Fratelli e sorelle di Pupi Avati è il primo film d’attore di Stefano Accorsi, girato quando aveva vent’anni. Comincia così il suo incontro a La Valigia dell’Attore, raccontando gli inizi e il suo sogno di recitare da sempre. Incontrò Pupi Avati grazie alla madre, che trovò un invito a partecipare al cast di Fratelli e Sorelle. “Andai a Roma pensando di essere Robert De Niro, ma non ero Robert De Niro. Comunque fui chiamato lo stesso al telefono da Pupi Avati per andare due mesi negli Stati Uniti. Girammo a Davenport, in quella zona che Frank Capra chiamava la vera America.” Il film andò al Festival di Venezia e Accorsi diventò un attore.
Appena ricevuto il Premio Volontè a La Maddalena, Accorsi rivela di non riuscire più a tenere il conto dei film fatti, ma senza perdere la freschezza e la genuinità della prima esperienza negli anni ’90. La quantità di gente che ha riempito gli ex Magazzini Ilva per assistere all’incontro con lui testimonia il suo essere un attore pop: serio e pop.
Rivedendo oggi film come Le fate ignoranti, Santa Maradona, L’ultimo bacio, Radiofreccia, Romanzo criminale, La stanza del figlio, fino alla serie tv 1992, si capisce quanto il suo lavoro di costruzione di un “mestiere” si sia modulato di film in film e di regista in regista. Senza dimenticare il tanto teatro, da Nicolaj Karpov, maestro della biomeccanica, al teatro di ricerca di Marco Baliani.
Sul suo approccio al personaggio spiega: “I tempi di preparazione di un film sono molti lunghi, l’attore è solo una parte. In genere lavoro con un acting coach, che mi segue per tutto il percorso del film, l’ho fatto anche per la trasformazione di Loris in Veloce come il vento. Però l’unico rapporto costante deve essere quello tra l’attore e il regista”.
Non a caso Accorsi cita ancora Robert De Niro, come pioniere della trasformazione fisica dei personaggi. In sintesi, neanche tanto scherzando: “Le scarpe in un film sono fondamentali, perchè ti raccontano un mondo e hanno un rapporto diretto con la fisicità”.
Si sofferma a ricordare la piccola parte con Nanni Moretti: “Quando ho fatto il provino per La stanza del figlio avevo una sola pagina scritta e a Nanni non era piaciuto. Ne ho fatto un secondo e mi prese, ma non voleva darmi suggerimenti sulla patologia del mio personaggio. Lui sul set gira davvero tanti ciak e li fa tutti diversi, ma poi quando va al montaggio dice che sono tutti uguali. Facendoti ripetere le scene tante volte però ti porta alla perdita del controllo di te stesso, avvicinandoti al personaggio.”
Sulla serie tv 1992, che ha anche creato il tormentone ‘da un’idea di Stefano Accorsi‘, spiega: “Volevo raccontare gli ultimi vent’anni del nostro paese, da quando Berlusconi è sceso in campo. Prima di approdare a 1992, volevo fare un biopic su Silvio Berlusconi, mi interessava il dibattito che scatenava tra l’opinione pubblica e tutto quello che stava dietro al sogno fittizio che lui cercava di vendere ai suoi elettori”. Poi si è trasformato in un racconto articolato su Tangentopoli, che ha anticipato l’arrivo di Berlusconi. A breve inizierà a girare 1993 e 1994, quindi Berlusconi tornerà in scena.
Il rapporto tra Accorsi e la critica non è sempre stato semplice, di qui la scelta di andare a lavorare in Francia: “Ero stufo di essere guardato e volevo un po’ stare a guardare. In Francia mi chiamavano più che in Italia”.
Infine si perde nella descrizione dell’irripetibilità dell’attimo, per determinare l’unicità di ciò che ognuno può dare. La poesia del cinema e del tempo, nello spazio di una ripresa. “Il successo di un film non è quanto incasserà, ma quanto resterà nel cuore della gente“.
Ascolta l’intervista a Stefano Accorsi