Diciamo la verità. Del nuovo presidente dell’Europarlamento interessa pochino ai cittadini europei. In pochi sapevano che fosse il tedesco Schultz, in pochi si scaldano per il suo successore. Eppure Strasburgo conta, ha un ruolo importante nella formazione delle leggi europee, dà la fiducia alla Commissione, la sua approvazione è essenziale per il bilancio dell’Unione. Il Trattato di Lisbona ne ha aumentato i poteri ed è l’unica istituzione europea eletta direttamente dal popolo. Nei prossimi mesi, per dire, dovrà esprimersi su una questione molto importante, il Trattato di libero scambio con il Canada, il Ceta, una specie di versione minore del Ttip che del fratello maggiore ripropone i nodi, dal rispetto di diritti dei lavoratori all’ambiente.
Ma tutto questo non basta a fare dell’Europarlamento un protagonista del dibattito pubblico. Lo si tira in ballo solo per denunciarne le inefficienze e il poltronismo. C’è della demagogia, in questo, e c’è della superficialità dei media, in particolare italiani. C’è anche la disaffezione più generale verso l’Unione europea, complice l’opportunismo di chi accusa Bruxelles di tutti i mali. Ma non basta. All’Europarlamento troppo spesso è mancata la politica. Lo scontro fra valori e visioni del mondo, da tradurre poi in atti concreti.
I due gruppi più grandi, i Socialisti e i Popolari sono spesso andati a braccetto, emarginando i partiti più piccoli. Tanto non c’è da sostenere un governo politico. La Commissione, l’esecutivo europeo, è nominata dai governi nazionali che scelgono i commissari da mandare a Bruxelles. Il parlamento è ancora troppo debole nei confronti del Consiglio, che riunisce i premier e i ministri nazionali. E’ troppo debole perché i trattati ne disegnano ancora un ruolo subalterno ma anche perché troppo spesso ha rinunciato ad avere voce in capitolo, in nome dell’appartenenza nazionale anziché dell’interesse europeo.
Guardiamo a sinistra: perché Socialisti, Sinistra europea e Verdi non riescono a formare un vero blocco progressista capace di influenzare l’Unione? Sulle divisioni a sinistra si è detto già tutto, è praticamente un genere letterario. Strasburgo è un capitolo di quel romanzo. Ma darlo per scontato sarebbe un errore. In Europa pesano meno le fratture storiche nazionali. C’è il contributo di esperienze di altri paesi dove le alleanze a sinistra sono state nel tempo più praticate, come i paesi del Nord europa. Ci sono temi storicamente “europei” come i diritti civili e l‘ecologia attorno a cui il campo progressista può ritrovarsi.
Nell’Europa in crisi, spaccata su quasi tutto, attraversata dai nazionalismi di ritorno, l’Europarlamento potrebbe rivendicare un ruolo: quello della democrazia, dei diritti, del futuro, contrapposto alle spinte reazionarie e populiste. Una partita che i progressisti europei non dovrebbero rinunciare a giocare.