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L’offensiva su Raqqa, la roccaforte del Califfato

La diga di Tabqa è la più grande della Siria e di tutto il mondo arabo. La sua costruzione è inziata nel 1968 ed è durata cinque anni. Di larghezza misura 4,5 km e la massima altezza è di 60 metri. Il lago che si è creato è lungo 80 km e con larghezza media di 8 km. Raccoglie quasi 12 miliardi di metri cubi di acqua. Una bomba a orologeria in caso di cedimento strutturale per un eventuale bombardamento o sabotaggio.

L’agenzia web jihadista considerata portavoce del sedicente Califfato ha annunciato l’imminente crollo della diga a causa di un presunto bombardamento della coalizione guidata dagli Stati Uniti e ha ordinato alla popolazione di evacuare la zona a valle, cioè compresa la popolazione di Raqqa che dista 40 km a est della diga, con i suoi quasi 220mila abitanti. Ma si è scoperto subito che era un bluff, un numero nella guerra della disinformazione propagandistica. Infatti, oltre alle smentite delle fonti militari di Washington e di quelle curde, gli attivisti dell’opposizione antijihadista di Raqqa, sul loro sito e nei social network, hanno raccontato che miliziani di Daesh hanno girato per le strade del capoluogo annunciando con i megafoni che non c’è pericolo dalla diga e che nessuno poteva lasciare la città senza autorizzazione.

Questo pasticcio mediatico è in qualche modo il segno del nervosismo che sta assalendo i miliziani e i capi di Daesh. Le offensive su Mosul in Iraq e su Raqqa in Siria stanno restringendo gli spazi di manovra dei jihadisti. Ultimo episodio di queste sconfitte è la conquista della base aerea militare di Tabqa da parte dei guerriglieri curdi delle Forze siriane democratiche. Una volta terminata l’operazione di sminamento dell’aeroporto, i collegamenti tra Raqqa e la zona occidentale della Siria, dove ci sono ancora piccole aree sotto il controllo del falso califfo, saranno completamente interrotti. Non solo, ma l’aeroporto militare di Tabqa sarà la base per le incursioni aeree sul capoluogo.

L’offensiva su Raqqa, in realtà, sarà molto più complessa dell’avanzata dell’esercito iracheno su Mosul. Per diversi motivi: in Siria ad assediare Raqqa ci sono da una parte le truppe governative siriane con l’appoggio dell’aeronautica militare di Mosca e la presenza di truppe speciali russe e dall’altra i curdi con la copertura aerea statunitense. Washington ha anche spedito sul territorio siriano oltre 400 marines per addestrare i curdi e fungere da forze di separazione con i turchi, attestati a ovest dell’Eufrate. Altri mille sono dislocati nelle basi USA in Kuwait, pronti all’intervento in territorio siriano in caso di necessità.

Questo quadro rende la riconquista di Raqqa un’operazione difficile e dai risvolti imprevedibili. A pagarne l’alto prezzo sarà sicuramente la popolazione civile, ancora molto di più di quanto sta soffrendo quella di Mosul. Il massacro del 17 marzo, dove sono morte almeno 230 persone, in seguito ad un bombardamento USA, è soltanto l’ultimo di una lunga scia di stragi di innocenti.

  • Autore articolo
    Farid Adly
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    La notizia che pubblica il Wall Steet Journal è clamorosa. Il quotidiano finanziario di New York ha reso pubblica una lettera che Trump scrisse a Jeffrey Epstein, morto in carcere dove era rinchiuso con accuse di traffico sessuale tra minorenni, per il suo 50esimo compleanno in cui si faceva esplicita allusione all’intesa tra i due per via del rapporto con le ragazze di Epstein. La lettera è contenuta in un album con le lettere di altri amici di Epstein. Trump scrisse un immaginario dialogo tra i due in cui alludeva alle avventure sessuali come il piu forte legame della loro amicizia, corredato dalla foto di una ragazza nuda. Trump ha reagito alla solita maniera: è una fake news, ha detto, e ha annunciato una causa al giorrnale e all’editore Rupert Murdoch. Poi ha detto che il ministero della giustizia renderà noti i documenti su Epstein. In realtà il complotto degli Epstein Files fu alimentato proprio dagli ambienti della Alt Right statunitense che sostiene Trump. E lo stesso Trump ha accusato di nuovo i democratici. Mario Del Pero, professore alla univeristà Science Po.

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