
Ora si può dire che la campagna elettorale delle primarie del centrosinistra di Milano sia entrata nel vivo. Al di là dei sondaggi si potrebbe affermare che l’esito finale, se si dovesse giudicare dalla tensione del confronto a Radio Popolare, da quanto Balzani, Majorino e Sala ci hanno messo, non sia scontato. Che i candidati stiano andando alla ricerca dei voti uno a uno. Che la partita, insomma, sia aperta. Non è stato un gioco delle parti, non è stato nemmeno un incontro paludato e istituzionale come il primo dibattito a quattro al teatro Dal Verme.
E’ stato un faccia a faccia vero, teso e nervoso. Le linee dinamiche dei quattro candidati sono le stesse dall’inizio ma ora i profili e i toni sono diventati netti. Tra Balzani e Majorino sono state scintille. Si è visto quindi il grande paradosso. I due candidati che appartengono alla medesima area politica, che chiedono ciascuno all’altro di collaborare se vincessero le elezioni, si sconfessano e delegittimano a vicenda. Come potrebbero collaborare non è dato capire. E questo è il nodo alla sinistra dell’area renziana. Giuseppe Sala anche oggi si è profilato come colui che è al di fuori e al di sopra di queste dinamiche, come il sindaco-manager che prende i voti di opinione più che dei militanti del centrosinistra tradizionale, insistendo su parole come ‘cambiamento’. Sala parla di discontinuità e il senso politico è la discontinuità con il modello politico degli ultimi 5 anni.
Allo stesso tempo evita di porsi come colui che realizzerà a Milano il passaggio dal centrosinistra di vecchio conio a qualcosa di diverso, più simile alle attuali dinamiche romane, quelle dell’era di Renzi. All’auditorium di Radio Popolare si è scrollato di dosso, negando con forza, l’etichetta di uomo del Partito della Nazione. Lo hanno descritto così Balzani e Majorino, uniti nell’attacco al simbolo di Expo per le parole di stima di Verdini nei suoi confronti e per i conti dell’esposizione universale. Per poi tornare a dividersi e litigare.