Approfondimenti

Mademoiselle e American Honey

Celebre per film crudi e vendicativi come il sorprendente Old Boy che lo consacrò al Festival di Cannes nel 2003, realizzato a cavallo della trilogia della vendetta dopo Lady Vengeance, Park Chan-Wook cambia stile. Con Mademoiselle, in concorso a Cannes 69, per la prima volta gira un film in costume, ambientato nella Corea degli anni ’30 durante l’occupazione giapponese. Una storia bellissima, tratta liberamente dal romanzo Fingersmith di Sarah Waters, con un titolo che richiama le dita, particolare che nei film del regista coreano diventa inquietante e per non tradire se stesso si ritaglia anche qui qualche scena per amputarne qualcuno. Il romanzo è stato anche adattato per la tv in una miniserie della BBC, ambientato in Gran Bretagna.

Con un meccanismo di scrittura perfetto che ricorda alcuni titoli di Alfred Hitchcock, Mademoiselle racconta sotto forma di thriller psicologico l’incontro tra una giovane serva coreana e una ricca e borghese donna giapponese. Incontro architettato da un uomo coreano che si fa passare per un Conte giapponese, pretendente dell’ereditiera, orfana e reclusa sotto la tirannia dello zio. L’inganno si sviluppa in tre parti, giocando di volta in volta nella decostruzione di ciò in cui avevamo creduto fino a quel momento. Elegante, con un’estetica ricercata che semplificando si può definire ‘tipicamente orientale’ Mademoiselle è anche un’opera simbolica. Lo è da un punto di vista storico sulla relazione tra Corea e Giappone, ma anche per il sotto testo che emerge dalla relazione tra le due donne. Una storia d’amore tra due persone dello stesso sesso, di origini differenti e nemiche e di classi sociali opposte. Una relazione che si muove sul filo dell’ambiguità, giocando su presunte follie e ruoli intercambiabili. Un convincente cambio di stile per Park Chan-Wook, con un messaggio profondo e un’evidente capacità di saper esplorare altri generi e situazioni.

American Honey

Per il suo primo film girato in USA la regista inglese Andrea Arnold si è fatta trascinare dal fascino delle highways. American Honey è un road movie, con un gruppo di ragazzi che viaggia in caravan per vendere riviste porta a porta. La vicenda è reale, scoperta dalla regista grazie a un articolo letto sul New York Times, in cui si parla dei bassi stipendi di ragazzi sfruttati da aziende senza alcun tipo di regolamentazione. Un’occasione che rappresenta anche un’esperienza lavorativa, di indipendenza e la possibilità di viaggiare senza spendere. E’ quello che accade alla protagonista Star, non ancora maggiorenne responsabile dei fratelli più piccoli trascurati dalla madre e vittima degli abusi del patrigno.

Dopo un colpo di fulmine con Jack, interpretato selvaggiamente da Shia LaBeouf, la ragazza si unisce al gruppo di giovanissimi e sbandati lavoratori, in una sorta di peregrinazione on the road, fatta di lavoro, sesso, droga e rock ‘n roll. Un’esperienza probabilmente formativa e di passaggio, ma anche dolorosa e romantica. Il viaggio di Andrea Arnold (Red Road, Fish Tank,Wuthering Heights) è anche il pretesto per mostrare una fetta d’America immersa nella miseria e nella mediocrità, utilizzando gente incontrata per strada a cominciare da buona parte del cast.

La zona è quella del Midwest, dal Nebraska a Kansas City, Oklahoma, Dakota del nord e del sud, la Riserva Indiana. Girato con una troupe leggere, dormendo in motel e seguendo i ritmi dei protagonisti della storia. Quasi tre ore di paesaggi nella profonda provincia americana e con una colonna sonora perfetta e suggestiva, che è parte integrante del film.

 

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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