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La testimonianza da dentro la carovana

CarovanaMigrantes

Continua il viaggio verso gli Stati Uniti di migliaia di migranti provenienti dall’Honduras e da altri paesi del Centro America. Come procede il viaggio? Chi sono? Perché fuggono dall’Honduras? Come sono accolti dalle autorità messicane e dalla popolazione locale?

Marina è una ricercatrice italiana che viaggia insieme ai migranti, questa è la sua testimonianza da dentro la carovana.

    La Carovana partita dall’Honduras alla fine della settimana scorsa si trova ora in Messico, nello stato del Chiapas. In questo momento ci troviamo sull’autostrada che unisce la città di Tapachula alla località di Arriaga, nel sud dello stato del Chiapas; un’autostrada costiera in cui gli immigrati sono dispersi a gruppi e stanno cercando di recuperare un passaggio motorizzato, e cioè montando su trasporti commerciali come camion o furgoni e talvolta pagando un trasporto locale, come i furgoncini che uniscono le località che si trovano su questa autostrada.

    L’idea è quella di raggiungere oggi stesso Arriaga, località tradizionalmente conosciuta per la partenza di alcuni treni che solitamente gli immigrati usano per raggiungere la frontiera degli Stati Uniti iniziando la grande traversata a partire dal Sud del Messico.
    La carovana è partita dopo aver attraversato la frontiera in Messico in maniera molto tesa, perché inizialmente c’è stato un tentativo da parte delle autorità messicane di frenare l’ingresso di questa massa di persone in movimento. Fino a ieri la Protezione Civile stimava una media di 7.000 persone in movimento, prevalentemente honduregni, guatemaltechi e salvadoregni.

    La Polizia Federale ha anche tentato di fermare questa massa che si era accumulata alla frontiera con lacrimogeni e piccole cariche di contenimento, ma tutti sono riusciti comunque a trapelare passando sotto al ponte che unisce le due linee legali degli Stati e prendendo dei passaggi con delle piccole zattere che solitamente attraversano il fiume che costituisce la frontiera fisica tra i due Paesi.

    Sono quindi partiti in marcia a piedi e durante il primo giorno hanno fatto più di 30 chilometri per raggiungere la città di Tapachula. I primi due giorni sono stati fondamentalmente a piedi sotto il sole cocente, ma da qualche giorno la carovana si è trasformata in una carovana motorizzata, prendendo passaggi. Si tratta soprattutto di honduregni di ogni genere, ci sono bambini, bebè anche di qualche mese, anziani, donne, uomini e addirittura anche persone in sedia a rotelle o persone malate. Ogni genere di persona si è messa in movimento.

    Raccogliendo le testimonianze, le ragioni dell’accumulo di questo numero di persone sono state la partenza di una carovana indetta probabilmente da un ex deputato dell’Honduras – queste sono le testimonianze che abbiamo raccolto tramite la popolazione – o comunque una carovana lanciata tramite dei canali televisivi nazionali in Honduras, e quindi promossa dall’Honduras, ma che inizialmente prevedeva la partecipazione di alcune centinaia di persone che si è andata andata ingrossando strada facendo perché, come molte persone ci raccontano qua, vedendo e sapendo questa carovana hanno deciso improvvisamente di incorporarsi, pur consapevoli che la possibilità di rimanere in massa ed essere un numero comunque elevato li avrebbe in qualche modo protetti nel cammino. E così è stato. Molte persone che vediamo qui vanno a piedi semplicemente in ciabatte con uno zainetto sulle spalle, come se fossero usciti nel giro di due ore.

    Le ragioni della partenza sono le solite di sempre: fuga dalla violenza, soprattutto nel caso di donne con bambini e giovani donne che scappano magari da violenze subite a livello familiare o a livello di organizzazioni di narcotrafficanti che risiedono nei quartieri e che sono radicate in varie città dell’Honduras.

    Molti giovani o minorenni costituiscono la testa del corteo, perché sono quelli che avanzano in maniera più spedita e che ovviamente scappano da questo tipo di dinamiche sociali, perché se rimanessero in Honduras dovrebbero quasi per forza incorporarsi qualche a qualche gruppo di narcotrafficanti o delle malavita locale. Le persone scappano per ragioni che da sempre hanno motivato l’emigrazione a partire dagli Stati come El Salvador o l’Honduras. Ciò che costituisce una novità è il fatto di essere partiti all’improvviso ed essersi incorporati nella carovana proprio nella consapevolezza di questa grande moltitudine in movimento. Si è creata come una grande bolla di sospensione della repressione da parte dello stato messicano, che dopo una fase iniziale di tensione sembra aver cambiato la propria politica. Adesso le autorità federali, ma anche statali e municipali, si limitano a far passare molto rapidamente la carovana. Per questo è in atto tutto un dispositivo di ricezione delle persone nelle varie località con cibo, acqua, vestiti e spazi pubblici messi a disposizione – come scuole, spazi sportivi o più semplicemente piazze.

    La sensazione di questi ultimi giorni è che dallo stato del Chiapas ci sia un tentativo delle autorità di far scorrere il più rapidamente possibile questa carovana così da scaricare la patata bollente al prossimo Stato. A livello federale non è chiaro quale sarà la reazione, ma in questo momento non sembrano esserci atti di repressione.

    C’è molta risposta positiva da parte della popolazione locale in differenti località in cui gli immigrati sono stati accolti dai volontari di parrocchie o anche semplicemente da persone che si sono messe davanti ai propri negozi ed esercizi commerciali a regalare acqua, cibo e vestiti.

    Quello che colpisce di questa carovana è la grande capacità di autorganizzazione da parte mille persone che ogni mattina all’alba partono sapendo che ciò che li protegge è il fatto di rimanere compatti. Ovviamente la carovana si sta in qualche modo disperdendo e allungano, perchè i passi sono diversi – i minori e i giovani vanno più veloce delle famiglie e dei bambini – però c’è una grande consapevolezza che la forza di questa carovana – che qui viene chiamata con il termine un po’ biblico di Esodo, che forse rende di più l’idea data la quantità di persone – è che finché si resta uniti in qualche modo si rimane in questo spazio protetto e libero dalla repressione. E di fatto è così, perché ci sono stati dei tentativi di colpire i gruppetti rimasti più indietro rispetto al grosso della carovana.

    Da qualche giorno, però, sono centinaia le persone che chiedono di tornare nel proprio Paese e la promozione è alta da parte delle istituzioni locali, che stanno cercando di rimpatriarle tramite il consolato, senza dover passare per la fase di detenzione e tramite le forze di migrazione. Il tentativo è quello di scorporare via pezzi dalla carovana.

    Tra oggi e domani arriveremo ad Arriaga e il grande dubbio è il passaggio della frontiera dallo stato del Chiapas allo stato di Oaxaca. La grande domanda è fino a quando questa carovana riuscirà a rimanere compatta: risulta molto difficile pensare che possa rimanere così fino alla frontiera nord, ma effettivamente fino ad ora le persone in movimento sono riuscite comunque a rimanere in migliaia.

    Questa è la situazione. Ci aggiorniamo nei prossimi giorni.

CarovanaMigrantes
Foto dal profilo Twitter di Fergus Hodgson https://twitter.com/FergHodgson

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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