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“Il Milan con il distintivo di Mao? Mi divertirebbe”

“Fininvest ha finalizzato la cessione alla Rossoneri Sport Investment Lux dell’intera partecipazione, pari al 99,93%, detenuta nell’AC Milan”. Il linguaggio è formale, il momento è epocale. Dopo 31 anni alla guida del Milan, dal 20 febbraio 1986 a oggi 13 aprile 2017, Silvio Berlusconi ha ceduto la squadra alla cordata capitanata da Yonghong Li, un giovane imprenditore cinese di cui non si sa molto ma che è in realtà l’espressione di un insieme di altri imprenditori, fondi, operatori finanziari sempre afferenti all’Impero di mezzo.

Così va il calcio, direte voi: l’era dei cumenda che si compravano la squadretta (come si direbbe a Milano) è bell’e che finita. Oggi per fare funzionare una grande squadra ci vogliono altre risorse, quelle appunto che le cordate di imprenditori cinesi possono garantire (o almeno così sperano i tifosi). E’ successo all’Inter, è successo a tante altre squadre, oggi succede al Milan.

Eh sì, però il Milan non è una squadra qualsiasi, e soprattutto non è uno qualsiasi Silvio Berlusconi. Che è stato un ottimo presidente. E che è stato anche il capo indiscusso della destra, anzi che anche grazie ai successi del Milan ha consolidato la sua egomonia nel Paese. Per i tanti tifosi milanisti di sinistra la contraddizione, questa contraddizione, è stata il pane quotidiano per 31 anni, o 11.375 giorni, come ha calcolato qualcuno. Oggi è finita.

Vi dispiace almeno un pochino? O la considerate una liberazione: si può tornare a essere milanisti senza essere tacciati di berlusconismo, o comunque senza essere apparentati a quella figura, imprenditoriale e anche politica. Vi dispiace di più oggi che se ne va o quando ad alzare la coppa dei campioni era lui, il capo di Forza Italia, in un certo senso in vostro nome?

Ho fatto la stessa domanda a uno che pensavo che in questa contraddizione si fosse lacerato per dei lustri, l’ex presidente della Camera, leader di Rifondazione comunista e tifoso milanista da sempre, Fausto Bertinotti.

Ci ha risposto così.

“Sono del tutto indifferente ai presidenti. Per fortuna uno tifa per una squadra per una larghissima componente inspiegabile e irrazionale. Nel tifo per me contano i colori, i calciatori, come espressione di una grande storia popolare. Se invece lo si considera un grande gioco di società, allora per affrontarlo bisognerebbe fare come Umberto Eco fece con la Fenomenologia di Mike Bongiorno“.

Quindi lei sta negando che per lei sia esistito un corto circuito tra la sua fede calcistica e la presidenza Berlusconi di quella squadra?

“Non me ne poteva importare di meno. Il Milan per me è la squadra dei casciavit. Quando ero bambino ero coppiano, quindi ero già pieno di vittorie. Non potevo anche tifare per l’Inter che vinceva tutto, e poi erano baüscia. A quell’epoca i casciavit erano quarant’anni che non vincevano un campionato. Uno come me non può interessarsi ai proprietari della squadra. Se invece vogliamo divertirci, la Cina – soi-disant comunista – che diventa proprietaria del Milan…”

E’ una bella rivincità…

“Ecco appunto, se uno vuole scherzare, la mette così”

Ma sono comunisti o no questi nuovi padroni del Milan?

“No, no. Non c’è bisogno di dire, in un commento su vicende leggere, che la Cina è un grande Paese pienamente inserito nella società capitalistica, in una competizione che lo porta a diventare, con molte probabilità, la nuova locomotiva dello sviluppo. Una grande potenza economica di mercato, governata anche da un partito che, a sua volta, si dice comunista. Però… non hanno neanche rinnegato Mao… quindi qualcosa resta, no? Pensi un po’ questo Milan che da un momento all’altro potrebbe mettersi tra i suoi distintivi anche quello di Mao…”

Le piacerebbe?

“Mah, di nuovo, se devo scherzare mi divertirebbe. Se devo parlare sul serio, anche questo mi lascerebbe del tutto indifferente. Cioè, non mi farei ingannare”

Come ultima cosa le vorrei chiedere una riflessione sull’uso politico che Berlusconi ha fatto del Milan.

“In politica gli sono stato avversario e, proprio in quanto avversario, conoscevo la sua forza, tanto che purtroppo siamo stati sconfitti più volte. Berlusconi ha colto un’onda di cambiamento che stava intervenendo nella cultura politica e, come un grande uomo di surf, ne ha preso lo slancio e l’ha governata. Pensiamo all’uso della televisione, della comunicazione di massa e, nella comunicazione di massa, certo il calcio è stato individuato come terreno egemonico, per usare un termine classico della politica”.

Grazie presidente.

“Grazie a voi. E que viva il Milan!”

Ascolta l’intervista integrale a Fausto Bertinotti

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  • Autore articolo
    Diana Santini
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    Quando le povertà dei padri e delle madri ricadono sui figli e sulle figlie. In Italia il titolo di studio dei genitori condiziona le opportunità di di vita dei minori. La povertà educativa è diventata di fatto ereditaria. Sono gli ultimi dati dell’Istat a raccontare questa ingiustizia. Il 34% dei figli di genitori con un titolo di studio inferiore o uguale alla licenza media vive in condizione di “deprivazione materiale e sociale”. La percentuale crolla al 3% se i genitori sono laureati. L'ereditarietà della povertà educativa è anche un tradimento di un principio fondante della Repubblica. L’articolo 3 della nostra Costituzione, la seconda parte, assegna un compito preciso allo stato, e cioè quello di “rimuovere gli ostacoli” che limitano di fatto l’uguaglianza tra i cittadini. Un compito evidentemente non svolto, vista la permanenza della disuguaglianza. Pubblica ha ospitato oggi la sociologa Chiara Saraceno.

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