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La fine del bipartitismo

Alla vigilia del voto spagnolo qualcuno aveva detto che dal punto di vista politico il Paese rischiava di diventare sempre più simile all’Italia, famosa in tutto il mondo per l’instabilità e per i governi dalla vita molto breve. Così è stato. Le elezioni di ieri hanno sancito la fine del bipartitismo in Spagna. Per la prima volta dal 1977, dopo la morte di Franco, non ci sarà un governo monocolore.

Il Partito Popolare di Mariano Rajoy è ancora il primo partito, ma solo con una maggioranza relativa.

Questo è il primo dato delle elezioni. La Spagna avrà probabilmente un governo di coalizione. Probabilmente perché al momento non c’è nulla di certo. Infatti non solo nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta, ma la maggioranza non viene raggiunta nemmeno dalle due possibili coalizioni: Partito Popolare-Ciudadanos a destra, Partito SocialistaPodemos a sinistra. Non si può escludere il ricorso a nuove elezioni.

Nei prossimi giorni vedremo quale percorso istituzionale sceglieranno le forze politiche. Adesso possiamo solo mettere in evidenza gli altri dati significativi di queste elezioni.

A togliere voti a Popolari e Socialisti, che si sono alternati al potere dalla fine degli anni ’70, sono state due formazioni che si sono presentate come alternative, nuove, esterne al sistema politico: Podemos e CiudadanosPodemos è un partito nato dal movimento degli indignati, Ciudadanos è un partito liberale nato circa dieci anni fa in Catalogna, ma che arriva solo ora sulla scena politica nazionale. Il voto di ieri ha quindi sancito l’ingresso, impetuoso, sulla scena politica spagnola di partiti che potremmo definire anti-sistema.

Particolarmente interessante il risultato di Podemos. Primo partito in Catalogna e seconda forza nella Comunità di Madrid e nel Paese Basco. In un momento nel quale l’organizzazione statale spagnola mostra tutti i suoi limiti, la spinta indipendentista catalana è emblematica, questo è un risultato potente. Commentando il voto il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha detto che il suo partito è il più adatto a lavorare a una riforma della Costituzione che rispecchi la natura plurinazionale del paese. Podemos, pur essendo contrario all’indipendenza della Catalogna, è favorevole a un referendum per l’autodeterminazione. E forse non è un caso che oggi sia il primo partito a Barcellona.

L’ingresso in parlamento di formazioni anti-sistema è da considerare poi un fenomeno in linea con quello che era già successo in altri paesi europei, la popolarità del Fronte Nazionale in Francia e il successo del Movimento 5 Stelle in Italia. Conseguenza, anche questa, dello smarrimento provocato dalla grave crisi economica degli ultimi anni. La Spagna, dopo la Grecia, è il Paese europeo che ha accusato in maniera più pesante la crisi economica, con una disoccupazione ben al di sopra del 20 per cento. Il voto di ieri lancia quindi nuovi segnali anche a Bruxelles.

Podemos ha tolto voti al Partito Socialista, che ha ottenuto il peggior risultato dell’era democratica, dimostrando così le difficoltà di un approccio che potremmo definire tradizionale da parte delle forze politiche di centro-sinistra. Ieri sera il leader dei Socialisti, Pedro Sanchez, ha detto che molti puntavano a far scomparire il Partito Socialista, ma che non ci sono riusciti. Il fatto di essere ancora lì, con le altre forze politiche, è considerato un successo.

La notizia positiva è che la Spagna entra in una nuova era, che c’è stato un cambiamento radicale e che i partiti tradizionali sono stati puniti per i loro errori. Persino la Chiesa Cattolica, cosa che non era mai successa, non ha dato alcuna indicazione di voto alla vigilia delle elezioni (probabilmente su richiesta di Papa Francesco). La notizia negativa è che un paese con un’economia ancora molto fragile è destinato a un periodo di instabilità politica.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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