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Jessica Jones, la supereroina dalla parte dei più deboli

Il genere supereroico, detto anche “cinecomix”, è da un decennio il prediletto dal cinema blockbuster: segna incassi stratosferici, attira star di grosso calibro, porta in sala tutta la famiglia. Fare una serie supereroica, però, è un po’ più complicato, soprattutto perché il budget televisivo è inferiore a quello del grande schermo e deve reggere per molte più ore di racconto: i risultati sono altalenanti.

Uno dei migliori esempi recenti è sicuramente Jessica Jones, co-produzione Marvel-Netflix inserita nel macro-progetto sui Difensori (che comprende anche Daredevil, Luke Cage, Iron Fist e il Punitore). Nell’intero universo cinetelevisivo Marvel, per ora, Jessica Jones è l’unica supereroina con un titolo a proprio nome, ed è probabilmente per questo che la seconda stagione approda su Netflix proprio l’8 marzo, in occasione della Giornata internazionale della donna.

Che i responsabili marketing se ne siano accorti o meno, la scelta è sensata non solo per una questione di rappresentazione femminile, ma anche per i temi che la serie tratta, almeno a giudicare dalla prima stagione: Jessica, interpretata dalla brava Krysten Ritter, è un’investigatrice privata nel quartiere newyorkese di Hell’s Kitchen; dotata di forza sovrumana, ma anche d’intelligenza e ironia sarcastica, ha un caratteraccio che deriva da un trauma affondato nel suo passato: per molto tempo è stata prigioniera di Kilgrave, un supercattivo dotato anche lui di un superpotere, quello di obbligare chiunque a fare qualunque cosa, semplicemente pronunciando ordini ad alta voce.

Ricalcando tutte le caratteristiche del noir – la detective disillusa, l’uso della voce fuori campo, il tentativo di dare un senso a un universo urbano spezzato e indecifrabile – Jessica Jones è un buon esempio di cinecomix adulto (molto più adulto di quelli che vediamo al cinema: ha anche momenti inevitabilmente violenti) che riesce a utilizzare il genere supereroico come efficace metafora di questioni vere e tangibili, che toccano molti spettatori da vicino.

La prima stagione di Jessica Jones è stata una disamina, anche dolorosa, su cosa significhi essere vittime di un abuso, di una prigione psicologica, di una situazione che non permette l’esercizio del consenso; oltre a Jessica, la serie ha messo in campo altri personaggi femminili sfaccettati, come la migliore amica della protagonista, Trish, o la sua datrice di lavoro, l’ambigua Jeri interpretata da Carrie Ann Moss. E se il momento di svolta della prima annata era il piccolo ma significativo istante in cui Jessica riusciva a liberarsi del potere di Kilgrave, la seconda stagione promette di raccontare in che modo la supereroina riuscirà a re-impossessarsi del proprio, di potere, e a metterlo a servizio del mondo, del bene comune, della cosa giusta, della difesa dei più deboli. Per questo 8 marzo, probabilmente, non c’è speranza migliore.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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