L’idea era davvero bella, di quelle che fanno inorgoglire un intero paese: finanziare start up create da giovani ricercatori meridionali, per dimostrare al mondo che il Sud non è solo criminalità e arretratezza.
Nel marzo del 2012 il ministero dell’Università e della Ricerca decide di mettere in pratica un’intuizione dell’allora ministro Francesco Profumo, pubblicando un bando rivolto ai giovani del Sud con meno di trent’anni. È l’operazione «Social Innovation», la prima formula di finanziamento italiano con la nomina di un Project Officer – ufficiali pubblici con il compito di assistere i progetti nella fase di realizzazione – e con l’apertura di un conto cointestato «ministero-vincitore del bando» per evitare lo spreco di risorse e per rendere chiara la supervisione da parte dello Stato.
Ma qualcosa va storto circa un anno e mezzo fa, quando la Ragioneria Generale dello Stato si rende conto che la procedura di assegnazione dei fondi era irregolare. Da un lato perché rischiava di risultare una forma illegittima di sostegno all’impresa agli occhi dell’Europa. Dall’altro perché, per facilitare le procedure di pagamento, il Ministero aveva avocato a sé la proprietà dei beni mobili e immobili legati ai progetti. Peccato che per l’acquisizione di beni di qualunque tipo gli enti pubblici siano tenuti a passare da un bando della Consip (la stazione appaltante dell’amministrazione pubblica), che in questo caso non c’è stato.
Tutto si blocca: il Ministero, in attesa di capire come risolvere la questione, decide di tutelarsi senza preoccuparsi troppo dei danni causati ai ricercatori. Che nel frattempo hanno contratto parecchi debiti, per mettere la loro parte dei soldi nei progetti con cui hanno vinto il bando, e sono inseguiti dai creditori. Inutili i ricorsi individuali e collettivi alla Comunità Europea, al ministero dell’Industria, al presidente della Repubblica e a quello del Consiglio. E anche comunicare con il Miur è diventato impossibile. La ministra Fedeli (obiettivamente incolpevole per il pasticcio combinato) si nega alle interviste, pubblicando uno scarno comunicato che certo non risponde alle preoccupazioni dei ragazzi: «A breve i rappresentanti dei vincitori riceveranno una proposta emendativa e nel frattempo sarà istituito un tavolo tecnico per individuare i provvedimenti necessari per una corretta e il più possibile rapida gestione della fase conclusiva del bando». I vinctiori del bando a questo punto hanno deciso di promuovere una class action.
Abbiamo intervistato alcuni dei ragazzi che sono rimasti fregati dal progetto “Social Innovation”. Storie diverse ma anche simili, di giovani creativi e talentuosi che l’Italia, ancora una volta, ha deluso.
Roberta Milano e il suo progetto di bike sharing a Napoli
Social Innovation-Roberta Milano
Alessandro Brancati e il suo progetto di carpooling a Palermo
Social Innovation-Alessandro Brancati
Luigi Mingrone e il suo progetto di car sharing elettrico a Napoli
Social Innovation-Luigi Mingrone
Antonio Morra e il suo progetto di domotica sperimentale a Monteleone di Puglia
Social Innovation-Antonio Morra
Enzo Porzio e il suo progetto di turismo e giornalismo partecipativo a Napoli