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Il desolante post-pandemia dei festival: realtà in chiusura e finanziarizzazione della musica live

festival

Che la musica – quella live soprattutto – sia una questione di business non risulta né nuovo né sorprendente. Così come non lo è il fatto che un settore economico d’oggigiorno renda la vita impossibile al settore medio e faccia ricadere il peso della crisi post-pandemica sui consumatori. Parlando di festival, ci troviamo a raccontare una storia già stra vista e stra raccontata nell’epoca del realismo capitalista.
La storia inizia agli albori dei 2000, quando iTunes fa scattare l’allarme fra i discografici, e diffonde la consapevolezza che la vendita di copie fisiche ricoprirà un ruolo sempre più marginale. Se prima i tour erano la promozione del disco, ossia il prodotto che si voleva spingere, ora i confini sono ben più opachi. I festival, che già negli anni ‘90 avevano mostrato accenni di mercificazione dell’esperienza – vedi il tragico Woodstock ‘99 – rimangono incastrati nell’occhio del ciclone, ma non da subito. Vivono prima un periodo di grazia, nel quale proliferano nuove iniziative dal basso, anche perché le band di piccole-medie dimensioni e ambizioni hanno bisogno di opportunità di esibirsi che siano commisurate alla loro notorietà.
È quello che ci ha raccontato Giuseppe Carminati, facente parte dei volontari di FilagoGiovani che hanno fondato il Filagosto Festival, un evento nato come una “festa” organizzata da ragazzi associatisi per fare del bene al territorio, contando proprio su queste band di media portata che oggi scarseggiano.
Il Filagosto, che negli anni aveva portato sul palco Dargen D’Amico, Generic Animal, Coez e tanti altri nomi di peso nazionale, è stato costretto a sospendere l’edizione 2025. Quello che, limitandosi alla notizia, si potrebbe intendere come caso specifico con cause specifiche – il non rinnovo della convenzione con lo spazio privato che ha ospitato il Filagosto negli ultimi anni – nasconde una dimensione sistemica del problema ben più grave. Il passaggio fondamentale è l’ingresso in campo di un attore destabilizzante, ossia i gruppi finanziari. L’industria del live diventa il regno dei capitali esteri, quest’ultima una caratteristica fondamentale, in quanto le decisioni sui festival vengono prese da chi non ha nessun legame con il territorio, né alcun interesse a mostrarsi come imprenditore illuminato. Il risultato è che chi frequenta i festival ha sempre più la sensazione di vivere ogni volta lo stesso evento, con gli stessi artisti e gli stessi – esorbitanti – costi. Come racconta Federico Rasetti, crolla la diversità imprenditoriale, la capacità di presentare un’offerta diversificata al pubblico nonché ai manager degli artisti, che ormai non possono che puntare al grande pubblico generalista, perché sotto non c’è niente. In Italia, l’azione predatoria dei gruppi finanziari si affianca a una scarsissima collaborazione degli enti locali, incapaci di afferrare il valore della vivacità culturale per comunità e territori, senza
contare le opportunità economiche offerte dal turismo da festival.
C’è da aggiungere che, con il tempo, il pubblico si è sempre più adattato alla standardizzazione e alla concentrazione dell’offerta di festival, soprattutto nel periodo post-pandemico. Will Page, ex chief economist di Spotify, parla di consumatori che spendono i propri risparmi concentrandoli su un paio di grandi eventi piuttosto che spalmarli su più festival medio-piccoli. Uniteci il fatto che dopo il Covid i soldi in tasca da spendere sono di meno per tutti, e il danno è fatto. Le riflessioni di Page – che è scozzese – ci consentono inoltre di mettere a fuoco un’ultima caratteristica della festival crisis: la sua transnazionalità. Diversi paesi con diversi background socio-culturali sembrano soffrire di problemi essenzialmente identici. Nel Regno Unito 78 festival sono stati annullati solo nel 2025, una cifra che
probabilmente crescerà fino a superare quello del 2024, che NPR aveva decretato essere “l’anno in cui il festival musicale è morto”.
Come ogni problema complesso, la crisi interessa tante dimensioni che si intersecano. La crisi economica si affianca – e in buona parte determina – la crisi artistica. I festival e i piccoli club sono il principale strumento con cui band medio-piccole si affacciano al loro potenziale pubblico. Se sono le multinazionali del live a organizzarli, la lineup di un festival non è più costruita secondo una direzione artistica, con l’intenzione quindi di presentare nuovi artisti a un pubblico capace di accoglierli. Lineup e pubblici ugualmente generalisti si confondono l’un l’altro in fake festival che assomigliano più a rassegne, a riassunti dei primi posti delle classifiche globali. E dal punto di vista musicale, è questa la vera tragedia.

  • Autore articolo
    Luca Santoro
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    Una terza via sui manicomi, dopo la loro chiusura stabilita dalla legge Basaglia. È quella che ha invocato il ministro dell’Interno Piantedosi, commentando l’accoltellamento della donna a Milano per mano di un uomo con problemi psichiatrici. Il capo del Viminale ha detto che il caso richiama l’attenzione sul tema, evocando di fatto la riapertura di strutture simili ai manicomi. “Credo vada riconsiderata una terza via con trattamenti delle persone che garantiscano la sicurezza dei cittadini”, ha spiegato Piantedosi in tv. La maggioranza nei mesi scorsi aveva già provato a mettere mano con una riforma alla legge Basaglia. Ma non è la legge 180 ad aver creato insicurezza e abbandono, bensì il definanziamento della sanità pubblica. Come spiega Massimo Cirri, psicologo e conduttore radiofonico.

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    È morto Forattini, matita scorretta e a tratti feroce su vizi e debolezze della prima Repubblica

    È morto Giorgio Forattini. Il vignettista aveva 94 anni. Fondatore della rivista satirica Il male, nella sua lunga carriera ha lavorato per molti tra i maggiori quotidiani nazionali, da Repubblica, alla Stampa, a Paese Sera al Giornale. Per decenni ha commentato le vicende politiche italiane, con un bianco e nero inconfondibile e una scorrettezza esibita e divertita, la sua vera cifra stilistica. Il ricordo del disegnatore e fumettista Stefano Disegni.

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    Un lombardo su dieci è straniero. Lavora, paga le tasse ma non riesce a emergere socialmente

    Sono più di un abitante su dieci della Lombardia, lavorano, pagano le tasse, hanno figli che vanno a scuola ma restano ai piani bassi dell’ascensore sociale. È il ritratto degli stranieri nella nostra regione, fotografato dal dossier immigrazione che è stato presentato oggi. Rispetto a un anno fa sono aumentati del 2,3%, la meta preferita Milano e il suo hinterland. Del milione e 200mila stranieri, poco meno di un milione ha il permesso di soggiorno, circa la metà di lungo periodo. “Questo nonostante le difficoltà nell’ottenerlo”, dice Maurizio Bove, presidente di Anolf Lombardia, una delle realtà che ha elaborato il rapporto, che chiede una netta revisione delle norme per la regolarizzazione dei migranti.

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    Esteri di martedì 04/11/2025

    1) Israele, la diffusione del video delle torture nel carcere di Sde Teiman non è il problema. Gli abusi e l’impunità lo sono. (Daniel Solomon - physicians for human rights) 2) New York al voto. Trump minaccia gli elettori che devono scegliere il prossimo sindaco della città, in un’elezione che potrebbe rimodellare il partito democratico. (Roberto Festa) 3) E’ morto Dick Cheney. Il potente vice presidente americano artefice della guerra al terrore che plasmò gli stati uniti contemporanei. (Martino Mazzonis) 4) Francia, la battaglia contro il fast fashion è persa prima ancora di iniziare. A Parigi apre il primo negozio fisico di Shein, il colosso cinese noto per il pesante impatto ambientale e le vergognose condizioni dei lavoratori. (Francesco Girgini) 5) Spagna, la riconciliazione con il Messico passa dall’arte e dalla cultura. Madrid non ha ancora chiesto scusa per il periodo coloniale ma con una mostra e l’assegnazione del premio Cervantes prova a ricucire lo strappo. (Giulio Maria Piantedosi) 6) Belem 2025, ultima chiamata. Diario dalla Cop30: la flotilla dei popoli indigeni partita dal messico in viaggio verso il Brasile. (Alice Franchi) 7) Rubrica Sportiva. Il ritiro di Bopanna, il grande veterano del tennis mondiale. (Luca Parena)

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    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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