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La terza stagione de L’Amica Geniale: storia di chi fugge e di chi resta

L'Amica Geniale 3

Si è conclusa su Rai1 e RaiPlay la terza stagione di L’amica geniale, sottotitolata – come il romanzo da cui è tratta – Storia di chi fugge e di chi resta. La cosiddetta “Ferrante Fever” è un fenomeno noto a tutti: la quadrilogia letteraria è stata pubblicata in 40 paesi e ha venduto oltre 10 milioni di copie, e soprattutto negli Stati Uniti, dov’è nota come Neapolitan Novels, è un successo senza precedenti per un’autrice italiana.

La serie è una co-produzione tra RaiFiction e HBO, distribuita internazionalmente con il titolo My Brilliant Friend: in America la messa in onda della nuova annata comincia lunedì 28 febbraio. Da un altro romanzo di Elena Ferrante, La figlia oscura, è stato tratto un film, The Lost Daughter, presentato e premiato all’ultima Mostra del cinema di Venezia e presto in sala, esordio alla regia dell’attrice Maggie Gyllenhaal e con l’interprete premio Oscar Olivia Colman; nel frattempo, proprio in questi giorni, Netflix annuncia il cast di una nuova serie tv in produzione, ispirata all’ultimo libro narrativo di Ferrante, La vita bugiarda degli adulti, con Valeria Golino e Alessandro Preziosi, che dovrebbe approdare sulla piattaforma entro la fine di quest’anno.

La terza stagione di L’amica geniale è arrivata a due anni dalla seconda, segnata da alcune scelte non da tutti apprezzate. Il cambiamento alla regia, in primis: dopo due stagioni curate e dirette da Saverio Costanzo (con due bellissimi episodi firmati da Alice Rohrwacher), la terza annata è stata interamente affidata a Daniele Luchetti, regista di film importanti come Il portaborse, La scuola, Mio fratello è figlio unico fino al recente Lacci, anche se Costanzo è rimasto come sceneggiatore (gli script sono firmati anche dalla stessa Elena Ferrante, che collabora intensamente via mail con la produzione). Controversa è stata anche una “non scelta”, ovvero la decisione di non sostituire gli attori visti fin qui con altri interpreti più maturi: Gaia Girace e Margherita Mazzucco, che incarnano le protagoniste Lila e Lenù, avevano appena 13 anni quando furono selezionate, dopo un processo di casting lunghissimo, per la prima stagione; ora ne hanno 18, ma in Storia di chi fugge e di chi resta i loro personaggi raggiungono e superano i 30 anni, e lo stesso vale per il cast di loro coetanei.

Qualcuno ha trovato difficile sospendere l’incredulità davanti ai loro volti e corpi giovanissimi (e anche a qualche asperità recitativa), anche se Luchetti ha giustificato la scelta con un desiderio di conservare il legame affettivo del pubblico con gli interpreti e anche di sottolineare come le generazioni passate affrontassero molto prima di quelle odierne certi momenti cruciali dell’esistenza. Anche i dati Auditel, che nelle prime due stagioni avevano segnato numeri record, sono calati, ma è difficile individuarne il motivo.

L’amica geniale resta un unicum nella serialità televisiva italiana, e questa terza stagione l’ha evidenziato più che mai, portando in prima serata su Rai1, a un pubblico che più generalista non si può, un punto di vista e una storia autenticamente femministi: quelle di Lila e Lenù sono le vite invisibili raramente protagoniste dei grandi racconti popolari, di solito incentrati o su personaggi maschili o su eroine esemplari. Lila e Lenù sono invece caratteri umanissimi, verosimili, complessi. Difficili, entrambe: scorrendo i commenti sui social network, si nota il rifiuto di molti spettatori per i loro errori, per i tratti peggiori della loro personalità – oltre che per l’attenzione alla sessualità riservata dalla serie, e probabilmente ancora indigeribile a certo perbenismo bigotto. Indomabile e a tratti crudele Lila, arrendevole fin quasi all’inettitudine Lenù, in molte ci riconosciamo nella loro autenticità. E nel loro percorso a specchio, complementare e opposto, prosegue l’illustrazione di come l’oppressione di genere – oltre a quella di classe e di provenienza: mai dimenticarsi che L’amica geniale è anche una storia di povertà e d’immigrazione interna – abbia da sempre plasmato, costretto, mutilato l’esistenza delle donne, relegandole alla sfera domestica, al solo regno dei sentimenti (e poi decidendo che i sentimenti erano una cosa stupida e frivola), all’impossibilità di vedersi “intere”, sempre ridotte all’appendice ancillare di un uomo.

E allora con il loro rapporto doloroso e sfuggente, insieme di rivalità, competizione, sostegno e affetto, con le loro decisioni a volte incomprensibili e spesso frustranti, nella loro sorellanza continuamente cercata e inevitabilmente spezzata, Lila e Lenù – e con loro la serie – compiono un gesto di vera ribellione: diventare vere, imporre la propria scomoda presenza, venire alla luce, semplicemente esserci, senza compromessi.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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    Il trumpismo fa paura. L'autoritarismo trumpista ancora di più. A Pubblica la prima sintesi degli incontri alla Casa della Cultura di Milano per il ciclo "Autoritarismi in democrazia" (Osservatorio autoritarismo, Università Statale Milano, Libertà e Giustizia, Castelvecchi) di cui Radio Popolare è media partner (qui il programma https://www.libertaegiustizia.it/2025/11/21/autoritarismi-in-democrazia/). Ospite del primo incontro (22 novembre 2025) la filosofa Chiara Bottici, della New School for Social Research di New York. «Il clima negli Stati Uniti – ha raccontato la filosofa - è estremamente allarmante, estremamente preoccupante. Quando parlo di neofascismo non è un'esagerazione, non è un modo per dire "questi sono cattivi, Trump è autoritario"».

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