Approfondimenti

La strage di ambientalisti. Dal Brasile alle Filippine

Ancora un assassinio di un militante ambientalista in Brasile. Pochi giorni fa, il 13 ottobre, è stato ucciso a sangue freddo Luiz Alberto Araujo, assessore all’Ambiente e al Turismo del Comune di Altamira, nello Stato amazzonico del Pará .

Due sicari in moto lo hanno aspettato davanti a casa e gli hanno sparato sette colpi di pistola mentre stava per scendere dall’auto con la moglie e le due figlie. Secondo la polizia si è trattato della classica esecuzione sommaria: Araujo era considerato un ostacolo dalla potente lobby dei “madeireiros” (commercianti di legname) che ha forti interessi nell’area. Il Pará è la regione brasiliana che registra il maggior tasso di deforestazione, avendo perso quasi 36mila chilometri quadrati negli ultimi dieci anni.

Luiz Alberto Araujo ucciso il 13 ottobre 2016
Luiz Alberto Araujo ucciso il 13 ottobre 2016

Luiz Alberto Araujo è l’ultima vittima di un’impressionante lunga lista di ambientalisti uccisi negli ultimi due anni nel mondo.

Il rapporto di Global Witness, l’Ong che documenta le violazioni dei diritti delle popolazioni indigene, registra nel 2015 un forte aumento, quasi del 60 per cento, di casi di ecologisti, o più in generale di attivisti, indigeni che lottano per la difesa dell’ambiente, delle foreste, uccisi da killer delle multinazionali, dei grandi latifondisti, dei tagliatori di alberi.

Quali le ragioni di questo massacro di ambientalisti?

Global Witness spiega come l’ambiente stia diventando sempre più un campo di battaglia per i diritti umani, in quanto la richiesta di prodotti come il legno, i minerali o l’olio di palma continua ad aumentare e molti governi, aziende e bande criminali non esitano a uccidere, o a far uccidere, chi si oppone alla depredazione dell’ambiente, della terra.

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Ma non ci sono solo gli omicidi. Parliamo con Luca Miggiano, che per Oxfam (Oxford Commitee for Famine Relief) si occupa dei diritti della terra e delle strategie nazionali per promuovere politiche di sviluppo eque.

“La ricerca di Global Witness – spiega Miggiano – riguarda gli omicidi. Purtroppo l’omicidio è solo la punta dell’iceberg. Il resto sono intimidazioni, violenze, e una diffusa criminalizzazione. Oxfam ha da poco lanciato una campagna che racconta la storia di sei attivisti in Perù, Honduras, India, Mozambico, Australia e Sri Lanka, e delle loro comunità. Sono storie di minacce, persecuzioni, incarcerazioni, intimidazioni fisiche. Ma sono anche storie di grande forza ed energia. La campagna chiede di riconoscere diritti sicuri alla terra per queste comunità, ma è anche un grido di allarme sul fenomeno più vasto: pochi diritti riconosciuti, e consumo di terre e risorse naturali. In molti Paesi lo spazio per la società civile si sta riducendo, e gli attivisti ambientali ne sono vittima”.

Berta Cáceres uccisa il 3 marzo 2016
Berta Cáceres uccisa il 3 marzo 2016

Miggiano, in questi giorni l’ultimo assassinio di un dirigente ambientalista, Luiz Alberto Araujo, assessore all’Ambiente del Comune di Altamira, nel Pará. Nel 2015 Global Witness ha documentato 185 casi, in 16 Paesi, di morti per omicidio. Perché siamo davanti a questa strage di ambientalisti?

“La prima ragione è la pressione che il nostro modello di sviluppo continua a esercitare sull’ambiente. Pochi giorni fa è stato pubblicato il secondo rapporto della Land Matrix Initiative sulle transazioni fondiarie di larga scala. Secondo questo rapporto, il 70 per cento degli accordi negoziati dal Duemila a oggi ha un contratto formale. Solo il 14 per cento di questi contratti è avvenuto con il consenso delle comunità locali. Questo vuol dire che potenzialmente milioni di persone del mondo nei prossimi mesi verranno allontanate dalle proprie terre senza compensazione”.

C’è poi la questione dei diritti alla terra, cosa ci può dire?

“In molti Paesi i diritti alla terra delle comunità locali non sono riconosciuti. Oxfam ha calcolato che fino a 2,5 miliardi di persone nel mondo dipendono da terre comuni, governate collettivamente. Si tratta del 50 per cento delle terre del nostro pianeta, inclusa gran parte dell’Amazzonia, o delle foreste dell’Africa Centrale e dell’Indonesia, ma anche le coste delle isole nel Pacifico, o le grandi terre dei pastori in Kenya, Tanzania o Mongolia. Il problema è che solo il 10 per cento di queste terre (1/5) è ufficialmente riconosciuto ai legittimi proprietari. Questa insicurezza genera conflitti, repressione,violenze”.

Con quali conseguenze?

“È un problema che riguarda tutti noi. Queste terre conservano l’80 per cento della biodiversità nel mondo, e proteggono 2/3 delle lingue e culture del nostro pianeta (Banca Mondiale, 2008, ndr). Si tratta di terre, foreste e coste che popoli indigeni e comunità locali hanno custodito per centinaia di anni. Difendere questi attivisti, questi popoli, queste foreste, vuol dire difendere anche il nostro pianeta”.

In questo contesto difficilissimo ci sono state anche delle battaglie vinte. Penso per esempio alla recente vittoria per gli indigeni Munduruku: la gigantesca diga idroelettrica di São Luiz do Tapajós, che avrebbe stravolto per sempre il cuore dell’Amazzonia brasiliana non sarà costruita. Sta cambiando qualcosa nella difesa dell’ambiente?

“Siamo in cammino, e c’è bisogno di tutti. C’è anche una maggiore coscienza economica. Poche settimane fa, il World Resources Institute ha pubblicato uno studio che dimostra come la protezione dei diritti indigeni alla terra può generare nei prossimi vent’anni in Bolivia, Brasile e Colombia benefici economici tra i 900 e i 1.561 miliardi di dollari. Ci sono state importanti vittorie. C’è una maggiore coscienza sull’impatto delle mega-dighe. Ma molto rimane da fare. Per esempio, Berta Cáceres in Honduras, assassinata a marzo di quest’anno, combatteva contro un sistema di dighe minori, che comunque hanno un impatto significato del territorio. Il nuovo accordo per il clima può generare progetti che in realtà minano i diritti alla terra delle comunità locali, e hanno un impatto negativo sull’ambiente. Quindi c’è molto da fare. Siamo tutti in cammino. Questa battaglia deve diventare una priorità politica per i governi”.

***

Le recenti pubblicazioni di Oxfam sul tema:

“Custodi della terra, Difensori del Nostro Futuro. I loro diritti violati da una nuova era nella corsa alla terra”: http://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2016/09/Italian-Land-Rights_WEB.pdf

Comunicato stampa in inglese: https://www.oxfam.org/en/pressroom/pressreleases/2016-09-26/murder-and-eviction-global-land-rush-enters-new-more-violent

Descrizione breve del rapporto, e della campagna Land Rights Now che Oxfam guida e che include piu di 500 organizzazioni e comunità nel mondo: http://www.oxfamitalia.org/si-inasprisce-la-spirale-di-violenza-nella-corsa-globale-alla-terra/

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    Il Tar della Lombardia oggi si è riunito per discutere la richiesta di sospensiva dell’operazione di vendita dello stadio di San Siro arrivata da Comitato Sì Meazza. Si attendeva una decisione in giornata ma i giudici si pronunceranno domani. La decisione del Tar lombardo segnerà il destino dell’operazione San Siro. Se i giudici non accoglieranno il ricorso la procedura di vendita andrà avanti con la tabella di marcia comunicata ieri dal sindaco di Milano Beppe Sala alla sua maggioranza, e cioè la vendita dello stadio entro il 31 luglio a tappe forzate. Se i giudici accoglieranno il ricorso scatterà invece la sospensiva del procedimento: tutto fermo nell’attesa di chiarire i dubbi sulla data del vincolo o sulla conformità del bando. Sulla data del vincolo il Comune dice che i 70 anni del secondo anello scatteranno il 10 novembre 2025, secondo il Comitato Sì Meazza i 70 anni sono già scattati, e hanno portato a supporto di questa tesi diverso materiale fotografico e documentale. Roberto Maggioni e Massimo Bacchetta ne hanno parlato a Popsera con l’avvocata del comitato Sì Meazza Veronica Dini che ha partecipato all’udienza al Tar.

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    Alberto Trentini, da otto mesi in carcere in Venezuela: il Governo deve attivarsi, chiede la madre del giovane

    Sono passati otto mesi da quando Alberto Trentini, operatore umanitario in Venezuela, è stato fermato e arrestato senza motivazione dalle autorità venezuelane mentre svolgeva il suo lavoro per una ong internazionale. Da quel giorno Trentini è in isolamento totale, senza contatti con l'esterno e con la sua famiglia. La madre del giovane chiede al Governo di attivarsi come ha fatto in altri casi. "In questo momento che Alberto è ancora in vita, è fondamentale il ruolo dell'informazione" queste le parole di Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21. Alessandro Braga ne ha parlato con il nostro collaboratore Lorenzo Marcandalli che segue quotidianamente la vicenda.

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