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Lo sfruttamento nel distretto tessile di Prato

tessile prato

Sono un italiano onesto, che cazzo capite, trovatevi un altro lavoro e andate pregare alla moschea” dice il titolare di un’azienda a 3 operai che si erano rivolti al sindacato perché stufi di fare 12 ore di lavoro con contratti di 4 ore. Oppure il licenziamento “al citofono”. Sono solo le ultime delle tante storie di sfruttamento che continuano ad emergere dal distretto del tessile di Prato, e che sembra riportino all’800. O forse, invece, sono proprio l’emblema della modernità.

In questi giorni al centro delle mobilitazioni sindacali ci sono due vicende, molto indicative di come si lavora e in che clima, anche perché identiche a molte altre già accadute, e che hanno in comune l’allergia di molti imprenditori per il sindacato.

Dopo settimane di proteste e presidi la Guardia di Finanza ha deciso di andare a vedere cosa succede in due aziende: la Iron&Logistics, nel cuore del distretto tessile di Prato, e la Ritorcitura2000, a pochi chilometri da Prato, a Montemurolo, nel pistoiese.

Alla Iron&Logistics il presidio permanente dura da 2 settimane, dopo il licenziamento di 22 lavoratori, pakistani e nigeriani, che si erano iscritti al SiCobas. L’accusa del sindacato, è di aver creato una società ad hoc, dove l’azienda ha trasferito tutti i lavoratori non iscritti al sindacato, lasciando quelli “sgraditi” nella vecchia società, come anticamera del licenziamento, poi avvenuto lunedì 3 ottobre.

L’azienda li ha licenziati “al citofono”: la mattina di lunedì 3 ottobre gli operai sono andati in fabbrica, ma il loro badge era stato disattivato. Hanno suonato, ed al citofono una voce ha detto loro che erano stati licenziati. Da lì è partito il presidio.

“È una vicenda emblematica perché mostra come si cerchi di fermare una sindacalizzazione che a fatica continua, in situazioni di sfruttamento – spiega Luca Toscano del Si Cobas – e questo soprattutto tra lavoratori stranieri che hanno il peso sulla schiena dell’incredibile sviluppo di questo distretto. In questa azienda i lavoratori per anni sono stati abituati a non prendere lo stipendio o riceverlo con mesi di ritardo”.
“C’è un problema di queste filiere che si reggono su appalti e subappalti, e che arrivano spesso ai grandi marchi: Emporio Armani, LiuJo, Woolrich – cita Luca Toscano – ed è ancora emblematica perché mostra come queste condizioni di diritti negati stiano non solo nelle azienda a conduzione cinese, ma appunto in filiere che arrivano ai grandi nomi”.

L’altro caso di “allergia sindacale” è quello della Ritorcitura2000, azienda del “distretto allargato”. 3 lavoratori iscritti al SiCobas hanno denunciato quella che è una pratica piuttosto comune, oggetto di molte altre lotte sindacali nel distretto: contratti part-time di 4 ore, ma in realtà turni di lavoro anche di 12, con ampio uso del nero. Sauro Vignolini, l’italianissimo titolare dell’azienda, si è difeso con la stampa locale dicendo che erano tutte bugie del SiCobas. Purtroppo per lui, i lavoratori hanno registrato alcuni colloqui

Coma mai siete andati dal sindacato? Non va mica bene… i contratti sono già firmati, non serve a nulla. Qui si fa così: gli altri soldi ve li do in nero” dice l’imprenditore ai 3 lavoratori che, purtroppo per lui, hanno registrato i colloqui mentre minaccia che i loro contratti, a tempo, non saranno rinnovati. Ma i lavoratori non cedono. E l’imprenditore reagisce così: “Cercatevi un altro lavoro, io sono una persona onesta, un italiano onesto… qui è un piccolo paradiso, ma voi andate a pregare alla moschea, che cazzo capite”.
Non contento, l’imprenditore, venerdì quando la storia finisce sui giornali, prima con un muletto poi con un furgone ha provato a travolgere il presidio di protesta, durante uno sciopero, come racconta Francesca Ciuffi, del Si Cobas.

Ora saranno la finanza, e l’ispettorato del lavoro, ad accertare i fatti. Due storie che ancora una volta riportano l’attenzione su un distretto considerato fiore all’occhiello della manifattura italiana, ma dove situazioni di illegalità e sfruttamento sono diffuse. Ne avevamo parlato qui.

A proposito della vertenza della TextPrint: lavoro nero, turni massacranti, infortuni, venuti alla luce solo grazie alla tenacia dei lavoratori ed al supporto del sindacalismo di base.
E, come nel caso dell’Emilia Romagna, e spesso ignorate dalla politica locale, che preferisce voltarsi dall’altra parte rispetto alle condizioni su cui si reggono interi sistemi produttivi, in quelle che sono, ma ormai erano, considerate le “regioni rosse”.

“Qualche timido segnale c’è, ma in 4 anni di vertenze, con condizioni di sfruttamento gigantesche, 84 ore di lavoro settimanali per 800 euro, infortuni continui, non abbiamo mai visto nessuno davanti ai cancelli di queste aziende – continua Francesca Ciuffi del SiCobas – le istituzioni mantengono un’equidistanza tra la posizione datoriale e quella dei lavoratori, salvo poi arrivare i verbali e le sentenze che ci danno ragione”, è la conclusione amara.

(foto di Luca Toscano, SiCobas)

  • Autore articolo
    Massimo Alberti
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