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La miniserie doc McMillion$ su Sky Documentaries

McMillion$

Negli ultimi anni il genere true crime, ovvero la narrazione di fatti di cronaca realmente accaduti, sta vivendo un periodo di grandissimo successo: che si tratti di film o serie documentarie, di podcast, più raramente anche di rimesse in scena con attori, sembra di essere di fronte a un pozzo di storie inesauribile che autori, network e piattaforme cercano di sfruttare il più possibile. E accanto all’ormai sterminata categoria di prodotti che ripercorrono biografie di serial killer o cercano di sciogliere delitti irrisolti, si accumulano anche documentari su vicende magari meno sanguinolente o tragiche, ma comunque “più incredibili della realtà”. È il caso per esempio di McMillion$, una miniserie di produzione HBO che negli Stati Uniti ha catturato l’attenzione del pubblico e che dal 21 febbraio arriva in prima tv su Sky Documentaries e su Now.

Gli spettatori statunitensi di McMillion$ sono rimasti a bocca aperta soprattutto perché svela un assurdo dietro le quinte di qualcosa che per anni ha fatto parte della loro quotidianità: il McDonald’s Monopoly, ovvero una campagna di premi messa in atto dal colosso dei fast food e ispirata al famoso gioco da tavolo. Su ogni confezione di cibo acquistata da McDonald’s o su alcuni giornali e riviste, i clienti potevano trovare degli adesivi che ricalcavano le celebri caselline del Monopoly: nella maggior parte dei casi servivano per partecipare a un gioco (un po’ come una raccolta punti), ma in altri, rarissimi, garantivano al fortunato una vincita immediata.

In casi ancora più rari i premi erano davvero stratosferici: un’auto di lusso, una barca, o – il più ambito di tutti – un milione di dollari. I vertici di McDonald’s hanno ideato questa campagna promozionale sul finire degli anni 80 e per tutti i 90 l’hanno utilizzata con successo per rimpinguare le proprie tasche: ogni volta che partiva un giro di McDonald’s Monopoly il pubblico si precipitava a comprare hamburger e patatine. Ma nel 2001 viene a galla una verità incredibile: dal 1989 in poi nessuno dei grossi premi era stato vinto regolarmente, ognuno era andato a persone che, malgrado il cognome diverso, erano imparentate tra loro, oppure avevano qualche relazione in comune. Com’è stato possibile?

I documentaristi di McMillion$, James Lee Hernandez e Brian Lazarte, si tuffano nella tana del Bianconiglio e scoprono, uno dopo l’altro, una galleria di personaggi surreali, da un lato e dall’altro della legge. A dirigere il timone della truffa ci sono un ex poliziotto riciclatosi agente di sicurezza che tutti chiamano “zio Jerry” e un piccolo mafioso della potente famiglia Colombo, che non avrebbe sfigurato in una puntata di I Soprano.

L’agente FBI che si getta anima e corpo nell’indagine è un tipo chiacchierone e ridanciano, che confessa candidamente di essersi dedicato a quest’investigazione perché mortalmente annoiato dal suo lavoro d’ufficio e che quando racconta alle telecamere le operazioni sotto copertura lo fa come fosse un bambino sovreccitato.

La confezione di McMillion$ non è molto elegante, utilizza tutti gli espedienti del genere true crime – tante interviste, tantissimi re-enactment, un continuo rilanciare la narrazione – ma certo mostra agli spettatori un’America che raramente compare su un piccolo schermo televisivo, un sottobosco dell’assurdo degno di una commedia grottesca. Ed è, naturalmente, una storia d’ingordigia: quella di una multinazionale che spreme all’infinito una fruttuosa tecnica di marketing, quella di persone comuni, più o meno in difficoltà, che pensano di aver trovato un modo d’arricchirsi facilmente, e quella di chi guarda la serie alla tv, e che almeno una volta nella vita ha sognato di trovare un biglietto d’oro con sopra scritto “hai vinto un milione di dollari”.

È lo sberleffo definitivo alle origini del Monopoly, che oggi è a sua volta un piccolo impero (è il gioco da tavolo coperto da copyright più diffuso al mondo), ma che in origine, nel 1903, venne inventato da Elizabeth Magie, una seguace dell’economista Henry George, per insegnare i danni dell’accumulazione di ricchezze e per illustrare il funzionamento di uno spietato gioco capitalista in cui, alla fine, il banco vince sempre.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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