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La manovra sarà fatta di tagli e nuove tasse

Era il segreto di pulcinella, per quanto palese dai conti e anche dall’ultima revisione del piano strutturale di Bilancio, che comprime la spesa netta più di quanto previsto inizialmente. La manovra sarà fatta di tagli, e questo appunto si sapeva, ma a quanto pare anche di nuove tasse. Ipotesi fin qui sempre negata dal governo, oggi il ministro dell’economia l’ha esplicitata. “Verranno tassati i profitti e i ricavi, sarà uno sforzo che l’intero paese deve sostenere ovvero individui, ma anche società piccole medie e grandi e spese inferiori per la pubblica amministrazione”. La parola sacrifici del resto Giorgetti l’aveva usata anche con i sindacati. Oggi ha citato alcuni settori: le armi, le banche, l’energia, cioè quelli che hanno realizzato i famosi extraprofitti grazie agli eventi esterni.

Al di là delle parole, Giorgetti respinge “extraprofitti”, il ministro è chiaro: i contributi volontari non esistono. Dunque verranno imposti, facendo così cadere l’ipotesi dei giorni scorsi di accordi con alcuni settori. Fosse fatto sul serio, sarebbe sacrosanto. Ma per la destra è una svolta clamorosa. Che va di paripasso con le ipotesi di aumento delle accise, che promettevano di abolire, e le privatizzazioni, insomma di far cassa con tutto il possibile. E contrasta palesemente con la narrazione che i conti vadano bene. L’austerità imposta dall’Europa, che il governo Meloni ha scelto di applicare con più rigore di quanto chiesto, con un piano di rientro dal deficit ancora più rigido, costringe il governo anche ad aumentare le odiate tasse. “una chiamata di contribuzione per tutti, ragionata e razionale” la definisce il ministro che addirittura cita la costituzione. Del resto Meloni e Giorgetti ai ministri avevano già imposto di tagliare, c’è chi zelante come l’università ha già iniziato. I silenzi imbarazzati dalla maggioranza certificano il cambio di linea.

(di Massimo Alberti)

Dopo Raffaele Fitto che è andato a Bruxelles, Giancarlo Giorgetti è l’altro ministro che fin qui ha garantito a Giorgia Meloni la stabilità nell’asse europeo, di riuscire, anche se con difficoltà, ad ottenere maggiore flessibilità e aperture nelle proroghe del PNRR. È quindi difficile ora immaginare una smentita pubblica, rinnegare ciò che ha prodotto non solo il tonfo in borsa, ma anche il fallimento delle promesse, quelle di non aumentare le tasse, anzi di volerle abbassare. Ma la Presidente del Consiglio è rimasta in silenzio a Palazzo Chigi. Ha risposto al telefono ad Elly Schlein che l’ha chiamata per discutere della crisi in Medio Oriente, inabissandosi di fronte all’evidenza e cioè che questa manovra economica sarà “lacrime e sangue”.

Fino a poco tempo fa, solo pochi giorni fa, al neo ministro della Cultura Giuli chiedeva di tagliare le spese, pensando che potesse bastare una spending review per tutti i ministeri. Ora invece Giorgetti chiede sacrifici a tutti, così ha detto, intendendo anche quei settori che finora la destra ha difeso, quello delle armi ad esempio o le banche. Scontentare contemporaneamente sia Salvini che Tajani, e per prima Meloni, i cui video di quando prometteva che non sarebbero aumentare le accise sulla benzina oggi sono tornati a girare sui social.

A due anni dal varo del suo governo, a fine ottobre sono previste iniziative e celebrazioni, Giorgia Meloni deve fare un bagno di realtà, capire già nel prossimo voto, quello di tre regioni in autunno, se i sacrifici delle maggiori tasse avranno una risposta negativa, senza potere ora fare nuovi decreti, sicurezza, rave party, carcere, ingigantendo rischi e pericoli che non ci sono per distrarre il suo elettorato dalle promesse mancate.

(di Anna Bredice)

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