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Marianne Faithfull, una vita che vale un film

British singer Marianne Faithfull in Barcelona

Una vita, quella di Marianne Faithfull, che vale un film. A partire dalla genesi. Si racconta che sua madre fosse una baronessa austriaca nipote di Leopold von Sacher Masoch, l’autore della bibbia del masochismo.
Quanto al padre, si narra fosse una spia britannica inventore di un accrocchio cui diede il nome di Macchina della Frigidità. La coppia, dopo aver dato alla luce la figlia, non funzionò a lungo e Marianne fu spedita in convento dove acquistò quell’aria di casta fanciulla messa al mondo per far impazzire il genere maschile.
Sconventatasi, decise di fare la cantante ed ebbe la fortuna di incidere uno dei primi pezzi firmati Jagger e Richards. As Tears Go By probabilmente era troppo dolce e malinconico per i cattivi ragazzi della band di quei due. In compenso, calzava a pennello per lei e fu un successo.

Per il manager degli Stones era l’angelo con le tette, di Jagger divenne la fidanzata. Tutto precipitò nel febbraio del ’67. La polizia fece irruzione dove, raccontano i verbali, una Faithfull ignuda era in compagnia del suo fidanzato e di altri sei uomini. Tutti impasticcati. Circolò addirittura la voce che al momento dell’irruzione fosse in corso un’orgia: Jagger sarebbe stato colto nell’atto di intingere una barretta di Mars tra le cosce della fidanzata.
“Quella storia mi ha distrutto” dichiarò anni dopo la Faithfull. “Essere un tossicodipendente maschio e comportarsi in questo modo è considerato esaltante e affascinante. Una donna in quella situazione diventa una troia e una cattiva madre”.
In una canzone di parecchi anni dopo scrisse che lei non era una signora e nemmeno una prostituta, ma una musa. Difficile darle torto.

Una volta disse a Jagger “i cavalli selvaggi non potevano trascinarmi via”, una frase che è diventata la linea del ritornello di Wild Horses. Ruby Tuesday è dedicata a lei e leggenda vuole che Let’s Spend the Night Together nacque da ore infuocate trascorse in una stanza del Bristol Hotel. Bob Dylan per lei scrisse una poesia. Poesia che stracciò quando la musa, allora diciottenne, rifiutò le sue avances.

Gli anni ’70 l’hanno vista trasformarsi in un personaggio da romanzo di William Burroughs, che lei adorava. Divenne una senzatetto, vivendo per le strade di Soho a Londra mentre cercava di smettere di usare l’eroina.
In un’intervista del 2016 dichiarò: “Improvvisamente, quando vivevo per strada… ho capito che gli esseri umani erano davvero buoni. Il ristorante cinese mi ha permesso di lavare lì i miei vestiti. L’uomo che aveva il chiosco del tè mi ha offerto delle tazze di tè”. Ha lentamente cambiato la sua vita, ponendo fine a un periodo quasi decennale lontano dalla musica con l’album country Dreamin’ My Dreams nel 1976.

Tre anni dopo è arrivato Broken English, uno dei suoi album più acclamati. Synthpop e postpunk con una voce toccante, cruda e profonda. Ha abbandonato definitivamente la droga nel 1985 e ha pubblicato regolarmente musica per il resto della sua carriera, collaborando tra gli altri con Nick Cave, Damon Albarn, Emmylou Harris, P J Harvey, Beck e i Metallica.

“Invecchiare” ha dichiarato “ha fatto bene alla mia voce”. Una voce che ha utilizzato spesso anche per recitare. Lo ha fatto in ruoli diversissimi. Tra i tanti ricordo quello di Dio in due episodi della sitcom Absolutely Fabulous; quello di diavolo in una produzione del 2004 di The Black Rider, un musical di Tom Waits e William Burroughs.
Ma quella che una volta per qualcuno era solo una innocente biondina con un corpo da reato ha anche impersonato l’imperatrice Maria Teresa nel film Maria Antonietta di Sofia Coppola.

La bad girl che si era buttata senza rete nell’effervescenza della Londra degli anni Sessanta con gli anni era diventata una maestra della duttilità.
Non a caso le piaceva ricordare che “Quando scrivo i testi delle mie canzoni sono lunare, dark. Quando invece canto l’amore divento solare, luminosa”.

  • Autore articolo
    Claudio Agostoni
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