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In ricordo di Nedo Fiano, instancabile narratore

nedo fiano

Nannerel Fiano è la protagonista dell’incontro online Una vita per la memoria dedicato a Nedo Fiano, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz, scomparso lo scorso 19 dicembre. Ricercatrice di diritto costituzionale all’Università Statale di Milano, in occasione del Giorno della Memoria 2021 ripercorre l’esperienza di testimone della Shoah del nonno, uno dei più instancabili narratori di memoria per le nuove generazioni.

Esulo per il momento dall’incontro online, per chiedere come mai e con quale orientamento pensa di organizzare il suo lavoro. Lei è ricercatrice di diritto costituzionale. Non credo sia un dettaglio, soprattutto in un giorno così importante come quello dedicato alla Memoria.

Lo studio della del diritto e della giustizia costituzionale hanno un ruolo importante nella mia vita, perché la Costituzione in casa mia ha sempre avuto un peso. Rappresenta il simbolo della Liberazione. Penso che la Costituzione Repubblicana sia uno dei prodotti democratici più spettacolari di cui possiamo beneficiare, grazie ai padri e alle madri costituenti.

Abbiamo detto più volte, anche attraverso le voci dei testimoni della Shoah e dei loro discendenti, che non soltanto per  i carnefici oppure per gli indifferenti è stato difficile capire cosa è accaduto, ma anche per i superstiti. Lei ha più volte ricordato che il problema è la trasmissione della memoria “in modo vivo e non retorico”.

Il tema è riuscire a tramandare la memoria con strumenti efficaci. Il Giorno della Memoria deve essere non retorico, ma di civiltà, per comunicare quello che è stato. Per questo è importante parlare anche di storia. Senza un contesto storico di riferimento, è difficile comprendere il passato. In Germania questo lavoro è stato fatto, in Italia fatichiamo di più. Dobbiamo affinare gli strumenti: i  documenti storici, ma anche arte e cultura hanno un ruolo fondamentale. E’ una sfida difficile, ma è la strada giusta da percorrere.

Nedo Fiano è stato uno straordinario e immaginifico narratore. Quando ha iniziato a raccontarle qualcosa?

In famiglia mio nonno, quando era piccola, non aveva mai accennato al suo passato. Sapevo che aveva delle ombre, ma non sapevo quali fossero. Lui è stato sempre estremamente cauto. Quando ho realizzato che mio nonno era un sopravvissuto ero alla medie. E’ venuto a parlare nella mia scuola, e mi si è aperto un mondo terribile. Non c’era più il filtro familiare a tutelarmi. Mio padre, da quando era piccola, si è sempre definito figlio di Auschwitz . Ma solo alle medie, con quell’incontro pubblico, ho capito. E’ stato difficile digerire quella narrazione così forte.

Lei ha parlato dell’importanza del lavoro storico, oltre a quello della testimonianza. Quando è nato questo interesse?

La consapevolezza dell’importanza del dato storico e dei documenti nasce da un riflessione sul fatto che purtroppo i testimoni stanno scomparendo. Come ha scritto lo storico David Bidussa, come si farà ad avere un appiglio saldo, quando non resterà più nessuno di loro? Certo noi abbiamo i documentari, i film, che raccontano quelle storie e quelle vite. Ma il dato storico può essere un’ancora rispetto a quello che è stato, per evitare che ci siano dei rovesciamenti.

Suo nonno, ne sono certa, le avrà regalato frasi importanti. Ce n’è una che le viene in mente, che vuole condividere con noi?

Mio nonno è sempre stato un uomo estremamente positivo. Era pieno di vita, esuberante. Forse proprio perché lui è morto, e poi rinato una seconda volta. Mi ricordo la frase “Non piangere”, le esortazioni ad andare avanti sempre, senza lasciarsi andare troppo a emozioni e frasi tristi. Da lui venivano sempre frasi di esortazione, positive. Era molto felice quando iniziai l’università, mi diceva che era l’anticamera del lavoro, che mi avrebbe realizzato come donna.  Per lui il lavoro è stato uno strumento di rinascita e di affermazione di sé.

  • Autore articolo
    Ira Rubini
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    Più è alto il livello di inquinamento atmosferico, più aumenta il rischio di subire un arresto cardiaco. Uno studio del Politecnico di Milano rivela che in Lombardia c’è un legame tra i picchi di smog e la salute cardiovascolare. I ricercatori hanno analizzato oltre 37.000 casi registrati nel territorio lombardo tra il 2016 e il 2019, associandoli alle concentrazioni giornaliere degli inquinanti. Il rischio cresce nei mesi caldi e si presenta anche quando i livelli delle polveri sottili sono inferiori ai limiti di legge. Lorenzo Gianquintieri è un ricercatore del Politecnico di Milano che ha partecipato allo studio.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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