“Sì, ho aiutato migranti sprovvisti di documenti, che volevano andare in Germania, a entrare illegalmente da Como in Svizzera. Non me ne pento, lo rifarei, ho agito secondo coscienza. Era impossibile non agire davanti a tanta disumanità”.
Lisa Bosia Mirra, deputata socialista svizzera, parla con noi mentre sta rientrando da una missione umanitaria a Belgrado. La deputata è stata oggetto di un decreto di accusa, con una pena pecuniaria di 8mila euro, e l’avvertimento che se dovesse aiutare ancora i migranti a passare il confine svizzero finirà in carcere. Il ministero pubblico svizzero ha scritto che Lisa Bosia Mirra è stata ritenuta colpevole, secondo le leggi federali, “di ripetuta incitazione all’entrata, alla partenza e al soggiorno illegale di migranti”.
“Sono sorpresa e amareggiata per questa sentenza – ci dice Lisa Bosia – perché non sono state accolte le attenuanti umanitarie. Inoltre è stato respinto il dossier che avevamo presentato e che spiegava cosa accadde a Como nell’estate del 2016, durante l’arrivo di centinaia di migranti. Questo mi preoccupa perché significa che c’è un clima di criminalizzazione verso chi aiuta i migranti”. La deputata socialista presenterà ricorso contro il decreto di accusa nei suoi confronti.
Lisa Bosia Mirra, 44 anni, è anche presidente dell’associazione Firdaus che in arabo significa paradiso.
Nella sua biografia scrive: “Sono sposata da 17 anni con Tarek con cui abbiamo formato una vivace famiglia multiculturale”. Dal 2002 si occupa di migranti e di asilo, in particolare sulle rotte migratorie dei Balcani.
Lisa Bosia Mirra, lei è un deputata che ha violato le leggi, favorendo l’ingresso illegale di migranti in Svizzera. Partiamo da qui.
“Sì, l’ho fatto. Non me ne pento, e lo rifarei davanti a tutta quella disumanità che ho visto, in particolare l’anno scorso a Como, quando arrivarono centinaia di migranti”.
Non se ne pente, ma le obiettano che le leggi vanno rispettate.
“Sì è vero le leggi vanno rispettate, ma in questo caso ho risposto prima di tutto alla mia coscienza, alla difesa dei diritti. E poi le leggi che regolano la possibilità dei migranti di attraversare le frontiere sono sbagliate. L’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) dice che quando un profugo è riconoscibile come tale, non possono essere applicate le normali leggi sull’immigrazione perché evidentemente sarà senza documenti. Gli Stati faticano ad assumere questa posizione, anzi si va sempre più verso una criminalizzazione dei migranti e delle persone che portano loro aiuti”.
Poi ci sono le leggi svizzere e la Costituzione del suo Paese.
“La Costituzione svizzera tutela due valori: il rispetto della legge intesa come ordine pubblico e la dignità umana. Il confronto in aula stabilirà quale di questi due valori deve avere il primato. Questa è la questione di sostanza su cui riflettere: se è vero che la legge va rispettata, la storia è piena di sentenze di principio. Ricordo ai cultori della legge che la schiavitù è stata legge, l’apartheid è stata legge, per fare un esempio. A questo servono i tribunali, a decidere quali leggi possano essere violate in caso di necessità, così come da sempre prevede anche il codice penale svizzero. Credo che a nessuna persona debba essere impedito di mettere in salvo la propria vita, di vivere con la propria famiglia, di cercare di migliorare la propria condizione di vita”.
Mi diceva che ha deciso di aiutare i migranti, anche violando la legge, davanti a quello che vide a Como, al Parco San Giovanni, nel 2016.
“Erano storie di persone torturate in Libia dai trafficanti. Storie di minori non accompagnati. Le situazioni più gravi che vidi erano quelle di un ragazzo di 15 anni, con la ferita da colpo di pistola alla schiena, con il foro di uscita nel costato. Poi un altro ragazzo a cui era stato tagliato un orecchio. E ancora una donna stuprata a lungo, uno che ci ha raccontato di essere stato tenuto a lungo alla catena, un altro con la mascella rotta. Io, davanti a tutto ciò, non potevo non intervenire, non agire”.
Lei è accusata di aver accompagnato dei rifugiati oltre il confine in nove casi, tra agosto e settembre 2016. C’è qualcosa che ricorda in particolare?
“Sì, in un uno di questi viaggi avevo in macchina quattro migranti, e quella notte ho avvertito nei loro volti la paura, il terrore, lo stesso sudore freddo che secondo me avevano gli schiavi dell’Alabama che fuggivano dai loro aguzzini. Una cosa per me indimenticabile, che mi ha colpito profondamente”.
Continuerà ad aiutare i migranti ad attraversare illegalmente il confine svizzero?
“Per ora no, perché finirei in carcere e questo non servirebbe a nessuno, non aiuterebbe la causa per cui ci battiamo. Continuerò invece ad aiutare i migranti a Como, dove prevedo nuovi arrivi, in Grecia e sulla rotta balcanica da cui sto rientrando mentre parlo con lei. Chiedo però, e spero che siamo in tanti a farlo, che si stabilisca se quello quello che ho fatto sia da considerare un crimine da punire, oppure sia un atto umanitario da non criminalizzare. Per quanto riguarda l’atto di accusa nei miei confronti andrò senz’altro sino all’ultimo grado di giudizio”.
A proposito del suo viaggio di questi giorni a Belgrado cosa ci può dire?
“La situazione è molto difficile a Belgrado, ci sono 1.500 migranti nella zona centrale della città, chiamata ‘Old Station’, un agglomerato di baracche. Qui ci sono il 50 per cento di migranti provenienti dall’Afghanistan, gli altri da Iraq, Siria e Pakistan. La situazione igienico-ambientale è pessima, molta spazzatura in giro che non viene ritirata. Niente acqua calda, niente toilettes, se non quattro sparuti bagni chimici mobili, assistenza medica di Medici senza Frontiere, cibo fornito dalle organizzazioni indipendenti. E’ un luogo dove i muri parlano della disperazione che circonda i migranti .Qui ho raccolto storie di violenze, pestaggi, torture che hanno subito. E’ questa l’Europa che abbiamo costruito?”.