A un certo punto scatta pure l’aria da derby Roma-Milano: “ma quanti siete” chiede un romano quando sul palco sale Massimo Cirri. Poi però si fa serio e aggiunge: “peccato che i milanesi in Italia sono pochi”.
Giuliano Pisapia è per tutti il sindaco di Milano che ha fatto vincere la sinistra nella città che per 20 anni fu un fortino inespugnabile del leghismo e del berlusconismo. Pisapia quindi, per chi affolla il teatro Brancaccio, è una speranza. Lo è a prescindere dalla forma che assumerà Campo Progressista. Basta che sia lui a guidarlo.
Pisapia per queste persone è una speranza come lo fu Prodi nel 1996. Anzi, forse lo è ancora di più. Lui non ne vuole sapere del paragone, ogni volta che gli si chiede se si senta il nuovo Prodi evita di rispondere. Ma l’aspettativa, tra coloro che credono in lui, è alta. L’uomo che arriva e risolve tutti i problemi: rimette assieme la sinistra divisa. Riallaccia il dialogo con il Partito Democratico. Archivia il renzismo.
Pisapia sa che si deve lavorare sulle cose concrete, perché una cosa è Milano, l’altra il Paese. Lo ripete di continuo:
“dobbiamo partire dal basso. Dalle associazioni, da chi fa cultura, da chi fa politica sul territorio. Dal basso costruire una rete”.
E poi, solo dopo, le formule. “L’Ulivo fu calato dall’altro, i partiti decisero la candidatura di Prodi e il suo Governo. Qui si parte dal basso” insiste. Quasi a voler controbilanciare il rischio di ascese troppo veloci. Concretezza e un passo alla volta perché il lavoro è durissimo. Già solo riunire tutti: gli scissionisti del Pd; chi sta ancora nel Partito Democratico ma spera di fare da pontiere, come il sindaco di Bologna, Merola; gli ex di Sel che sono i più duri conto Renzi.
“E’ Renzi che non ci vuole, come possiamo dialogare” ci dice Arturo Scotto.
Renzi è il problema. Non si trova un simpatizzante che dica sì a una alleanza col Pd guidato ancora da lui. Le posizioni dei leader sono appena appena più sfumate. Più che altro, svicolano alla domanda. Nel migliore dei casi è un “dipende dal programma”.
Pisapia tiene le porte aperte ma sottolinea come sia complicato avere a che fare con l’ex premier, che poche ore prima aveva definito “reduci” quelli che non lo hanno seguito.
“Non aiuta che lui abbia detto che il segretario del Pd è anche il candidato della coalizione” afferma a Radio Popolare “io lavoro per una coalizione aperta e ampia, l’esperienza dell’Ulivo ce lo ha confermato. Se invece non ci sarà una coalizione allora faremo un ragionamento diverso”.
“Non siamo un partitino che si presenta alle amministrative”, dice Pisapia. Anche perché non c’è il tempo di darsi una forma e un indirizzo, da qui alle amministrative. Ma alle politiche si arriverà, sempre più probabilmente alla fine della legislatura, nel 2018. E a quell’appuntamento Campo Progressista dovrà essere pronto. Con Pisapia candidato sulla base di un accordo con Renzi, come sogna qualcuno. O dopo avere vinto le primarie di coalizione, come azzarda qualcun altro. In realtà ogni parola è studiata per evitare di restringere il ventaglio delle opzioni. Campo Progressista dopo la giornata di presentazione ufficiale rimane una cosa fluida. E’ inevitabile. Man mano che si solidificherà, diventeranno più urgenti i temi da affrontare: dalle differenti vedute sulla forma che dovrà assumere alla questione del rapporto con il Pd e con Renzi.
“Campo Progressista non sarà una lista alle amministrative però un giorno ci saranno le politiche -spiega allora Pisapia a Radio Popolare- Vogliamo partire dalle realtà che esistono in italia, anche poco conosciute, culturali sociali e politiche. Sulla base della legge elettorale, tutte queste realtà bisogna metterle insieme”.
Lavoro dal basso, da una parte. E occhio all’esito del congresso del Pd, dall’altro. Rossi, Speranza e gli altri il partito lo hanno lasciato. Ma continuano a non essere indifferenti al suo destino, per capire quale sarà il loro
Ascolta l’intervista con Giuliano Pisapia