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Grecia, i respingimenti al confine con la Turchia e i migranti usati per il “lavoro sporco”

migranti respinti al confine tra Grecia e Turchia

È dal 2008 che l’ONG internazionale Human Rights Watch monitora in Grecia i respingimenti dei migranti al confine con la Turchia. Sono trascorsi 14 anni da allora e le cose non sono cambiate.
Anzi, se possibile, sono anche peggiorate. “Their Faces Were Covered” è il titolo del nuovo report di Human Rights Watch, pubblicato sul sito il 7 aprile. Nelle 29 pagine dell’inchiesta, realizzata grazie alle testimonianze di 26 persone di origini afghane respinte al confine, sono riportate le violenze delle autorità greche. Secondo Human Rights Watch, nei pressi del fiume Evros, i richiedenti asilo vengono picchiati, derubati e denudati prima di venire respinti. Dai loro racconti è emerso poi un particolare agghiacciante: le imbarcazioni con le quali gli intervistati vengono costretti ad attraversare il fiume per tornare in Turchia sono guidate a loro volta da migranti con il volto coperto da passamontagna.

“Il conducente della barca mi ha detto: “Stiamo facendo questo lavoro per tre mesi poi ci daranno un documento con cui potremo muoverci liberamente per la Grecia e prendere anche un biglietto per andare in un altro Paese”, ha raccontato un comandante dell’esercito afghano di 28 anni, tra le persone ascoltate da Human Rights Watch. Il traghettatore veniva dal Pakistan.

Nel report c’è anche la testimonianza di un giornalista afghano di 25 anni, scappato dal Paese dopo il ritorno dei talebani. A Human Rights Watch ha detto: “Le barche erano guidate da uomini siriani, parlavano arabo. Il siriano che stava sulla nostra ci ha detto di scendere dalla barca quando ancora non avevamo raggiunto l’altra riva. Io non so nuotare e l’ho pregato di non lasciarmi lì. Così ha avvicinato l’imbarcazione a un albero sulla riva turca e aggrappandomi a quello sono arrivato sulla terra ferma…”.
Una terza testimonianza, quella di un ragazzo afghano di 18 anni, conferma le altre due storie: “Al confine, c’erano persone che ci aspettavano e sentendoli parlare abbiamo capito che erano pakistani e arabi. Questi uomini hanno preso i nostri soldi e ci hanno picchiato. Mi hanno colpito con dei bastoni. Poi ci hanno abbandonato nel mezzo del fiume. L’acqua mi arrivava al petto e tutti abbiamo dovuto attraversare l’altra metà per raggiungere la Turchia”.

A giugno 2021 il governo greco ha dichiarato che la Turchia è un “paese terzo sicuro” per i richiedenti asilo dell’Afghanistan, del Bangladesh, della Somalia e della Siria. La Turchia però non risponde in alcun modo ai criteri stabiliti dall’Unione Europea nella definizione di “paese terzo sicuro”. Dal 2019 infatti Ankara ha costretto centinaia di siriani a lasciare il Paese, esponendo le persone che tentano la fuga in Grecia, e che poi vengono respinte, al rischio di un pericoloso ritorno in Siria. Come ricorda Human Rights Watch, i respingimenti sono violazioni dei diritti umani. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo vieta infatti le espulsioni collettive. Mentre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea riconosce il diritto di asilo.
Nel report dell’organizzazione si legge anche che il Governo greco nega ormai da anni qualsiasi coinvolgimento nei respingimenti, etichettando le accuse come “fake news” o “propaganda turca” e minacciando, con sanzioni penali, chiunque riporti questi fatti. Effettivamente, ora sappiamo perché le autorità greche vadano considerate solo parzialmente coinvolte nei respingimenti, visto che sono altri richiedenti asilo a fare il lavoro sporco. Con l’ingannevole promessa di un futuro diverso.

Eleonora Panseri
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