Approfondimenti

Tra le radici storiche del conflitto

Una settimana dopo gli attentati di Bruxelles, l’eco della parola guerra è stata la più ascoltata. Come dopo il 13 novembre a Parigi: “Siamo in guerra”, diceva allora il presidente francese Hollande.

È un atto di guerra l’attentato terroristico nelle città europee? È guerra il bombardamento delle zone sotto il controllo di Daesh?

Sono le domande con cui è iniziata la puntata di oggi di Memos con Germano Dottori e Guido Rampoldi.

Germano Dottori, insegna Studi strategici alla Luiss di Roma. Guido Rampoldi, giornalista e scrittore, è stato inviato speciale della Stampa e di Repubblica. Oggi collabora con Il Fatto Quotidiano.

Dottori. «Va detto che il Belgio bombarda il Califfato e quindi anche tecnicamente sta usando la forza militare nei confronti dell’Isis. L’Isis a sua volta la sta usando nei confronti del Belgio, della Francia e speriamo non di altri Paesi. Tecnicamente c’è un confronto di natura politica che viene sviluppato anche attraverso l’uso della forza. Riconoscere, però, l’esistenza di uno stato di guerra presuppone anche riconoscere la legittimità dei tuoi avversari. Secondo me – dice Dottori – non è il caso perché significa implicitamente dare allo Stato islamico quel riconoscimento di fatto che invece si sta cercando negargli».

Rampoldi. «Non mi spaventano le operazioni militari, che certamente sono parte del pacchetto delle soluzioni possibili. Mi spaventa, però – racconta Rampoldi – la parola guerra per tutto ciò che comporta. La guerra comporta mobilitazione, censura, restrizione delle libertà individuali, cioè una serie di interventi che a me paiono pericolosi e sbagliati. Mi spaventa la formula “siamo in guerra” perché non si capisce con chi siamo in guerra: con l’Isis, con i fondamentalismi, con i terrorismi? Ci sono una serie di slittamenti semantici che mi inducono a essere circospetto quando sento formule un po’ vuote come “siamo in guerra”».

La conversazione con Germano Dettori e Guido Rampoldi prosegue sul tema dei fallimenti delle polizie e dei servizi di sicurezza (in particolare in Belgio) nel prevenire gli attentati. Le azioni delle polizie, dei servizi e delle magistrature – quando hanno successo – rientrano nelle risposte di “breve periodo” al terrorismo internazionale che i governi possono dare. Altre sono invece le risposte che potremmo definire di “lungo periodo”, che vanno a scavare nella profondità delle origini dei conflitti.

Rampoldi. «C’è un evento storico che a me pare cruciale e che risale agli anni Settanta, l’invasione sovietica dell’Afghanistan. A quell’epoca – racconta il giornalista – tutti gli indicatori dicevano che l’Urss era in una fase terminale. Contro questo Paese in via di dissoluzione è stato costruito un “frankenstein” terrificante che è il fondamentalismo. Sotto la regia Reagan-Thatcher c’è stato un flusso di know-how militare, petrodollari, predicatori che ha cambiato – in alcune zone, soprattutto il Pakistan – la relazione tra i “riformatori” e gli ultra-ortodossi. È stata una svolta cruciale. Lì è cambiato molto: per esempio, il Pakistan. È stato travolto da questa svolta mentre era in atto un forte movimento riformatore dell’Islam, più democratico e tollerante. A travolgerlo fu una dittatura militare. C’è poi un secondo evento – conclude Rampoldi – che ha prodotto guasti. È stata la decisione americana di voler mantenere proprie basi militari in Arabia Saudita dopo la guerra in Kuwait. Una decisione che ha prodotto molto malcontento presso le consorterie di ulema che si ritengono i conservatori del sacro territorio dell’Islam».

Dottori. «Rispetto a Rampoldi mi limiterei ad aggiungere un paio di fattori ulteriori. Intanto, nel 1979 – nello stesso periodo dell’invasione sovietica dell’Afghanistan – c’è stata la rivoluzione iraniana che ha comportato un effetto di emulazione e di stimolo per tutto l’Islam politico anche nell’area sunnita. Ci furono disordini molto gravi anche in Arabia Saudita e la politica interna ed estera saudita ne risultò condizionata. In pratica il risveglio islamico si estese a tutte le componenti dell’Islam. Tutto ciò diede forza ed energia man mano che i combattenti dall’Afghanistan rientravano nei Paesi d’orgine. Penso in particolare a quanto accaduto all’inizio degli anni Novanta in Algeria. Condivido con Rampoldi la considerazione sulla guerra in Kuwait. Sappiamo oggi che la decisione del monarca saudita di chiamare in Arabia Saudita le forze armate americane ebbe un ruolo fondamentale nel condizionare il pensiero di Osama Bin Laden orientandolo in una direzione diversa rispetto a quella che era stata in precedenza. Oggi siamo di fronte a una realtà molto complessa. C’è una sfida – conclude Germano Dottori – lanciata dai fautori dell’Islam politico. Loro hanno deciso di giocare la carta della politicizzazione della religione. Attraverso questa via vogliono promuovere un cambiamento dell’ordine nei loro Paesi di appartenenza e poi anche su scala internazionale».

Per saperne di più ascolta tutta la puntata di Memos

  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

    Pubblica - 03-12-2025

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    Finanza e Industria, ecco chi ci porta alla guerra

    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    L’inquietudine della provincia nel film “Ferine”, in concorso al Noir in Festival

    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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    Paolo Bergamaschi, già Consigliere Politico Commissione Esteri Parlamento Europeo, analizza lo scontro Europa-Russia, tra minacce e timidi segnali di dialogo. Francesco Vignarca, ricercatore e analista della Rete Pace e Disarmo, racconta l'impatto del piano di riarmo sulla politica dell'Unione, trainato dall'industria e soprattutto dalla finanza. Le mobilitazioni dei lavoratori dell'Ilva non si fermeranno finché i patti non saranno rispettati, perché nessuno comprerà gli stabilimenti se non ci saranno prima degli interventi, come ci spiega Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom-Cgil. Giulia Riva giornalista e nostra collaboratrice racconta la giornata internazionale delle persone con disabilità a partire dai dati sul lavoro dove le donne con disabilità sono ancora più penalizzate degli uomini (mentre in Lombardia le aziende preferiscono pagare 82 milioni di multe che assumere persone dalle categorie protette) e poi da atleta paralimpica lancia una sfida alla città di Milano che il lascito delle Olimpiadi invernali in partenza a febbraio sia almeno concretamente utile.

    Presto Presto – Interviste e analisi - 03-12-2025

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    Lista stupri. Una delle ragazze minacciate: “L’educazione sessuo-affettiva serve ad arginare le violenze”

    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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