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Le proteste in Iran a un anno dall’uccisione di Mahsa Amini

Mahsa Amini proteste Iran ANSA

Mahsa Amini è un nome persiano; in famiglia veniva chiamata Jina, il suo nome curdo, il cui significato, vita, è ormai internazionalmente noto grazie allo slogan Jin, Jiyan, Azadî – donna, vita e libertà – che accompagna le proteste sorte nel paese in seguito alla sua barbara uccisione. Il divieto di utilizzare in forma pubblica nomi curdi è una delle discriminazioni a cui lo Stato sottopone la popolazione curda d’Iran, costretta così a registrare ufficialmente i propri figli con nomi non curdi e a sdoppiare la propria identità in una legale, slegata dalle proprie radici, mentre quella etnico-culturale di appartenenza è considerata illegale.

I curdi che vivono in Iran sono attorno agli 8 milioni, il 10% della popolazione del paese; le discriminazioni nei loro confronti, denunciate fra gli altri da Amnesty International in diversi rapporti nel tempo, sono di tipo culturale e religioso, così come nel campo dell’educazione, della casa e del lavoro. In particolare, sono presi di mira gli attivisti, i difensori dei diritti umani e le donne. A dare voce alle istanze curde sono diversi partiti, in lotta da anni per l’autonomia curda all’interno di un Iran federale: similmente a quello che avviene in Turchia, i loro membri dissidenti basati nel Kurdistan iracheno vengono considerati “terroristi” e responsabili del caos in patria. Una donna curda che lotta per i propri diritti in Iran quindi è attaccabile per più di un motivo. Forse Mahsa Amini-Jina è morta per tanti motivi insieme, donna, curda, presunta ribelle, anche se per ucciderla ne bastava uno solo.

Il canto “Donna, vita e libertà” è nato nel movimento di liberazione delle donne del Kurdistan, cantato per la prima volta collettivamente dalle donne curde l’8 marzo 2006, in occasione dei raduni per la Giornata internazionale della donna in tutta la Turchia. Da allora sono partite campagne continue che hanno sfidato la mentalità patriarcale e le pratiche misogine all’interno della società curda. La rivoluzione del Rojava di 10 anni fa ha fatto debordare lo slogan ben oltre i confini del Kurdistan.

Che donne e uomini in Iran, che siano persiani, curdi o beluchi, altra minoranza del paese, accompagnino con parole curde la loro rivolta a un potere ingiusto e violento, aiuta a non dimenticare l’enorme tributo che le donne curde hanno dato e continuano a dare alla lotta per la liberazione della donna, che si vorrebbe cancellare a partire da un nome.

  • Autore articolo
    Serena Tarabini
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