’economia che ha detto quelle cose. Vorrei ricordare quali sono le cose che ha detto, così capiamo la differenza tra essere un economista e un ministro.
Il grado di riuscita del piano B di uscita dall’euro in funzione del livello di segretezza e riservatezza che si riesce a mantenere, in quanto la divulgazione anche parziale potrebbe pregiudicare l’efficacia operativa in caso di improvvisa adozione della lira. Il modo migliore per farlo? Lasciare la zona euro in fretta. Questo certo che mi fa sobbalzare, certo che bisogna capire cento volte le perplessità del Presidente della Repubblica, tanto più se a quel punto si scorda un attimo di cosa l’aveva rassicurato – cioè che quelle cose non erano più scritte nel contratto – e torna indietro a poche settimane prima dove invece le avevano messe nelle dichiarazioni precedenti. A noi restava una sola grande perplessità sul programma, e continua a rimanere se la manterranno: loro propongono piani di spesa o di riduzione di tasse che viaggiano sui 70-80 miliardi tra flat tax e reddito di cittadinanza. Il nostro grande dubbio era: come diavolo vanno a finanziare questa roba? Le possono finanziare in tre modi: eliminando tutte le detrazioni – e ti salta il Paese, che scende in piazza – oppure facendo lacrime e sangue di tagli di spesa, ma non è nel DNA di questi due qua…

E la terza è finanziandole in deficit

Sì, io sono a favore di aumentare il deficit per risolvere questa crisi, ma non ai livelli di 7-8-9 percento compatibile col loro programma. A quel punto ti viene il sospetto che l’unico modo per farlo è quello di stampare carta moneta, che però è proibita dalla BCE e quindi diventerebbe stampa di carta moneta autonoma, la Lira, e tutto si tiene.

È per quello che, visto il suo profilo, glielo chiedevo. In queste ore sembra che il tema della discussione sia correre a smentire di aver mai detto “noi vogliamo uscire dall’euro”. Questo è sacrosanto, anche perchè nessuno in quel contratto lo ha mai detto, però credo che il punto non sia quello, ma quello di cui stava parlando lei. Lì dentro c’erano delle misure che prevedevano delle spese e si aggiunge così il terzo tassello: si presentano con l’aut-aut sul ministro dell’economia, che guarda caso è uno che su quella strada lì dà la credibilità per muoversi.

Il comunicato stampa del prof. Savona non può essere stato letto pensando che non fosse stato concordato con i partiti o almeno con la Lega. Quel comunicato stampa manca della sola cosa che tutti aspettavano di sapere: non c’è nessun riferimento all’euro, nessuno. Se questo Paese vuole e decide democraticamente di voler vivere fuori dall’euro, al prossimo voto si farà un voto sull’euro e si deciderà. Io non ho nessun problema, se vinceranno i partiti che sono a favore dell’uscita dell’euro, a dire di mettere Savona all’Economia. Io mi batterò fino all’ultimo, perchè per me è una follia uscire dall’euro, ma se la popolazione italiana lo vuole si mette Savona lì perchè è stato deciso volontariamente così. Non in questo modo sottile, ingannevole e basato sulla segretezza senza che se ne sia mai parlato.

Quindi secondo lei il Capo dello Stato ha messo un punto su una questione che in realtà, tassello su tassello, implicitamente andava proprio lì.

Io vedo il nostro Presidente della Repubblica come colui che è stato capace di garantire i processi democratici. Questo atteggiamento deve continuare ora, in un momento difficile: non possiamo pensare di passare ad un governo di tecnici quando la gente sta esprimendo in maniera così chiara di voler un governo politico. Bisogna tornare a un governo politico o alle elezioni, senza lasciare a un governo tecnico il compito di determinare il prossimo documento di economia e finanza e la prossima legge di finanza. Il rischio è quello.

Secondo lei le ipotesi sono due: o ritorna un esperimento di governo Lega-M5S oppure si vada a votare entro fine luglio?

Spero che non ci sia la terza opzione, pericolosissima anche per l’ordine pubblico, di mettere un governo tecnico. Questo ormai il Paese non se lo può più permettere, ha un bisogno di rappresentanza democratica repressa per tanto tempo che non può essere più posticipato. La battaglia che vedo molto complessa è come il partito dei pro-euro, di cui io faccio parte, può far uscire un messaggio che per ora non è mai riuscito a far uscire che si può stare nell’euro senza fare politiche di decrescita e austerità. Ii nostri partiti, all’unanimità, a febbraio, prima che si chiudessero le Camere, hanno votato per la rimozione del fiscal compact dai trattati dell’Europa per la clausola degli investimenti pubblici – quindi non si converge al bilancio in pareggio, ma si converge a un 3% di prodotto interno lordo per investimenti pubblici, di cui il Meridione ha bisogno come il pane per creare occupazione soprattutto nelle classi che hanno i titoli di studio più bassi e che stanno soffrendo terribilmente in questo momento. Se facessimo una marea di investimenti per rimettere a posto le nostre scuole, le nostre carceri, tutte le infrastrutture nelle zone a rischio sismico, metteremmo a lavorare una marea di gente e non dandogli semplicemente dei soldi per non fare nulla.

Però questo è quello che i 5 Stelle e Lega dicono.

Basta che questo sia compatibile con l’euro e non fuori dall’euro. E mi domando: se tu fai il reddito di cittadinanza e la flat tax, dove trovi le risorse per aggiungerci anche un programma serio di investimenti pubblici? Questo fa parte del dibattito democratico. Il problema vero del partito euro è sganciarsi dall’idea che euro voglia dire austerità. Si può fare.

Cosa si aspetta dal fronte dello spread e di quello che significa in questi minuti? Perché poi, di fronte a noi, c’è un’altra dimensione che viene molto sventolata: c’è quel rischio di una salita tale per cui l’Italia entra nella categoria dei titoli spazzatura.

Lo spread è schiavo. È una cosa molto debole, è schiavo della politica: se la politica è forte, lo spread sparisce. E quando dico politica sto intendendo sia ovviamente la politica italiana. Se passassimo a un governo politico che dica “rimaniamo dentro l’euro” io sono certo che le cose andrebbero diversamente.
Ogni volta che lo spread italiano, sale anche lo spread medio europeo. La mancanza di fiducia nei mercati diventa non soltanto sull’Italia, ma anche sull’Europa. E questo la dice lunga su qual è l’altra grande debolezza di tutta questa costruzione: questa Europa che non capisce che se i trattati li abbiamo creati nel 1950 in nome della solidarietà nei momenti di difficoltà, è un’Europa che non capisce che l’Italia in questo momento esplode se non arriva nel giardino arido di sei anni di crisi l’acqua dall’Europa. Gli Stati Uniti d’America funzionano così: quando uno Stato è in difficoltà, gli altri Stati gli rovesciano risorse addosso e ci pensano dopo a rimettere la casa in ordine. Prima spendono l’incendio. Se l’Europa batte un colpo, se la Merkel dice che in questo momento bisogna aiutare l’Italia, se la Germania vede che questa concessione allunga la vita di 200 anni a tutta la costruzione europea che fa grande comodo alla Germania stessa, allora vedrà che gli spread spariscono, perchè sono gli schiavi dei bravi politici.

Lei dice che se il Movimento 5 Stelle e la Lega si fossero presentati col loro programma con una copertura maggiore – facendo capire che avevano delle idee che non prevedessero lo scontro frontale con l’Europa – la questione sarebbe potuta diventare sostenibile.

Sì, chiarendo però che l’Europa vince se uno rappresenta i sui stretti interessi nazionali, chiarendo che comunque all’interno dell’area dell’Euro il prossimo governo deve battere sonoramente i pugni a quel tavolo, deve chiedere una flessibilità vera e di tenere il deficit al 3% del PIL per fare investimenti pubblici fino a quando l’economia italiana non torna a performare come quella degli altri Paesi dell’area dell’Euro. Andare a discutere fortemente con l’Europa è necessario e forse M5S e Lega sono in questo momento i partiti più credibili per farlo, ma solo se lo fanno all’interno di una cornice di permanenza nella valuta comune. Altrimenti si rifà a votare chiedendo al popolo italiano se vuole uscire dall’Euro, in quel caso io farò campagna per mesi per convincere la gente che è la totale follia per le future generazioni. La democrazia prima di tutto.

Le sue spiegazioni sono molto chiare. Se io guardo da povero ignorante dal punto di vista dell’economia, mi sembra di vedere che lo spread ha iniziato a salire non quando si è visto che avevano vinto Lega e M5S e nemmeno quando tentavano di formare un governo. È cominciato a salire quando è uscita quella malaugurata bozza che ipotizzava i percorsi di uscita dall’euro: è lì che ha iniziato a innescarsi il processo o ho capito male?

Lei non mi sembra per niente un povero ignorante, ha azzeccato pienamente. Quello che leggiamo nello spread è una maggiore probabilità che i mercati danno all’uscita dell’Italia dall’Euro e guardi che sono saliti anche gli spread degli altri Paesi: se salta l’Italia, tutta la costruzione va in dubbio e qui torniamo alla questione che non è soltanto nazionale. Una politica forte che immetta l’Italia fuori dal pericolo fa bene a tutta l’Europa. Se abbiamo un governo forte che va a sbattere i pugni a Bruxelles, non è detto per niente che i mercati facciano salire gli spread. Anzi. Se la Merkel la mattina dopo dice di essere d’accordo con Salvin e Di Maio che bisogna lasciare il deficit al 3%, io le dico che lo spread italiano converge allo zero in 30 secondi. I mercati vedrebbero un’armonia tra Germania e Italia e che il progetto potrà andare avanti e si tranquillizzerebbero totalmente, certi che questo sarebbe un continente destinato a generare crescita. Anche tanti investitori esteri che si sono messi lontani dall’Europa tornerebbero a convergere qui.

Da questo suo discorso io prevedo invece che l’instabilità continuerà finchè non ci sarà un nuovo governo stabile, politico e che però dica chiaramente che cosa pensa dall’Euro. È così?

Sì, però se dice chiaramente “usciamo dall’euro”, lo spread andrà a 1000 e che domani mattina, tra virgolette, dovremmo stampare immediatamente carta moneta.

Questo è che quello che porta a dire molti che l’Italia è schiava.

Ma no, non è schiava di nulla. Anzi, è il contrario: se l’Italia vuole uscire dall’euro, lo spread deve andare a 1000, ma questo non vuol dire che l’Italia è schiava. L’Italia uscirà, ci sarà un tasso di interesse sulla lira italiana, semplicemente lo spread ne prenderà atto. Lo spread è un notaio che prende atto delle decisioni della democrazia italiana. Se l’Italia decide – sapendo che per un periodo lo spread sarà alto e che ci saranno grandi redistribuzioni e che non ci sarà più l’opportunità di stare in un progetto comune europeo – di farlo, lo spread ne terrà conto. Ci sono tanti Paesi che vivono fuori dall’area dell’euro senza essere morti. Non facciamo gli stessi errori di quelli che hanno fatto la campagna contro la Brexit dicendo “dopo la Brexit ci sarà il disastro” e la gente ovviamente si è arrabbiata. Dobbiamo fare una campagna pro-euro e spiegare quali sono i vantaggi di rimanere. Dobbiamo far capire alle future generazioni che l’euro è un anello che sancisce e facilita un matrimonio tra un gruppo di Paesi che fino a 50 anni fa si sono combattuti fino alla morte con opzioni che davvero non vogliamo rivedere sul tavolo.

Sergio Mattarella e Carlo Cottarelli
Foto | Quirinale
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