
L’hanno messo sul muro esterno del Pentagono. Un volantino: il giornalismo non è un crimine. Era lì fino a ieri sera. Questa mattina l’hanno tolto. Sparito. Così come sono spariti dai corridoio dello storico edificio i cronisti. Per loro non è più permesso l’accesso. L’ultimatum scadeva ieri alle 23. Dovevano firmare le nuove regole volute da Pete Hegseth, il Segretario alla Guerra. Non l’hanno fatto. Così hanno dovuto riconsegnare i loro accrediti e sgomberare le loro cose dalle postazioni stampa. Gli ultimi l’hanno fatto questa mattina.
Se c’è un segno di rivolta dei media contro le limitazioni che Donald Trump vuole imporre alla stampa americana, quel segno lo si può trovare tra i giornalisti accreditati al Pentagono. Tutte le più grandi testate, dal New York Times al Washington Post, dalla CNN alla filo-trumpiana Fox News si sono rifiutate di sottomettersi alle nuove regole di condotta. Davanti a una trentina di no, Hegseth ha potuto incassare solo qualche sì, da parte di media vicino al mondo Maga. Ma chi poteva dire di sì al diktat? Le nuove regole sono draconiane, studiate con l’intento di arrivare a un controllo capillare e ossessivo dei cronisti e delle loro fonti; prevedono l’autorizzazione da parte del Pentagono per la pubblicazione di ogni notizia o articolo che riguardi quel Dipartimento, anche in caso di documenti non riservati. Per coloro che non le rispettano – testata e giornalista – la punizione è fissata nella perdita dell’accredito al Pentagono.
La risposta dei media è stata quasi unanime: una rivolta. Se non possiamo fare il nostro mestiere, ce ne andiamo. Lavoreremo da fuori. Tenetevi i vostri accrediti. Non c’è nulla di burocratico nella vicenda. Scottato dagli scoop sulla Chat in cui rivelala i piani d’attacco in Yemen, Pete Hegseth ha voluto le restrizioni. Ma non è solo questo. Come per i militari nelle città e i processi contro i nemici politici, anche questo è un test con cui Trump vuole saggiare la reazione della società ai suoi colpi di piccone contro i pilastri della democrazia americana, in questo caso la libertà di stampa.